Quello che le ossa rasccontano [di Massimiliano Saltori]

Laboratorio

http://lameladinewton-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2019/11/04/quello-che-le-ossa-raccontano/. Serie televisive e film hanno recentemente reso popolare la scienza forense e le straordinarie informazioni che i resti umani possono dare in un contesto legale. Tuttavia, l’uso di questi reperti come strumento diagnostico in archeologia – per ricavare le informazioni demografiche e biologiche di una popolazione – è una realtà relativamente nuova. Una delle caratteristiche più interessanti desumibili dalle ossa, ad esempio, è la stima dell’altezza e come essa è cambiata nel corso dei secoli.

Televisione e cinema hanno recentemente portato alla ribalta scienze poco note al grande pubblico, come ad esempio l’antropologia forense. In serie come Bones (2005-2017), intrepidi antropologi risolvono casi complicati di omicidio attraverso le ossa rinvenute sulla scena del crimine. La serie ha i suoi alti e bassi1, ma nel complesso permette ad un vasto pubblico di venire a contatto con una disciplina praticamente inesistente nell’ambito della finzione televisiva, creando anche un genuino interesse come era già accaduto in passato per il genere del medical drama.

Serie tv come Bones e saghe televisive come CSI mostrano però solo gli aspetti medico-legali legati all’antropologia fisica, mentre la storia delle ossa nel contesto archeologico è un argomento complesso e variegato. Oggi l’antropologia fisica è una disciplina perfettamente integrata in un’ottica multidisciplinare, ma non è stato sempre così.

All’inizio del XIX secolo, i reperti osteologici umani erano considerati perlopiù meri strumenti accessori, di scarso valore se paragonati ai corredi funebri che li accompagnavano2. Quando Heinrich Sliman iniziò i suoi scavi in quello che riteneva essere il sito originale della mitica città di Troia, non lo fece per descrivere un popolo vissuto nell’Anatolia dell’età del bronzo, ma per aggiudicarsi per primo il ritrovamento del corredo della tomba di Priamo.

Ma il cambiamento era già in corso e avvenne principalmente a causa di una serie di contingenze storiche. Da una parte, la comunità scientifica necessitava di strumenti più affidabili che le permettessero di descrivere la diversità umana con maggiore accuratezza – fino ad allora definita più che altro sulla base di caratteristiche fenotipiche evidenti, come il colore della pelle o la forma dei capelli3.

Dall’altra, il crescente nazionalismo ottocentesco esigeva nuovi strumenti culturali che unissero il popolo in un contesto di appartenenza comune. In quest’ottica, l’archeologia – che fino ad allora era stata più che altro collezionismo per ricchi appassionati – e l’antropologia fisica, diventavano quindi un mezzo per legittimare il sentimento di identità nazionale4.

Si sosteneva in pratica, attraverso l’uso di queste discipline, un’immagine dell’Europa fatta di gruppi etnici al loro interno omogenei, separati dai moderni confini nazionali – ognuno quindi caratterizzato da una cultura, una storia e un’origine riconoscibile che li distinguesse dalle altre popolazioni europee. Anche biologicamente.

Oggi, l’importanza del cosiddetto approccio etnico è stata fortemente ridimensionata, anche grazie ad una revisione del concetto di diversità umana. Tuttavia, la tendenza a definire una popolazione sulla base delle caratteristiche delle sue ossa permane in parte ancora oggi. Malgrado l’uso strumentale che può esserne fatto, i resti osteologici rappresentano ancora una risorsa fondamentale per descrivere caratteristiche sociali o demografiche delle comunità del passato.

Un esempio concreto di come sia possibile fare uso di questi particolari reperti, pur rifiutando un approccio etnico, è ad esempio quello dello studio della statura.

L’altezza di un individuo sembra essere il risultato di un insieme di fattori, in parte genetici e in parte legati allo sviluppo durante i primi anni di vita. Quanto ognuna di queste due componenti sia responsabile nel risultato finale è al momento oggetto di dibattito, ma la componente genetica sembra essere prevalente5.

Per questo motivo, anche la statura – come altre caratteristiche umane condivise – è stata storicamente utilizzata come valore predittivo dell’etnicità di una popolazione. Questo approccio ha goduto di un certo consenso nell’archeologia italiana tra gli anni ’70 e ’80, in particolare nello studio delle popolazioni longobarde – considerate tendenzialmente più alte rispetto a quelle romane. Parte di questo interesse aveva probabilmente avuto origine dagli studi condotti all’epoca dall’antropologo ungherese István Kiszely.

Tuttavia, l’assunto su cui questa teoria si basava ebbe vita molto breve. In parte perché aveva portato a identificare la presenza di Longobardi anche in luoghi dove storicamente non erano presenti, ma soprattutto per via del fatto che lo stesso Kiszely aveva dovuto ammettere che i tratti “mediterranei” e “nordici” degli scheletri presi in esame sembravano abbastanza mescolati tra loro, difficilmente utilizzabili ai fini diagnostici6.

Come già detto però, l’altezza non è solo il prodotto diretto dell’ereditarietà, ma anche un potenziale indicatore delle condizioni ambientali incontrate da un individuo durante il corso della sua vita.

Una dieta fortemente ricca di proteine o particolarmente diversificata e migliori condizioni igienico-sanitarie possono risultare in una statura maggiore, che viene registrata come una variazione misurabile nel tempo – da una generazione all’altra – o nel confronto tra diverse comunità con differenti standard di vita. Le implicazioni sono quindi potenzialmente molto rilevanti.

Utilizzando un approccio di questo tipo è stato possibile, ad esempio, rivalutare periodi storici che fino a poco tempo fa erano stati associati a un forte declino demografico, come ad esempio l’alto medioevo (V-XI secolo d.C.). La nostra considerazione negativa dei cosiddetti “secoli bui” era stata finora legata principalmente all’idea che la caduta dell’Impero Romano avesse causato un deterioramento progressivo delle condizioni sociali nella penisola.

Tuttavia, malgrado l’improvvisa mancanza di servizi e infrastrutture che erano state garantite da Roma fino a quel momento, ci fu anche un progressivo rilassamento della tassazione sulle comunità rurali. Questo, unito ad un ridimensionamento del controllo dei ceti aristocratici sui contadini, fece sì che questi ultimi si trovassero improvvisamente ad avere un maggiore accesso alle risorse alimentari che coltivavano, migliorando così le loro condizioni di vita grazie anche ad un arricchimento della dieta.

Uno degli indicatori più evidenti di questo cambiamento viene riscontrato nella statura media della popolazione italiana, che aumenta sensibilmente durante questo periodo4. In quest’ottica, le necropoli – di cui l’Italia è ricchissima – diventano una vera e propria banca dati per determinare le condizioni di vita delle popolazioni storiche. Oltretutto, quelle altomedievali rappresentano una delle poche testimonianze disponibili della vita e degli usi dell’Italia di quell’epoca.

In genere, nei contesti urbani gli strati tra il V e il X secolo tendono infatti ad essere meno visibili rispetto a quelli del periodo imperiale o basso medievale. Studiare queste ossa diventa quindi una chiave di lettura ulteriore per comprendere i mutamenti sociali dell’Italia post-imperiale.

Al momento, i musei italiani vantano un notevole numero di collezioni osteologiche al loro interno. Tuttavia, la quasi totalità di queste è stipata in appositi magazzini, lontano dal pubblico e dai laboratori. Le ragioni sono comprensibili, e risiedono in parte sia nello scarso interesse espositivo legato a questi particolari reperti, che al numero eccessivo di ritrovamenti conservati – e forse anche alla scarsità di fondi e personale specializzato disponibile.

Inoltre, moltissimi di questi resti sono stati descritti molti anni prima con tecniche potenzialmente superate, cosa che renderebbe necessarie nuove analisi approfondite anche del materiale già noto. In una maniera un po’ poetica, studiare queste ossa significa quasi ridare un’identità a persone vissute migliaia di anni prima. Quello che noi otteniamo in cambio è una maggiore comprensione del passato. Forse il nostro.

NOTE

1. Killgrove K., Forensic TV Post-Mortem: The 5 Most and Least Accurate Episodes of ‘Bones’, 11 giugno 2015, forbes.com

2. McKinnon M., Osteological Research in Classical Archeology, American Journal of Archeology, Vol. 111, No 3. pp 473-504, july 2007

3. Biondi G., Richards O., L’errore della razza: avventure e sventure di un mito pericoloso, Carocci editore, 2011

4. Barbiera I., Memorie Sepolte. Tombe e identità nell’alto medioevo (secoli V-VIII), Carocci editore, 2012

5. Wood A. R., Esko T. […] Frayling T. A., Defining the role of common variation in the genomic and biological architecture of adult human height, Nature Genetics, 46, pp. 1173–1186, 2014

6. Kiszely I., The Anthropology of the Longobards, Oxford, 1979

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