Il paesaggio e la percezione dei luoghi [di Maria Antonietta Mongiu]

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L’Unione Sarda 20 febbraio 2020. La città in pillole. Sarebbe di urgente utilità chiedere a un cagliaritano in quale oggetto o spazio identifica o percepisce o definisce meglio l’imago urbis del “luogo dei bianchi colli”, antichissimo e materico significato del nome Cagliari. La domanda non è retorica specie ai fini della pianificazione di qualsiasi ambito relativo all’urbano che voglia garantire benessere e futuro a chi ci vive.

Il paradigma della percezione dei luoghi e delle sue pratiche conseguenze è indirizzo fondante la Convenzione europea del Paesaggio, sottoscritta a Firenze nell’ottobre del 2000 dagli Stati membri del Consiglio d’Europa per salvaguardare e promuovere il patrimonio comune.

Vi si legge all’art. 1 “Ai fini della presente Convenzione: a. “Paesaggio” designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni…”.  La Convenzione è recepita dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (Dl 42/22/01/2004) noto anche come Codice Urbani dal nome di Giuliano Urbani, ministro del Mibact del secondo governo Berlusconi.

Il Codice riordina disposizioni e norme relative ai beni culturali e paesaggistici. Ma non solo. Grazie all’azione valorosa di decine di docenti oggi in molte scuole della città e della Sardegna la Convenzione è studiata unitamente all’art. 9 della Costituzione che dice ”La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, che nel Codice Urbani trovano piena attuazione.

Va da sé che quando si parla di paesaggio si parla di futuro e quindi dei giovani. Ben  per questo i costituenti pensarono la cultura, la ricerca, il paesaggio in una relazione interdipendente. Non si può riconoscere infatti qualcosa o qualcuno senza conoscenze e competenze culturali che poggino sui solidi pilastri della sapienza antica delle comunità e del faticoso lavoro di generazioni di studiosi.

Sono entrambi a rischio di deriva. La prima per la perdita di senso tra carnevali e sagre forever e il secondo per l’affermarsi della storia e delle archeologie da quinta scenica o à la carte. Sarebbe utile fare la domanda posta in apertura a chi amministra pro tempore la complessità che la straordinaria densità di natura e di storia ha stratificato a Cagliari.

Non prima di documentate passeggiate urbane, possibilmente con un liceale che ha letto la Convenzione europea.

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