Ite fàghere? Che cosa fare con il sardo? [di Alessandro Mongili]
Di recente, la Corona de logu, cioè l’associazione degli amministratori indipendentisti, ha elaborato una mozione su alcune misure che gli enti locali potrebbero adottare al loro interno per rafforzare lo status del sardo e il suo uso negli enti locali. La consigliera Enrica Fois ne ha presentato una versione nel Consiglio della Municipalità di Pirri, poi approvata. La sua redazione in sardo ha scatenato una brutta discussione, dai tratti anche molto aggressivi nei suoi confronti. Pochi giorni dopo, la consigliera regionale Désirée Manca e altri consiglieri del M5S e dell’opposizione hanno presentato una mozione che impegna la Giunta regionale a dare attuazione alla Legge regionale 22 del 2018 sulla politica linguistica, sinora rimasta in larga misura lettera morta, cosa che ha creato moltissimi problemi di lavoro a chi, da precario, ha seguito progetti e si è impegnato nell’insegnamento del sardo in base a normative precedenti, ma superate da questa legge. Per questo, domani sera, 26 febbraio, a Su Tzìrculu in Via Molise 58 a Cagliari, alle 20.00, riprenderemo la discussione pubblica su questo tema, con una presentazione del rapporto sui temi trattati nella Cunferèntzia aberta de su sardu, pubblicato da Condaghes nel 2018 con il titolo de Sa dòpia ferta, cioè la “doppia ferita” dello spossessamento linguistico e della dipendenza dei Sardi. Che cosa è cambiato in questi anni con la politica linguistica, e che cosa è cambiato con il sardo? Il Rapporto Sa dòpia ferta è un’analisi dei temi emersi in una discussione collettiva alla quale hanno partecipato un centinaio di attivisti, studiosi ed esperti, fra i quali una sessantina in modo attivo. Gli interventi sono stati codificati e riassunti per temi emersi. Il Rapporto è interamente scritto in sardo, e forse è uno dei primi testi di questo genere scritti interamente in sardo, e corrisponde a una sorta di agenda collettiva di politica linguistica. Da questa base di elaborazione collettiva e partecipata partirà la discussione. In questi anni molto è cambiato rispetto alla situazione del sardo. Possiamo pensare che il suo uso sia diminuito in termini quantitativi, ma sul piano della diffusione e dell’abitudine a scriverlo, soprattutto nelle reti sociali, si osserva una sua costante diffusione. In questi anni è nata una televisione che trasmette interamente in sardo, Ejatv, e molte trasmissioni radio-televisive sono diffuse in sardo da diverse emittenti, si sono diffusi moltissimi corsi di sardo, molto frequentati. L’Istituto comprensivo di Pérfugas, utilizzando gli strumenti dell’autonomia scolastica, ha introdotto il sardo e il gallurese in orario curricolare, nel progetto Limba nostra, sino ad ottenere nel 2018 il Label Europeo delle Lingue, un premio connesso con il programma Erasmus Plus, e giungendo ad autoprodurre un manuale scolastico sardo-gallurese diretto all’uso didattico (Gioghende e imparende – Ghjuchendi e imparendi, edito anch’esso da Condaghes). La discussione sulla toponomastica in sardo e sull’intitolazione delle strade ferve. Sono state pubblicate alcune opere letterarie importanti. È nato Sardoo, un videogame in sardo e che favorisce, attraverso la gamification, l’apprendimento del sardo. Prosegue il connubio fruttuosissimo fra informatici e lingua sarda in molteplici iniziative e studi. L’associazione Mèigos ha posto il problema dell’uso del sardo da parte del personale e delle strutture sanitarie, problema snobbato solamente dal solito centrosinistra eternamente indietro e eternamente statalista. Un impegno che probabilmente produrrà una legge regionale a favore degli specializzandi. La sit-com udese diffusa attraverso la piattaforma Facebook, Angius’House, raggiunge per alcune sue puntate le 350.000 visualizzazioni, e, a giudicare dai commenti, molti dei quali femminili e di area campidanese e cagliaritana, promuove quasi quotidianamente l’esposizione alla lingua sarda di migliaia di persone. Nel Rapporto, questo emergere delle iniziative di politica linguistica dal basso era attesa, ma i partecipanti vivevano intensamente il lutto della fine di una politica linguistica coordinata da parte della Regione. Che infatti si è volatilizzata. Con essa, in qualche modo, anche la centralità della regolazione e la vexata quaestio dello standard grafico (o, secondo taluni, linguistico) è diventato un problema secondario in questa fase, in assenza di un’istanza decisionale. Questo forse non è un male perché ha rilanciato la palla al campo delle iniziative dal basso, che mancano di organicità, ma creano protagonismo e attivismo. Duncas, de fàghere, bi nd’at meda. |