Settis: «La Costituzione tutela le coste sarde» [di Costantino Cossu]
il Manifesto 23 gennaio 2020. Intervista allo storico dell’arte. Il disegno di legge della giunta Solinas, per demolire le norme di tutela del territorio approvate nell’era Soru, «non è praticabile»: «I piani paesaggistici regionali sono uno strumento di attuazione di una legge dello Stato, il Codice Urbani, che è uno strumento di attuazione dell’articolo 9 della Carta» Il paesaggio in Italia è devastato impunemente ogni giorno per il profitto di pochi. Ci sono i principi di tutela del territorio sanciti dalla Costituzione, e c’è un degrado dello spazio che abitiamo che è anche una forma di corrompimento del vivere comune, in cui malcostume diffuso e leggi contraddittorie decretano la condanna di un patrimonio inestimabile. È ciò che Salvatore Settis (archeologo e storico dell’arte, già direttore della Normale di Pisa, presidente dal 2007 al 2009 del Consiglio superiore dei Beni culturali) va denunciando da anni in un’instancabile opera di chiarificazione dei presupposti etici e giuridici della tutela del paesaggio e di disvelamento della vasta e trasversale rete di interessi che stanno dietro lo scempio di intere aree del paese. Un nuovo fronte di questa battaglia si apre ora in Sardegna, dove un disegno di legge della maggioranza di centrodestra, che governa la regione dopo la sconfitta del centro sinistra alle elezioni dello scorso anno, mette a rischio le norme di tutela delle coste contenute nel Piano paesaggistico regionale (Ppr) approvato nel 2006 dalla giunta guidata da Renato Soru per mettere al riparo una bellezza unica al mondo dalle mire dell’edilizia selvaggia e della speculazione immobiliare. Professor Settis, più volte lei ha detto che se si deve parlare di difesa del paesaggio il primo richiamo è quello alla Costituzione…In realtà s’è cominciato molto prima, nel nostro paese, a preoccuparsi di difendere un patrimonio straordinario. La prima legge italiana sul paesaggio, dovuta a un ministro che si chiamava Benedetto Croce, fu varata nel 1920; ma prima ancora di questa ci furono numerosi provvedimenti degli Stati italiani preunitari, che tracciano da secoli la strada che avrebbe portato alla Costituzione repubblicana. Cito in particolare l’Ordine del Real Patrimonio di Sicilia del 1745, che simultaneamente tutelava i boschi ai piedi dell’Etna e le antichità di Taormina: che io sappia, il più antico caso al mondo in cui tutela dei paesaggi e quella dei beni artistici e archeologici si muovono di pari passo come parte di un sistema unico, proprio come nell’articolo 9 della Costituzione: «La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». “Tutela”, un verbo al presente…Certo. Un’indicazione chiarissima: la salvaguardia del paesaggio è inscritta nell’ordine stesso della Repubblica, deve essere resa operativa attraverso l’azione del legislatore e ogni intervento, politico o amministrativo, che vada in direzione opposta nega uno dei fondamenti dell’ordinamento istituzionale. E come ha provveduto il legislatore ad attuare il principio costituzionale? Il primo intervento organico risale al 1985, quando fu approvata la legge Galasso, con la quale gran parte del territorio nazionale veniva sottoposta a “vincolo paesistico”. La legge, inoltre, dava indicazione perché ogni regione italiana si dotasse di un piano di tutela del paesaggio e stabiliva che, in assenza di un intervento dei poteri locali, a stabilire norme di salvaguardia subentrasse, regione per regione, lo Stato. E che cosa accadde? Accadde che non solo nessuna Regione presentò un piano, ma che nemmeno i poteri centrali intervennero mai a esercitare il loro diritto di surroga. Con le conseguenze facilmente immaginabili. Per trovare un altro tentativo di attuare l’articolo 9 della Carta costituzionale bisogna arrivare al 2004…Sì. Durante la quattordicesima legislatura, nel 2004, dal ministro per i Beni culturali Giuliano Urbani viene elaborato il Codice dei beni culturali e del paesaggio, un decreto legislativo poi approvato dal governo che fissa norme di tutela e insieme di valorizzazione, in un quadro di collaborazione tra potere centrale e autonome locali. Ma, ancora una volta, le cose non sono andate un granché bene. Per quanto riguarda il paesaggio, in particolare, solo quattro regioni hanno dato seguito alle indicazioni del Codice Urbani: la Toscana, la Puglia, il Piemonte e la Sardegna. La Sardegna si è mossa con particolare rapidità…È vero. Renato Soru viene eletto governatore nel 2004, l’anno in cui il codice Urbani viene approvato. In un tempo relativamente breve, dal 2004 al 2006, l’isola si dota di un Piano paesaggistico che diventa un modello. Mantenerlo nella sua integrità è un obbligo che non è solo dei sardi, è di tutta la comunità nazionale. I piani paesaggistici regionali sono uno strumento di attuazione di una legge dello Stato, il Codice Urbani, il quale a sua volta è uno strumento di attuazione dell’articolo 9 della Costituzione. Questi sono i presupposti legislativi e i fondamenti giuridico-istituzionali, di fronte ai quali ogni ipotesi di intervento che metta fuori gioco le norme di tutela concordate dalle Regioni con lo Stato è non praticabile. Solo quattro regioni hanno un piano paesaggistico. Perché in Italia è così difficile che si affermi una cultura della tutela? La causa è il prevalere di uno pseudo-pensiero che bada soltanto ai guadagni nel breve termine e non al pubblico interesse e ai diritti delle generazioni future. La Sardegna (o l’Italia) non appartengono solo a noi che viviamo oggi. Il paesaggio e i beni culturali, una ricchezza straordinaria, sono qualcosa che abbiamo ricevuto da chi è venuto prima di noi e che abbiamo oggi in prestito da chi verrà dopo di noi. Sono i tempi lunghi della storia che devono guidarci nelle decisioni. Non si può venire meno a questi valori per favorire l’interesse di pochi. Difesa del paesaggio e cultura democratica in che modo sono legate? L’articolo 9 della nostra Costituzione è inserito in un quadro di principi centrato sull’uguaglianza, la giustizia, la «pari dignità sociale» dei cittadini. Ciò significa che dovunque ci sia contrasto fra il bene comune e il profitto privato deve essere il primo a prevalere. Il piano paesaggistico della Sardegna risponde a principi di pubblico interesse; i ripetuti tentativi di smantellarlo rispondono a miopi interessi particolari. |