La Grande lezione dell’epidemia [di Antonietta Mazzette]
La Nuova Sardegna 9 marzo 2020. L’emergenza sanitaria sta cambiando i nostri comportamenti, anche se fatichiamo a seguire le regole imposte dal Governo. L’emergenza finirà (speriamo in tempi ravvicinati) e probabilmente impareremo a convivere con il coronavirus, anche perché la scienza tutta è mobilitata per trovare le difese più adatte. Che insegnamenti sapremo trarne? Ci sono almeno tre livelli da prendere in considerazione. Un primo livello è quello globale. È acquisita l’idea che una delle cause principali di questa epidemia sia legata ai cambiamenti ambientali dovuti a uno sviluppo economico frenetico che si è accompagnato all’espansione di informi insediamenti territoriali, con forme di sfruttamento del lavoro e delle risorse naturali che ricordano – ma in modo decisamente amplificato – gli squilibri ambientali e sociali che hanno caratterizzato l’avvio dell’industrializzazione in Occidente. Infatti, la costruzione rapida di mega-città dei Paesi in rapido sviluppo, quali la Cina, sta distruggendo vasti habitat naturali e la loro biodiversità, e ciò sta determinando un aumento esponenziale del rischio di contatto tra esseri umani e animali selvatici. Si tratta di un modello di sviluppo che considera le risorse ambientali sfruttabili in modo illimitato. Sotto il profilo culturale il concetto di limite si è affermato all’interno della governance europea, ma sul piano pratico ha ancora troppi nemici. Questa crisi solleciterà i governi ad un ripensamento complessivo del modello di sfruttamento ambientale che è causa primaria della crisi in atto? Un secondo livello è quello nazionale. Nel nostro Paese abbiamo “scoperto” che un’economia produttiva delocalizzata è un danno sociale e forse non è più utile neanche alle imprese: non a caso alcuni imprenditori italiani hanno espresso la volontà di riportare le loro aziende in Italia. Ma dobbiamo recuperare decenni di smantellamento della produzione in molti comparti e l’attuale crisi ne ha evidenziato le criticità economiche, ma anche quelle politiche. Ad esempio, per le forniture sanitarie (dalle mascherine ai farmaci) da anni dipendiamo da altri Paesi e il fatto che per paura della pandemia questi Paesi stiano bloccando le forniture, pone in evidenza i fallimenti tanto della nostra economia, quanto di una certa politica che dell’ideologico “prima gli italiani” ha fatto un vessillo. Inoltre, ci sono settori strategici che costituiscono la dorsale della nostra società e della nostra democrazia: la sanità, l’istruzione e la ricerca, l’amministrazione pubblica. Guarda caso i settori che in questi ultimi decenni sono stati fortemente delegittimati (anche dai media) e penalizzati in termini di innovazione, turn over, investimenti. Confido che i nostri governanti, superata l’emergenza, si ricordino che tutte quelle persone che stanno lavorando senza tregua in questi settori e che ora osannano, nei diversi bilanci erano classificati come un costo, piuttosto che come una risorsa. In altre parole, i governanti riconosceranno il fallimento delle loro politiche economicistiche e dal respiro corto che hanno segnato negativamente il nostro Paese? Un terzo livello è quello individuale e sociale. È ancora presto per capire se questa emergenza ci abbia reso più consapevoli del fatto che il benessere individuale non possa prescindere dal benessere degli altri. Anche se la realtà oggi ci ha palesato una cosa assai ovvia, che avere un alto senso civico conviene a ognuno di noi. C’è anche una dimensione sociale che l’emergenza sanitaria ha ben evidenziato: l’essere costretti ad evitare gli assembramenti ci ha indotto a salvaguardare quel che riteniamo essenziale e a tralasciare il superfluo, anche sotto il profilo delle relazioni sociali. Ma c’è un elemento sul quale dobbiamo da subito riflettere criticamente, la paura del contagio ci sta lasciando indifferenti su tutto il resto, comprese le grandi tragedie che si stanno consumando alle porte dell’Europa. Superata questa fase avremo memoria di tutto ciò? |
Ma davvero ” È acquisita l’idea che una delle cause principali di questa epidemia sia legata ai cambiamenti ambientali dovuti a uno sviluppo economico frenetico che si è accompagnato all’espansione di informi insediamenti territoriali, con forme di sfruttamento del lavoro e delle risorse naturali che ricordano – ma in modo decisamente amplificato – gli squilibri ambientali e sociali che hanno caratterizzato l’avvio dell’industrializzazione in Occidente”, come scrive Antonietta Mazzette?
Non mi sembra che questa lettura sia così acquisita, ma potrei sbagliarmi. E mi sembra persino meglio così, che non si affrettino le conclusioni da trarre da quel che sta succedendo, che rischierebbero di apparire ideologiche, lo schema che spiega tutto. Ma poiché ho stima dell’autrice dell’articolo, le chiederei di spiegare meglio la sua tesi. Per esempio: ci sono sempre stati focolai epidemici in giro per il pianeta nella storia dell’umanità, nati in contesti diversi e anche radicalmente diversi, assai prima della rivoluzione industriale e dell’avvento del capitalismo e a cui sembrava anzi che il progresso industriale avesse posto fine. La professoressa Mazzette conosce sicuramente meglio di me quelli recenti e recentissimi come Ebola, nelle cui origini e nel cui sviluppo non sembrerebbero esserci gli elementi che l’articolo vede nel Covid-19.
E l’epidemia di cui scrive Tucidide nella Guerra del Peloponneso, scoppiata durante la guerra tra Atene e Sparta nel 431 a.C.; quella durante il governo di Giustiniano che dal 541 decimò la popolazione di Costantinopoli e che nelle cronache di Procopio di Cesarea provocava 10.000 morti al giorno nella sola capitale dell’impero bizantino; la peste nera del 1348 che fece quasi venti milioni di morti nel continente; quella del 1630 descritta da Manzoni; l’influenza spagnola di appena un secolo fa e che è passata come la più grande pandemia della storia dell’umanità, cosa avevano di base di paragonabile alla Cina e al mondo di oggi?
C’erano selvatico e urbano anche allora, piccoli mondi chiusi e traffici globali. Lei ha qualche strumento in più per aiutarci a capire.