Adesso tocca a noi. Non c’è da essere malinconici? [di Umberto Cocco]
Mette tristezza l’articolo del direttore del Sole 24 Ore uscito nel “domenicale” e dedicato a noi (Roberto Napoletano, La solitudine dei sardi in un Sud dimenticato). Prende spunto da una telefonata di Pino Aprile che gli dice: “Guarda la Sardegna, non esiste più”. Non tutto è condivisibile, ma lo sguardo malinconico sì. Forse anche la conclusione (“Oggi la Sardegna ha bisogno di uomini del fare (…..) al passo con i tempi, e, purtroppo, in giro non se ne vedono”). Forse la nostalgia per una classe dirigente sarda e nazionale che va da Gramsci a Togliatti, a Berlinguer (stupisce che il giornale della Confindustra abbia questa memoria, e noi no…). A elezioni regionali appena vinte, a sinistra si dovrebbe poter dire, e prima di tutto pensare, con orgoglio: non è così, eccoci! Invece sembra malinconica anche qui in Sardegna e di poche promesse la stagione che comincia. Non c’è nessuna gioia a sinistra, per stare alla superficie, ai sentimenti. Che pure contano, in politica. E’ già stato detto che non c’era gioia nemmeno alla festa spontanea attorno al neo-eletto presidente della Regione il pomeriggio dell’elezione. Lo scampato pericolo della riconferma di Cappellacci non dà gioia. Non ce n’è oggi soddisfazione e non c’è mobilitazione nel nostro mondo, nella sinistra sarda, mobilitazione di idee e di persone, e di sentimenti. Non ci sono luoghi dove esprimerli, del resto, dove incontrarsi, riconoscersi, e non è l’ultima ragione (non l’ultimo sintomo) di una vittoria che sembra una mezza sconfitta. La sensazione è che non ci sia forza di innovazione e spinta nemmeno di rinnovamento, in questo successo. Che l’infelice slogan della campagna elettorale di Massimo Zedda alle comunali di Cagliari, “Adesso tocca a noi”, abbia precorso i tempi, con cinismo forse involontario: sostituire un gruppo con un altro, non importa se rinculando, arretrando, restando in pochi, sempre di meno. Sostituire il centrodestra, e nel centrosinistra giocare a riposizionarsi, i gruppi vincenti che si sono misurati alle elezioni e che prevalgono su altri, sconfitti o ridimensionati nella battaglia delle preferenze più che nel confronto politico e ideale anche interno al proprio schieramento. Francesco Pigliaru ha portato un tratto di estraneità e di garbo nella proposta del centrosinistra, ci ha messo una impoliticità che ha contribuito a far vincere, o meglio a perdere meno voti degli altri, ma non la forza dirompente della personalità che per esempio fu di Soru nel 2004 e nel 2009, e che servì a vincere e a perdere ma combattendo, e combattendo dentro e fuori e mobilitando energie, risorse, idee, alla fine suscitando un sentimento popolare che è ora quel che manca di più. Certo non al neo-presidente va imputato questo vuoto, anche se gli toccherà di pagarne più di un prezzo. Di più ai consiglieri uscenti, a cinque anni di opposizione blanda e senza orizzonte, ai partiti per come sono diventati, arroccati e chiusi in gruppi di potere (comitati elettorali) e tanto più chiusi quanto più deboli nel rapporto con la società: vorrei sbagliarmi ma da queste elezioni la sinistra sarda esce più debole e più arrogante, i gruppi costituiti più famelici di quanto non fossero, cresciuti all’ombra di una partecipazione alla spartizione del potere con pezzi del centrodestra, e per mancanza di grande politica tornati alla bottega anche i migliori. C’è da chiedersi dov’è finito quel radicalismo, quella spinta anche a scompaginare i partiti della sinistra che abbiamo conosciuto dieci e cinque anni fa. Magari si scopre che sono quegli entusiasmi la causa della depressione di oggi, le ubriacature, i movimenti e i sentimenti che non trovano canali, non si organizzano, si affidano semplicemente, subalterni, pronti a spegnersi con la rapidità con cui si sono infiammati. Magari è vero che sono le velleità rivoluzionarie e una certa ideologia palingenetica della sinistra che fanno dell’Italia un caso in Europa, rendendo faticosa la conquista a passi lenti e decisi del riformismo appunto europeo che sarebbe più rivoluzionario del più radicale programma di Sel. Un pezzo di quel radicalismo sano se n’è andato con Michela Murgia, che lo ha portato fuori dalla sinistra, votandolo all’irrilevanza politica e non solo perché non è stato eletto nemmeno un consigliere, com’era largamente previsto. Fuori dalla sinistra, e contro la sinistra: per gli slogan usati, quel misto di grillismo sterile e di indipendentismo non ben compreso, di aggregazione di No a ogni opera pubblica e iniziativa industriale, e il ritornello che sembra sempre nuovo a qualcuno, della “diversità antropologica”, il siamo più puliti, più sani, incorruttibili, che funzionicchia per tutti i movimenti nascenti e che però se durano si rivelano nella storia più permeabili degli altri alla corruzione e ai vizi, senza l’argine di un ideale politico, di una struttura sedimentata di organizzazione minimamente democratica. Sono spinte presenti nella società, prescindono da Murgia (e da Grillo): ma Michela Murgia aveva gli strumenti per condurre un’operazione più difficile e complessa ma con più interessanti prospettive, alla testa di questo pezzo di Sardegna: portarlo a incidere a sinistra, vincendo le elezioni, facendosi carico di governarla la Sardegna in anni difficili e senza scorciatoie, con una spinta che ora ci manca, quella minoranza combattiva che non accetta gli equilibri del potere costituito, prova a metterli in discussione. Invece eccoci qui, alle riunioni dei capi corrente del Pd, tutti al tavolo ristretto, anche coloro che furono contro le correnti. “Adesso tocca a noi”. Non c’è da essere malinconici? |
Un Poeta ( tra i più grandi, che di più non si può ) disse che la “storia magistra non è”; sarà ma se non si impara dall’esperienza ( della storia della sinistra ) altro esito non c’è: o ci si rompe ( spesso ) la testa o nella testa monta la malinconia; è proprio così, tutto da condividere.
Tutto questo melodramma per finire con l’andare addosso alla Murgia e al m5s (mai che si parli di Sardegna Possibile, ma sempre avvallando acriticamente e ignorantemente l’adagio che lei sia madre e padrona)? Che delusione!
Sono sempre più convinto che non sia la capacità di capire a fare difetto a quelli che avversano Sardegna Possibile, accusandoli perfino di fare peggio di quelli che hanno governato pur senza essere mai stati nei posti di comando.
No no, è proprio la volontà di capire, di approfondire, quella che manca.
Fosse solo un problema di queste persone si potrebbe concludere dicendo “tenetevi i vecchi cari capibastone, visto che sono proprio le bastonate la cosa più gradita proveniente da sx (come da dx)”.
Purtroppo questi signorotti, che “il siamo più puliti, più sani, incorruttibili” non lo sbandierano perché almeno sulla forma vogliono distinguersi dai forzitalioti, ce li dobbiamo tenere tutti.
Altro che malinconia, questo è sardomasochismo bello e buono.
Il ” Burkina Faso “, paese compreso nella fascia meridionale del Sahara e fino all’ anno 1984 chiamato Alto Volta, dalla capitale ” Ouagadougou ” indimenticabile anche perchè impronunciabile, ha nel suo nome ” Paese degli uomini incorruttibili ” un fascino inconfondibile . Se in un cielo politico così poco luminoso, la Sardegna diventasse oggi ” Sardegna Burkina ” e ” Sardegna Faso ” nei fatti, sarebbe ” stella polare ” nuova, meno malinconica, di certo più visibile !
Grande fotografia del momento …. bravo U Cocco
Bravo Vittorio, condivido. Si vede che, per colpa del mandato da… sindaco, ti manca la scrittura
Mi fanno molto piacere i commenti di Salvatore Poddi e di Augusto Ditel. Ho vissuto con il primo molte non dimenticate esperienze politiche nel Pci dell’Oristanese, lui a Cabras a lungo dirigente politico e poi sindaco non ideologico, in un ambiente difficilissimo e vitale con il quale la sinistra non è più riuscita a entrare nemmeno in contatto. Con Augusto Ditel un’esperienza in redazione alla Nuova Sardegna di Olbia, della quale era il responsabile, e che conduceva con una tolleranza e un’apertura che mi sembrano oggi da rimpiangere (da lettore, perché da giornalista mi tollera con altrettanta libertà e naturalezza Sardegna Soprattutto….), insieme alle molte altre cose e persone di quegli anni e di quella Gallura, persino la Olbia “socialista” che ho fatto in tempo a conoscere.
Grazie a Bruno Paliaga, al quale chiederei al volo: qualcosa di interessante negli ambienti Sel di Oristano?
Mi fa molto piacere anche il commento più lungo e in dissenso scritto da Nicolò Migheli, che ringrazio perché non si offende, non mi prende per nemico, come fa invece Angelo (Angelo chi?) nel primo commento al mio articolo, ma affronta gli argomenti, fa un ragionamento, fa pensare. Ci mette molta buona volontà e molto del suo auspicio nel definire Sardegna Possibile un movimento di sinistra, ma la politica sono volontà e desideri che si fanno progetto: e mentre è chiaro quello di Nicolò, e non lo è quello della leader Michela Murgia, aspetto che si moltiplichino le espressioni del genere di quelle di Nicolò Migheli. Sarebbe la svolta auspicata, quella ahimè mancata in vista delle elezioni, e che avrebbe potuto influire sulla storia della Sardegna senza aspettare che un giudice annulli il voto e ci faccia riconvocare tutti a un nuovo appuntamento elettorale. (Ho paura che passerà tempo, e non ci giurerei che Sardegna Possibile sarà ancora…. possibile)
Io non ci credo che “sempre di più la contraddizione territoriale è quella che sta segnando e segnerà i rapporti dentro la Repubblica italiana, così come avviene in Spagna e Gran Bretagna”, come scrive Nicolò Migheli. Non ci credo e soprattutto non me lo auguro. Può accadere e accade, e per dove sta accadendo, la Lega Nord per esempio è un vostro modello? Certo, il mondo si scopre di nuovo in preda a improvvisi scoppi di micro-nazionalismi, ma è il mondo che vogliamo? Non mi sembrano contro il nuovo zar le spinte nazionaliste della Crimea e dell’Ucraina dell’est, per stare alla stretta attualità. E intanto vedo che quanto più se ne parla di indipendentismo e sovranità in Sardegna, meno se ne esercita, e che si sta smarrendo anche ogni principio di autonomia.