Non è detto che Renzi ce la faccia [di Nicolò Migheli]
L’uomo è fatto così. Ha detto più volte che si ritirava, ma alla fine resta. Dichiara di voler fare un suo partito e questa volta mantiene la parola. Siamo però ben lontani dall’interpretazione situazionale delle leadership dei politici europei che una volta sconfitti lasciano la politica per occuparsi d’altro, magari facendo tesoro dell’esperienza di governo. Ha ragione Lucia Annunziata sul L’Huffington Post quando afferma che il governo giallo-rosso dovrebbe preoccuparsi solo di essere oscurato nella comunicazione sulle reti e in tv, l’attuale piazza dove si giocano fortune e insuccessi politici. È già avvenuto con Salvini nel precedente governo e il fiorentino non sarà da meno. Matteo, questo, terrà in vita il governo fino a quando gli servirà, fino al momento in cui i sondaggi gli diranno di staccare la spina. Il che introduce nella compagine governativa una incognita destabilizzante. L’idea che rassicura molti è che il governo terrà fino al 2022 quando il Parlamento dovrà eleggere il nuovo Presidente della Repubblica e Renzi vorrà dire la sua. Vedremo se l’esprit florentin avrà la meglio sulle impulsività rignanesi. Il progetto del politico toscano si rifà al mito del Grande Centro, uno spazio politico che è esistito prima del maggioritario. Né di destra né di sinistra ma liberal democratico, capace di produrre pensiero politico che nel controllo dei mille gangli del potere trova forza e legittimazione. Spazio moderato per antonomasia, antitetico a qualsiasi sovranismo e populismo, qualsiasi cosa voglia dire quest’ultimo termine. È chiaro che un progetto simile per radicarsi ha bisogno del proporzionale, in modo da poter praticare la politica dei due forni di andreottiana memoria. Se invece Renzi auspica per se un futuro alla Macron avrà bisogno di una legge elettorale con il doppio turno, cosa che il Parlamento attuale difficilmente concederà. Siamo sicuri, o meglio, Renzi è sicuro che il suo progetto avrà consenso popolare tale da farlo diventare se non prima forza quella determinante? L’impressione è che la sua lettura delle tendenze profonde della società sia ferma a quando il PD prese il 40% alle elezioni europee, al 2014. Oggi ci troviamo davanti a comportamenti fluidi dei corpi elettorali che possono mutare con velocità da una elezione all’altra, fermo restando gli zoccoli duri dell’ideologia, che non è scomparsa come si sono affannati a dire in troppi dopo il 1989. Le strategie politiche tradizionali affermavano che si prendono voti alle estreme per poi governare al centro. Il sovranismo, o meglio il neo-nazionalismo, ha stravolto tutto. L’esperienza del governo giallo-verde è stata una conferma del mutamento. Quello a giudizio di molti osservatori, è stato un governo di estrema destra. O almeno così è stato vissuto dalla politica e dalle opinioni pubbliche europee. L’eutanasia di quel contratto è stata vissuta come una liberazione. I problemi che avevano generato quell’esecutivo, specie sulle difficoltà dei ceti bisognosi, del ceto medio impoverito, sono però ancora vivi e quel nazionalismo è ben lungi da essere sconfitto. Le tendenze del corpo elettorale mostrano similitudini in tutto l’Occidente. Se si guarda ai sondaggi americani in previsione delle elezioni presidenziali del novembre 2020 si hanno due certezze. La prima che il corpo elettorale si è radicalizzato e si sta spostando verso le estreme, la seconda che l’età e la rottamazione renziana sono passate di moda. Trump che di anni ne ha 73 non ha rivali tra i repubblicani benché l’establishment di quel partito lo detesti e verrà riconfermata la sua candidatura con buone possibilità di essere rieletto. Non a caso la sua campagna riprende i temi della vittoria, dove isolazionismo, smantellamento delle misure ambientali, discriminazione verso qualsiasi differenza, il muro anti immigrati, riprendono vigore, rafforzati con la proposta di cancellare lo ius soli uno dei punti cardine del sogno americano. Nel Partito Democratico perde consensi Joe Biden, 76 anni, già vice di Obama, guadagnano Elizabeth Warren, 70 anni di sinistra e Bernie Sanders, che di anni ne ha 78, il quale in maniera scandalosa per gli Usa, si definisce socialista. È in atto una fuga dal moderatismo. Così come è avvenuto in Gran Bretagna quando Jeremy Corbyn – un altro ragazzo di 70 anni- ha conquistato i Labur dopo anni di dominio della corrente liberal democratica di Tony Blair. In Francia senza il doppio turno Macron sarebbe diventato presidente? Ecco perché le possibilità di successo di Renzi e del suo nuovo partito sono legati al sistema elettorale. Certo per uno che è stato difensore del maggioritario, che per se stesso immagina un ruolo solo governativo, nell’opposizione soffre, passare al proporzionale è un bel salto. Sono considerazioni però di chi crede che una minima coerenza sia essenziale per guardarsi davanti allo specchio. Renzi ci ha insegnato che se si guarda alla stella polare del potere personale, tutto gli deve essere subordinato. Deve essere stato un qualche politico a dire che la coerenza è virtù da paracarri. |
Debbo confessare che di Matteo Salvini ho avuto davvero paura ( non mi è passata del tutto per la verità). La sua vertiginosa ascesa nei sondaggi elettorali ( primi giorni di agosto: Lega intorno al 39%) segno del favore crescente che le sue politiche ( in specie migratorie) trovavano nell’opinione pubblica nazionale. E poiché a me parevano invece davvero ispirate a criteri che mai erano stati egemoni nel sentire italiano che, bene o male, su questi temi era stato spesso in sintonia col pensiero della morale cristiana, cattolica e protestante, che vedeva nell’accoglienza del povero, del perseguitato, del profugo, una sorta di dovere da non doversi neanche mettere in discussione. Non mi capacitavo che fosse bastato fare una campagna elettorale permanente, sia pure da un posto di prestigio nazionale quale è il ministero degli interni, occupando in verità ogni spazio televisivo possibile, per riuscire ad imporre in poco più che un anno, ad una grossa fetta di opinione pubblica, la sua “narrazione” delle cose del mondo. Anche perché, a ben vedere, la “storytelling” della Lega era cambiata, non più secessione del Nord produttivo a fronte di un Sud pigro che preferiva vivere di rendite e pensioni (pagate dai lavoratori indefessi delle regioni padane) piuttosto che rimboccarsi le maniche e fare la propria parte per contribuire alla crescita del paese. Da sempre. Dall’unità d’Italia? Gli è che ogni organizzazione umana ha bisogno, per continuare ad esistere e cementare la sua unione, di una “narrazione” che sia la più condivisa possibile dai suoi membri, fino a diventare luogo comune nel pensiero dei più, capace di generare pregiudizi contro i quali, come sa bene la psicologia sociale, è inutile opporre alcuna pretesa di oggettività. Una volta instauratosi il pregiudizio brilla dell’intensa fredda luce della verità, ogni argomentazione che lo metta in discussione è ridotta a propaganda, quando non a mero complotto di un qualche non ben identificato gruppo, il più delle volte straniero. Un regime totalitario questo persegue e mette in atto, e il duce che guida il partito egemone riassume in sé la sacra totalità della nazione. I politici che riescano ad ottenere mandati di tipo plebiscitario nelle elezioni durano nel tempo e forgiano con le loro politiche intere generazioni di persone, si rimane ingabbiati in strutture di pensiero da cui è difficilissimo evadere. Tra gli amici ( politici) di Salvini che erano riusciti a farcela, Putin e Orbàn, il premier magiaro mi è sembrato quello da cui il leader leghista sia andato a prendere le “parole d’ordine” che l’hanno così aiutato nella sua scalata sovranista, con cui ha conquistato il cuore di tanti nostri connazionali, cosicché mi sono rivolto agli esperti di cose ungheresi per cercare di capire come dal 2010 Viktor Orbàn riesca a farsi rieleggere, ogni quattro anni, da una maggioranza che gli consente di governare da solo e di cambiare la Costituzione del paese ogni volta che voglia. Tutto accentrando nelle sue mani di “padre della Patria”. Massimo Congiu, giornalista, storico, direttore dell’Osme (Osservatore sociale mitteleuropeo) che vive a Budapest dal 1995, dell’Ungheria si è sempre occupato, suoi i libri: “ Un decennio cruciale. L’Ungheria dal secondo dopoguerra al 1956” (Sedizioni ed.2011). “L’Ungheria di Orbàn. Rigurgiti nazionalisti e derive autoritarie” (Ediesse, 2014). “ Europa dell’Est e i nuovi nazional-populismi. I casi polacco e ungherese”, questo insieme a Cristina Carpinelli (Bonomo 2017). Innumerevoli i suoi articoli sul”Manifesto”, l’”Unità”, “Internazionale” “Rassegna Sindacale” “L’Humanité”. A Andrea Sarubbi di TV2000 ( Today, l’Ungheria l’altra Europa, puntata del 2 aprile 2018 che si può vedere su You Tube) che gli chiede conto di una sua foto che lo ritrae su di un traghetto con una culla, privo di barba e capelli sale e pepe come ora, risponde che risale al 2008, dieci anni fa, con la famiglia andava da Napoli a Cagliari, sua città natale. A Napoli si era laureato in Storia all’istituto Benincasa e vi aveva trovato moglie, il figliolo è naturalmente bilingue, lui oltre a inglese, francese, spagnolo e ungherese, mastica anche il serbo e il croato. Del resto collabora coll’Università Corvinus di Budapest e tiene corsi all’ISPI (Istituto studi politica internazionale) sull’Unione Europea e le minoranze etniche e nazionali. Ecco, in sintesi, la “narrazione” di Victor Orbàn, a dire di Massimo Congiu e di come io l’ho letto: “ L’Ungheria è sempre stata maltrattata dagli altri popoli, già antemurale dell’Islam quando Maometto secondo fu fermato sotto le mura di Vienna, dopo l’annessione asburgica e l’impero venne massacrata dopo la prima guerra mondiale (trattato del Trianon) che gli portò via metà degli abitanti e del suo territorio, lo sbocco al mare che aveva da 800 anni, l’80% dei boschi, più del 60% delle terre arabili, delle strade, della banche, più dell’80% della produzione di ghisa. Insomma fu trattata peggio della Germania, non a caso nella seconda mondiale si schierò con l’Asse. Dopo Ialta finì per 40 anni sotto il tallone Sovietico. Nel ’56 tentò una ribellione che non commosse l’Europa. Dopo l’89 e il collasso dell’Urss la fatica di riconvertirsi in una economia di mercato, di darsi istituzioni che andassero bene all’Unione Europea, dove venne finalmente ammessa. Ma gli ungheresi sono diversi, una lingua unica nel mondo, e ungheresi sono anche quelli (esuli) in Romania, Cecoslovacchia, Croazia, Slovenia, tutte minoranze che hanno diritto di votare nel “loro paese”. E a questo provvede il partito di Orbàn, Fidesz. Perché prima vengono gli ungheresi e per loro Orbàn ha previsto una nuova Costituzione in cui i principi della cristianità, della famiglia (rigorosamente uomo-donna), del sacro suolo della Patria sono gli assi portanti. Di qui la costruzione di 800 chilometri di filo spinato che tenga lontani gli invasori (per lo più islamici), le leggi che prevedono la galera per chiunque venga trovato senza i documenti che prevedano il diritto di soggiorno. Nessuna possibilità di ospitare migranti che magari sbarchino prima in altri paesi dell’Unione (leggi in Italia). Perché l’Unione non deve permettersi di dire agli ungheresi come vogliono vivere in casa loro. I sussidi europei vanno bene ( grazie ad essi anche la costruzione di stadi, in onore del calcio magiaro che ebbe una fulgida storia). In Europa comunque si sta con Angela Merkel e i Popolari e si vota Ursula von der Leyen, perché va bene che la pensiamo come Salvini e la le Pen, ma non vogliamo ridurci alla marginalità politica. Ogni tanto l’Unione ci chiede di cambiare qualche articolo della nostra costituzione, sotto la spinta delle lobby ebraiche (leggi George Soros) e delle ONG che vorrebbero aiutarle nell’islamizzazione dell’Europa tutta. Ma noi non cederemo. E se trattiamo duramente la minoranza Rom (700/800.000 per una popolazione totale di circa 10 milioni) facendoli lavorare per uno stipendio irrisorio sono affari nostri. Nella nuova costituzione il lavoro non è un diritto ma un dovere. E anche la legislazione del lavoro va nella direzione di dare più potere agli imprenditori (specie nella facoltà di licenziare). Deve anche finire l’andazzo dei laureati ungheresi che emigrano in Germania o a Londra, che qui manca sempre di più manodopera specializzata. Scrive Massimo Congiu nel “Manifesto” del 22 agosto scorso: “Poco dopo le elezioni dello scorso anno, vinte da Fidesz, il partito di Orbàn,sono comparse liste di proscrizione, alcune delle quali recanti liste di studiosi rei di occuparsi di argomenti relativi all’immigrazione, all’omosessualità e alle questioni di genere. Temi, gli ultimi due, il cui studio va disincentivato, secondo le autorità di Budapest, perché il paese non può permettersi di legittimare tendenze sessuali devianti, dato il suo saldo demografico negativo. Il governo ha così colpito a suon di decreti gli studi di genere costringendo le facoltà di sociologia a sopprimere le relative cattedre. D’altra parte le parole pronunciate di recente da Zoltàn Kovàcs, portavoce del gabinetto Orbàn, sono chiare: “Queste ricerche non coincidono con la filosofia del governo.” Governo che, nella riforma dell’istruzione, obbliga le scuole pubbliche ad adottare solo libri pubblicati dal Centro Statale per lo Sviluppo dell’istruzione (Ofi) al posto di quelli messi in circolazione da editori privati. Si parla di testi che descrivono l’immigrazione come un pericolo per i valori della nazione, e l’Unione europea come una entità dalla quale il paese si deve difendere.” L’Ungheria cresce ( anche se meno dei suoi vicini polacchi e sloveni) ma troppi sono i suoi giovani (per lo più scolarizzati e parlanti più lingue) che cercano all’estero un diverso futuro. Budapest è una bella turistica città, con buoni servizi, ma non è l’Ungheria e qui Fidesz non sfonda. Lo scorso agosto Orbàn era a Milano per incontrare Salvini, è stato chiesto a Massimo Congiu un breve commento: “…Due destini comuni. Anche Salvini, come il premier magiaro, parla di valori cristiani (e esibisce croci e rosari nei comizi, ndr.) di valori nazionali e della necessità di fermare i flussi migratori, non “semplicemente” di gestirli, come dice invece l’Ue. Per Orbàn e per i suoi sostenitori ungheresi e non, Budapest ha dimostrato che questi flussi si possono fermare, e il pluriministro italiano non vuol essere da meno, come dimostra il suo atteggiamento di fronte alle imbarcazioni delle ONG che portano i migranti “in crociera” per il Mediterraneo. Ma per loro la pacchia è finita, dice Salvini in un crescendo di volgarità che elettori confusi e/o sprovveduti prendono per fermezza con cui affermare le ragioni dell’Italia a livello europeo. Come Orbàn, Salvini agita lo spauracchio dell’invasione ( anche se i flussi sono diminuiti considerevolmente rispetto agli anni scorsi), alimenta tensioni e guerre fra poveri, per mascherare un vuoto politico grande come una voragine e l’assenza di un progetto per risolvere i veri problemi che affliggono il paese…In Ungheria la crescita economica è dovuta sostanzialmente ai fondi comunitari, la sanità e l’istruzione se la passano sempre peggio, c’è carenza di manodopera specializzata che appena può va all’estero e la stampa è in mano al governo, ma il problema è quello dei migranti. Questo è il modello da seguire? Per Salvini e per tutti i sovranisti di destra europei sì. Le loro politiche che creano ostilità nei confronti di chi è diverso, dei migranti che “in fondo così poveri non sono, in fondo non vengono da paesi in guerra”, sta inaridendo il panorama morale europeo. La loro propaganda sta intossicando le opinioni pubbliche di riferimento producendo danni duraturi. La loro retorica è sempre più simile e si ripete allo sfinimento…Bisogna fare una scelta tra viltà e coraggio della coscienza, tra barbarie e civiltà ed evitare che le paure irrazionali, sapientemente alimentate e strumentalizzate da certi sistemi di potere, diventino il criterio con cui concepire il rapporto con il diverso e con la vita stessa…Intendiamoci, i tempi non sembrano propizi al prevalere delle più nobili pulsioni umane. Ma sarà già qualcosa riuscire ad attivarci concretamente e accendere delle luci in questa notte della coscienza. E’ una battaglia di cultura e civiltà e va combattuta.