Hans Arp e la sua galassia. [di Roberta Vanali]

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L’arte è un frutto che cresce dentro l’uomo, come un frutto su una pianta o un bimbo nel grembo di una madre. Tuttavia mentre il frutto della pianta, il frutto dell’animale, il frutto nel grembo della madre assumono forme autonome e naturali, l’arte, frutto spirituale dell’uomo, assume il più delle volte a una ridicola verosimiglianza con l’aspetto di altre cose.”

In contrapposizione all’idea di un’arte intesa come mimesi della natura, Jan Arp (Strasburgo 1887 – Basilea 1966) nel tentativo di recuperarne la spontaneità, libera la forma da una visione oggettiva per renderla autonoma. In grado di relazionare astratto e concreto, dopo l’esperienza della provocazione dadaista e il superamento della poetica surrealista, purifica ulteriormente la forma che si dispone liberamente nello spazio, sottolineando il rigore compositivo, per raggiungere quella che è l’essenza immateriale della realtà.

Tra astrazione e concretismo, tra fisicità e spiritualità, quella di Arp è un’arte di sintesi fatta di legami tra linguaggi apparentemente controversi che riesce a sostenere una posizione assolutamente indipendente nell’ambito delle avanguardie europee. Per celebrarne la singolarità, il Museo Man di Nuoro ha dato vita ad una mostra-evento, da poco conclusa, che ha raccolto alcune delle più celebri sculture, realizzate tra i primi anni Cinquanta e la metà dei Sessanta, provenienti dalla collezione Città di Locarno insieme a dodici rilievi, due arazzi e una serie di collage di grandi dimensioni.

Una seconda sezione ha ospitato le opere di diversi compagni di viaggio che si sono susseguiti in diverse fasi della sua vita. Autori complementari ai diversi aspetti della sua visione dell’arte come Alexander Calder, nella cui opera prevale l’idea di forma in movimento poeticamente risolta con i mobiles, sculture mobili dalle forme astratte e sospese fatte di piccole lastrine dipinte; Theo Van Doesburg, capostipite del Neoplasticismo in mostra con un arazzo del 1920; Paul Klee, che risale all’origine dei fenomeni naturali per reinventarli, rappresentato da un piccolo capolavoro che scaturisce dal rapporto tra musica e cromatismi. Per arrivare a Francis Picabia, con un’opera della fase surrealista, e Max Ernst, artista che Arp incrocia più volte nel corso della sua esistenza, in mostra con Coquille Fleurs appartenente ad una serie di stampo decorativo. Per concludere, tra gli altri, con Alberto Magnelli e Piero Dorazio, esponenti di due diverse forme di astrattismo italiano.

Una mostra, curata da Lorenzo Giusti e Rudy Chiappini che, oltre a raccontare la produzione matura di un grande artista capace di focalizzare il principio primigenio della forma, apre uno scenario sull’avanguardia astrattista europea. Una galassia di sintesi, costellata di forme e colori puri, tesa all’essenza. 

 

 

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