Un turismo di qualità: ora progetti [di Antonietta Mazzette]
La Nuova Sardegna 18 ottobre 2019. Parto dall’intervista rilasciata dal sottosegretario del Mibact Bonaccorsi per ragionare ancora una volta di turismo in Sardegna. Condivido l’idea di fondo espressa secondo cui, per avere un “turismo di qualità” specificamente nel caso della Sardegna, debba essere valorizzato il rapporto turismo-cultura-tutela ambientale. Così come mi pare importante ciò che ha dichiarato il ministro Franceschini a proposito della necessità di costituire una Fondazione per gestire un bene culturale (che non definirei “prodotto”) così prezioso per la sua unicità come il patrimonio rappresentato dai Giganti di Mont’e Prama. È del tutto evidente che queste affermazioni entrano in rotta di collisione, o quanto meno spostano l’attenzione da quel che è invece emerso al convegno tenutosi nei giorni scorsi in Costa Smeralda e di cui ha trattato Sandro Roggio su queste pagine. Ma perché questo rapporto possa realizzarsi sono necessarie alcune precondizioni strutturali di cui lo Stato dovrebbe farsi carico, e alcune scelte di fondo della politica regionale, con ciò senza che debba ignorare del tutto (ma non per questo accettare tout court) le forti domande provenienti dal mondo che si occupa di turismo balneare. Parto da un dato ovvio: la Sardegna dispone di beni culturali e ambientali rari e non tandardizzabili. Mi riferisco al ricco patrimonio archeologico già fruibile e a quello che ancora potrebbe essere portato alla luce, patrimonio che quasi sempre è situato in luoghi che di per sé costituiscono un valore culturale e ambientale, a condizione che diventino raggiungibili in tempi umani. Ma nonostante l’Isola abbia queste “miniere d’oro”, a tutt’oggi non è attrezzata per trasformarle concretamente in ricchezza per la sua popolazione né in termini occupazionali – e mi riferisco al lavoro di qualità garantito per tutto l’anno e non a quello “usa e getta” limitato ad alcuni mesi estivi – e neppure in termini di destinazione turistica. Anzi, quando riesce a conquistare una meta, quale quella di far entrare nella Rete mondiale dei Geoparchi dell’Unesco una vasta area come il Parco geominerario della Sardegna, l’incapacità di gestire questo patrimonio diventa talmente eclatante da farle perdere in breve tempo questa importante posizione. Per ciò che riguarda le precondizioni, oltre i noti problemi connessi ai collegamenti di cui ho trattato molte volte, il governo centrale si dovrebbe far carico di garantire finanziamenti stabili perché valorizzare i siti archeologici esistenti (anche virtualmente) e proseguire negli scavi sono necessarie risorse certe ed elevate professionalità. In merio a queste ultime, ricordo che gli atenei sardi hanno docenti che sono vere e proprie eccellenze in materia e formano studenti di alto livello che disgraziatamente, però, una volta laureati hanno difficoltà a trovare un lavoro in Sardegna. Quindi, ben venga la fondazione auspicata dal ministro che allargherei a tutto il patrimonio archeologico, ma senza risorse importanti è un bluff, utile solo per qualche posto di sottogoverno. Per ciò che riguarda le scelte della politica regionale, a tutt’oggi confesso che non mi sono chiare le direzioni che i nostri governanti intendono prendere, anche se ho timore che qualcuno voglia percorrere strade già battute, quale quella di considerare un ostacolo allo sviluppo (edilizio?) il piano paesaggistico regionale attualmente in vigore. Rendere concreta un’idea di turismo di qualità estesa a tutto il territorio significa però mettere in piedi una progettualità con una pluralità di soggetti che sappiano valorizzare gli aspetti tangibili e quelli intangibili dei luoghi. In merito sono essenziali due passaggi: riqualificare i luoghi in un’ottica di sostenibilità degli interventi e di miglioramento della qualità della vita della popolazione, secondo il noto principio make it the place better; intervenire in un’ottica integrata e complessiva, mettendo insieme tre tipi di capitale: finanziario (pubblico e privato), organizzativo e sociale. |