I racconti del COVID-19 [di Franco Masala]

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Chiunque abbia incrociato, anche fugacemente, I promessi sposi sa benissimo che al centro del più famoso romanzo italiano dell’Ottocento è la peste. Alla sua diffusione Alessandro Manzoni riserva il XXXI capitolo, citatissimo nelle ultime settimane. Per tutto il testo valga l’avvio che sembra scritto oggi, in tempo di emergenza da COVID-19: «La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia».

Non è certo il primo esempio di “peste letteraria” poiché da Omero a Tucidide, da Lucrezio a Boccaccio fino a Camus si sprecano i riferimenti come ben sanno gli studenti – soprattutto del liceo classico – che hanno frequentemente utilizzato l’argomento per i percorsi da presentare all’esame di maturità.

È forse meno nota la peste in termini artistici non fosse altro poiché legata agli ex voto che numerosi, nel corso del tempo, sono stati offerti a questo o a quel santo. Sono infatti moltissime le opere pittoriche dedicate al tema della peste tanto da smentire abbondantemente la tesi di Michele Mazzitelli (medico calabrese particolarmente legato alla cura della peste) che, pubblicando nel 1952 La pestilenza nell’arte, ribadiva «la mancanza di una grande opera d’arte che rispecchi il dolore umano per le immani stragi delle pestilenze che si son succedute dai primordi della storia».

La dotta disquisizione affermava che le poche testimonianze a disposizione dimostravano la secondarietà dell’arte rispetto alla letteratura riguardo alla rappresentazione della tragedia collettiva della peste. Lo smentisce clamorosamente la quantità di opere riservate all’argomento che annovera illustri artisti. A parte i diversi Trionfi della morte, particolarmente presenti nel Medioevo, è interessante il bozzetto per gli affreschi di Mattia Preti per la peste di Napoli del 1656 dove i monatti raccolgono gli appestati, ormai morti, in un movimento ascensionale che sale fino ai Santi intercessori e alla Madonna che sembra sovrintendere all’azione.

Sempre di scuola napoletana seicentesca le tele che presentano gli effetti della peste sulla popolazione inerme con ammasso di cadaveri e di malati per giungere all’ineffabile Napoleone che visita gli appestati a Jaffa (1799) di Antoine-Jean Gros che tocca un malato quasi con effetti taumaturgici di evidente propaganda. Allora soltanto generale dei Francesi, Bonaparte si era limitato a passare nel lazzaretto.

È inoltre di grande interesse l’acquaforte di Paulus Fürst che rappresenta un medico con guanti, bastone, occhiali e mascherina con becco ricurvo contenente sostanze aromatiche (1656).

Infine, per alleggerire il tema e, forse, per esorcizzare la paura è il caso di ricordare un film del 2007, Io sono leggenda, che Francis Lawrence trasse da un romanzo di Richard Matheson. Vi si racconta di un mondo annientato da una pandemia causata dal virus geneticamente modificato del morbillo, sconfitto da un virologo che ha le sembianze di Will Smith. Sullo sfondo di una New York deserta e in rovina si sviluppa la vicenda che conduce all’immancabile (e speranzoso) finale. Giusto sostegno per la psicosi di questi giorni.

*Paulus Fürst, Il Dottor Schnabel di Roma, 1656 ©

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