Il bello è brutto, il brutto è bello [di Carla Deplano]

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All’inizio della nostra civiltà il falso, il cattivo e il brutto in senso morale sono percepiti come una mancanza di vero, di buono e di bello. Nella filosofia greca, in particolare modo da Platone a Plotino, il brutto si identifica con il non-essere, agli antipodi col concetto di kalos kai agathos. Nell’età moderna la bellezza non è più sinonimo di ciò che è misurabile: in un universo infinito si ha l’esperienza dello smisurato e dell’incommensurabile. Il brutto viene recepito come qualcosa che esiste in natura, i canoni classici vacillano e matura una sensibilizzazione per il brutto, cioè per il non-classico.

Nel Saggio sulla poesia greca, Schlegel distingue tra l’arte antica, che tende spontaneamente al bello e l’arte moderna, che necessita dell’interessante: di qualcosa, cioè, che ci metta continuamente in “istato di eccitazione”. Nell’arte romantica prende piede una grande sperimentazione in cui tutto viene mescolato ed il brutto funge da lievito per scoprire nuove forme di bello. Ad una visione meccanicistica del mondo subentra una concezione relativistica che fa svanire qualunque pretesa di una lettura unitaria della realtà. Ne Il mondo come volontà e rappresentazione, Shopenauer dimostra l’insensatezza di ogni velleità di imbrigliare il reale all’interno di un sistema rigidamente dominato dalla logica, laddove reale è ciò che si vede ma anche ciò che si sottrae ad una percezione diretta e immediata.

Nella letteratura francese dell’Ottocento – pensiamo ad esempio ai Misteri di Parigi di Hugo o alla poesia A una carogna di Baudelaire – arte e bellezza si spogliano della propria aura e si mescolano alla quotidianità. L’arte raggiunge masse sempre più estese, si lega alla politica e alla critica sociale e si occupa degli aspetti di patologia denunciati da quel socialismo francese di cui Hugo è figlio.

L’impronta naturalistica ottocentesca cede il passo a personaggi grotteschi e ad ambientazioni deformanti e oniriche lontane da una visione realistica, in cui emerge un io lacerato e alienato, come nelle opere di Kafka, Joyce, Proust, Svevo e Pirandello. Le categorie di “bello” e di “brutto” non si distinguono più: si oltrepassano i confini stabiliti da Schlegel. E nascono quei personaggi tanto inquietanti, eppure simbolo di un’elevazione spirituale, come il Gobbo di Notre-Dame, Quasimodo, o Tribulé, più popolare in Italia come il Rigoletto di Verdi.

All’inizio del Novecento tramonta definitivamente l’idea illuminista di essere umano definito, rappresentabile e armonico, e crollano i modelli di una realtà e di una verità assoluta nell’ambito di un generale relativismo in cui si presta attenzione alla dimensione dell’istintività e al ruolo della coscienza soggettiva nella percezione del mondo esterno. La pittura si fa allora carico di restituire la realtà profonda dell’essere e all’arte come natura si sostituisce l’arte come simbolo.

Nell’ Estetica del brutto, Rosenkranz rivela l’esistenza di un’arte brutta in cui il brutto, lungi dall’essere l’opposto dialettico della bellezza, appare come un elemento metamorfico che la intensifica e la potenzia. L’arte si preoccupa di svelare la presenza del dolore e delle lacerazioni all’interno della società e di ritrovare in questo rimosso il senso più autentico del bello. Il brutto dell’avanguardia storica – che si rifà agli ideali di sregolamento dei sensi già propugnati da Rimbaud o da Lautréamont nella loro avversione per l’arte naturalistica e “consolatoria” moderna – viene accettato come nuovo modello di bellezza. La bruttezza equivale, in tal senso, al perturbante di Shelling e Freud: è il ritorno del rimosso che riappare dopo la cancellazione di qualcosa che ha turbato tanto la nostra infanzia individuale quanto l’infanzia dell’umanità.

La natura appare spesso trasfigurata in una serie di teratologie inquietanti. Il simbolo della maschera indica un bisogno di protezione, ma anche di trasformazione legato ai riti di passaggio: e’ il non-essere che vorrebbe farsi essere. Serve per nascondere un vuoto con l’intento di colmarlo con un pieno diverso e altro. Il tema dei mostri nella natura viene affrontato da Klee e Mirò ma il Minotauro di Picasso, bestia nella testa invece che nel corpo, rivela una verità più inquietante: le reali mostruosità provengono dalla mente dell’uomo, non dalla natura. A questo proposito, l’antropologo culturale Clifford paragona un surrealismo nell’arte con un surrealismo etnografico, individuando un’estetica ibrida e meticcia che si addentra nei regni dell’erotico, dell’esotico e dell’inconscio. Secondo Adorno, attraverso l’arte possiamo cancellare la barriera che ci separa dal mondo e dalla realtà alienata facendo rifluire il mondo in noi e rimettendolo in contatto con la nostra soggettività. Solo così l’arte non procurerà solo dispiacere, ma sarà anche e soprattutto fonte di piacere.

Per dirla con Shakespeare, “il bello è brutto, il brutto è bello”.

One Comment

  1. rosanna rossi

    Perseguo il bello anche nel brutto. La bellezza è nella nostra anima e nella capacità di andare con gli occhi oltre l’apparenza. nel …br

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