Un’opera dimenticata al Lirico di Cagliari [di Franco Masala]

teatro

Il capolavoro postumo di Puccini, Turandot (1926), è considerato generalmente l’ultimo esempio di grande opera italiana. Ciò non ha impedito naturalmente che, dopo, altri compositori scrivessero altre opere ma raramente con esiti memorabili. È ciò che accade anche con Palla de’ Mozzi, scelta per l’inaugurazione della stagione lirica 2020 del Teatro Lirico di Cagliari. Ne è autore Gino Marinuzzi, più noto come direttore d’orchestra, che nel 1932 diede alla Scala la sua opera cui arrise un certo successo per circa dieci anni con una cinquantina di repliche in diversi teatri tra Roma, Torino e Berlino fino all’oblio totale.

Va inserita nel clima asfittico dell’Italia degli anni Trenta, sorda in gran parte a ciò che si produceva frattanto altrove. Basti il richiamo a Moses und Aron di Schoenberg o alla Lady Macbeth del Distretto di Mcensk  di Šostakóvič, quasi coeve, per capirne il contesto. Da noi imperavano Respighi, Pizzetti, ancora Mascagni e una miriade di compositori assolutamente dimenticati (da Riccitelli a Guerrini a Mulè) che affollavano i teatri e le emissioni radiofoniche dell’E.I.A.R., oggi RAI. Marinuzzi si colloca in questo ambito anche se con una marcia in più derivante dalla conoscenza diretta delle musiche, pure contemporanee, che dirigeva e da una ricerca interessante di linguaggi nuovi.

Ora la ripresa cagliaritana consente di conoscere direttamente la sua ultima opera, quasi un poema sinfonico con diverse oasi strumentali che rivelano spesso un’orchestrazione sopraffina e strumenti anche inconsueti (fiati e percussioni in primis) e serviti da un testo trascurabile (di Giovacchino Forzano, anche coautore di drammi teatrali con Mussolini) e poco scorrevole. L’azione diventa dunque farraginosa e stenta a prendere quota con il risultato di un dramma povero teatralmente e affidato quasi esclusivamente a voci e orchestra.

Rimangono però alcuni bei momenti come il contrappunto centrale del primo atto con le voci delle suore, dei lanzichenecchi e dei soldati che si intrecciano efficacemente, il grande concertato dell’Agnus Dei o la scena del giudizio con i diversi piani musicali. Problematico è invece il declamato pressoché continuo che costringe i cantanti a innaturali arrampicate sulle note mentre è retorico, gonfio, reboante il finale “patriottico”, affidato al tenore, con esiti anacronistici e datati.

Il maestro Giuseppe Grazioli dirige con grande competenza, tenendo in equilibrio orchestra, coro e coro di voci bianche del Conservatorio nelle ampie scene d’insieme senza prevaricare le voci, e scatenandosi invece con clangori eccessivi, soprattutto nel finale. Il baritono Elia Fabbian, nel ruolo del titolo, accenta con vigore e voce robusta mettendo in evidenza soprattutto la violenza del personaggio.

La coppia amorosa, Francesca Tiburzi e Leonardo Caimi, è chiamata ad una tessitura vocale talvolta ostica nelle note più acute, disimpegnandosi egregiamente. Numerose le parti minori nelle quali emergono Francesco Verna (Montelabro), l’ottimo Giuseppe Raimondo (Straccaguerra), Luca Dell’Amico (cui spetta la canzone grottesca di Capitan Niccolò) e Cristian Saitta nei panni del Vescovo. Completano la locandina dignitosamente Murat Can Güvem (Giomo), Matteo Loi (Spadaccia), Andrea Galli (Il Mancino), Alessandro Busi (il capo dei Lanzi), Elena Schirru e Lara Rotili (le due suore).

Giorgio Barberio Corsetti e Pierrick Sorin firmano regia, scene e video, utilizzando la stessa tecnologia sperimentata per la rossiniana Pietra del paragone (2016) con le telecamere che riprendono i movimenti dei cantanti su uno sfondo blu per ricomporle sugli schermi dove campeggiano le immagini dei modellini delle scene in scala visibili sul palco. Se però quello spettacolo era pieno di trovate intelligenti e divertenti (indimenticabile la partita a tennis del tenore) grazie alla vicenda buffa, oggi l’esperimento appare meno riuscito anche perché tende più ad aggiungere che a sottrarre.

Si vedano i “siparietti” inutili con il sagrestano, il servo sciocco e il boia (il mimo Julien Lambert) che disturbano senza essere minimamente funzionali all’azione e contrastano con l’azione tragica che via via si snoda, o certi filmati decisamente kitsch. Molto belli, invece, i costumi di Francesco Esposito e decisamente efficaci le luci di Gianluca Cappelletti.

Successo cordiale in presenza di molti critici di numerose testate, ma ora una domanda: a quando Der Rosenkavalier, Elektra e i capolavori del Novecento mai rappresentati a Cagliari?

*foto di Priamo Tolu ©

Palla de’ Mozzi melodramma in tre atti libretto Giovacchino Forzano musica Gino  Marinuzzi

Teatro Lirico di Cagliari

venerdì 31 gennaio, ore 20.30 – turno A

sabato 1 febbraio, ore 19 – turno G

domenica 2 febbraio, ore 17 – turno D

martedì 4 febbraio, ore 20.30 – turno F

mercoledì 5 febbraio, ore 20.30 – turno B

giovedì 6 febbraio, ore 19 – turno L

venerdì 7 febbraio, ore 20.30 – turno C

sabato 8 febbraio, ore 17 – turno I

domenica 9 febbraio, ore 17 – turno E

Le recite per le scuole con l’esecuzione in forma ridotta dell’opera della durata complessiva di 60 minuti circa, sono previste martedì 4 febbraio alle 11 e venerdì 7 febbraio alle 11.

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