Yuval Noah Harari sull’emergenza Covid-19 [di https://it.gariwo.net]
https://it.gariwo.net/educazione/yuval-noah-harari-sull-emergenza-covid19-21870.html. Proponiamo di seguito la traduzione dell’intervista rilasciata dallo storico israeliano Yuval Noah Harari alla CNN sull’emergenza globale dovuta al Covid-19. AMANPOUR: Sono giorni particolari. Lei ha scritto molto, ovviamente, sulla Storia, su ciò che ci rende umani. Ha mai visto nei tempi moderni, nella nostra società economicamente e tecnologicamente globalizzata, una crisi simile a questa? HARARI: Come questa non proprio. Voglio dire, non vediamo un’epidemia globale di questa portata da almeno 100 anni. Davvero nessuno di noi ha già sperimentato nella propria vita ciò che sta accadendo ora. E questo è uno dei motivi che rende la situazione così spaventosa e allarmante. Ma se guardi al passato, alla prospettiva più ampia della Storia, allora ti rendi conto che l’umanità più vicina ha già affrontato molte di queste epidemie, e che probabilmente noi ci troviamo nella miglior condizione di sempre per poter affrontare un tale sconvolgimento. AMANPOUR: Grazie a cosa? HARARI: Grazie alla medicina moderna. Sa, quando la Peste nera scoppiò nel 14° secolo, passò dalla Cina alla Gran Bretagna in circa 10 anni. Anni che uccisero tra un quarto e la metà dell’intera popolazione dell’Asia e dell’Europa e nessuno aveva idea di cosa stesse succedendo, quale fosse la causa della malattia e cosa si potesse fare a riguardo. Oggi, con l’epidemia di coronavirus, ci sono volute solo due settimane per scienziati e medici non solo per identificare il virus responsabile, ma anche, conseguentemente, il suo intero genoma. E per sviluppare test che almeno ci dicono chi ha il virus e chi no. Quindi, c’è ancora modo di superare tutto questo. Siamo, come ho detto, in una posizione migliore rispetto a qualsiasi altra volta precedente. AMANPOUR: Ma non dimentichiamoci che è passato dalla Cina alla Gran Bretagna, agli Stati Uniti in un periodo molto, molto più breve, pochi mesi. Cosa, come normale cittadino adesso, la spaventa di più o desidera maggiormente che venga fatto, per fermare il panico almeno? HARARI: Penso che la cosa peggiore sia la disunione che vediamo nel mondo, la mancanza di cooperazione, di coordinamento tra i diversi Paesi. E la mancanza di fiducia, sia tra gli Stati sia tra le popolazioni e i governi. Questo è fondamentalmente il rovescio della medaglia di quello che abbiamo visto succedere negli ultimi anni: l’epidemia delle fake news e il deterioramento delle relazioni internazionali. Se si confronta questa crisi, ad esempio, con quella finanziaria del 2008, ovviamente si tratta di due emergenze di tipo diverso, ma con delle somiglianze. Nel 2008 ci sono stati degli adulti responsabili nel mondo che hanno assunto una posizione di leadership, hanno preso il mondo sulle proprie spalle e impedito che si verificassero le conseguenze peggiori. Negli ultimi quattro anni però, in sostanza, abbiamo visto un rapido deterioramento della fiducia nel sistema internazionale. Il Paese che in precedenza aveva assunto la posizione leader, sia nella gestione della crisi finanziaria del 2008, sia nell’ultima grande epidemia, l’epidemia di Ebola del 2014 – e quel paese sono gli Stati Uniti – ora non sta assumendo alcun tipo di posizione di comando. In realtà, dal 2016, l’attuale amministrazione ha reso chiaro che gli Stati Uniti hanno rassegnato le dimissioni dal loro ruolo di leader mondiale. Gli Stati Uniti non hanno più amici al mondo, hanno solo interessi. E anche se adesso, che non stanno facendo molto, provassero a diventare di nuovo una guida, nessuno seguirebbe un leader la cui filosofia è Me first (io per primo). Quindi, ciò che mi spaventa davvero è la mancanza di leadership e cooperazione. E ciò di cui la gente dovrebbe rendersi conto è che la diffusione dell’epidemia in ogni singoli Paese minaccia il mondo intero, a causa del fatto che, se non viene contenuto in tempo, il virus si evolverà. Questo è forse uno dei peggiori scenari con questo tipo di epidemia: una rapida evoluzione del virus. L’abbiamo visto con l’epidemia di Ebola del 2014. La vera epidemia è iniziata con una mutazione genetica di un virus in una persona in Africa occidentale, che ha trasformato l’Ebola, da una malattia relativamente rara, in un’epidemia distruttiva; perché questa singola mutazione ha aumentato la capacità di contagio del virus di quattro volte. Ora, questo potrebbe stare accadendo adesso da qualche parte in Iran o in Italia o altrove, e ovunque ciò accada mette in pericolo il mondo intero. L’umanità ha bisogno di serrare i ranghi, unirsi, contro i virus. AMANPOUR: Dice serrare i ranghi, e questo sembra essere il contrario di ciò che i populisti e i nazionalisti stanno affermando, come dice, dal 2016, sia negli Stati Uniti che qui nel Regno Unito e in altre parti del mondo. E cioè che la globalizzazione è solamente negativa e che dobbiamo sempre chiuderci per non lasciar passare nulla di male attraverso i confini. Sta dicendo che questa si è rivelata una teoria fallimentare quando si tratta di questo tipo di crisi. HARARI: Sì. Perché non si può davvero gestire il virus. Voglio dire, non si può prevenire le epidemie attraverso l’isolamento. Puoi prevenirle solo con l’informazione. Se pensi davvero di isolarti a un livello tale da non essere esposto a epidemie esterne, be’, risalendo anche fino al Medioevo sappiamo che questa strategia non risulta sufficiente. Perché abbiamo avuto questo tipo di epidemie anche nel Medioevo e nemmeno in quel periodo è bastato isolarsi. È necessario tornare all’età della pietra per trovare le condizioni per cui isolarsi può essere davvero una soluzione possibile contro le epidemie, e nessuno evidentemente può farlo. Il vero confine da proteggere con molta attenzione non è tra i Paesi ma tra il mondo umano e la sfera del virus. Gli umani sono circondati da un’enorme varietà di virus presenti in luoghi e animali di ogni tipo. E se un virus attraversa questo confine, in qualsiasi parte del mondo, mette in pericolo l’intera specie umana. Questo è il confine a cui pensare davvero. Se un virus, originatosi ad esempio in un pipistrello, riesce ad attraversare il confine con la specie umana in qualsiasi parte del mondo, quel virus si adatta al corpo umano e quindi è un pericolo per tutti in tutto il globo. È un’illusione, quindi, pensare che a lungo termine si possa proteggersi contro quel virus semplicemente chiudendo i confini del proprio Paese. La politica più efficace è quella di sorvegliare il confine tra il genere umano e il mondo dei virus. AMANPOUR: Come si può fare? HARARI: Supportando i sistemi sanitari di tutto il mondo. Rendendosi conto che ciò che sta accadendo ora in Africa occidentale o in Iran o in Cina, è non solo una minaccia per gli iraniani o i cinesi, ma anche una minaccia per gli israeliani. Quindi, abbiamo bisogno di più realtà come l’Organizzazione mondiale della sanità e maggiore solidarietà internazionale per aiutare il Paese che è attualmente più colpito a far fronte a questa crisi. Con l’invio di attrezzature e personale e, più di ogni altra cosa, con buone informazioni, scientifiche, o con il sostegno economico. Un Paese in cui inizia un focolaio, se pensa di essere da solo esiterà a prendere drastiche misure di quarantena perché penserà “be’, se blocchiamo l’intero Stato o intere città collasseremo economicamente e nessuno verrà ad aiutarci, quindi aspettiamo e vediamo se è davvero un pericolo così grande”. E poi sarà troppo tardi. Ora, se un Paese come come l’Italia ad esempio sapesse che nel caso decidesse di fermarsi riceverà aiuto da altri Paesi, sarà disposto a prendere prima questa misura drastica. A beneficio dell’intera umanità. Per ogni euro che la Germania o la Francia spendono per sostenere l’Italia in una situazione del genere ne risparmierebbero 100 in seguito, non dovendo affrontare l’epidemia nelle loro città. AMANPOUR: Ora, questo virus è fuori dagli schemi e c’è stata, si potrebbe dire, una risposta lenta in tutto il mondo nel cercare di sorvegliare quel confine tra virus ed esseri umani. L’Italia ha preso una misura drastica. Voglio dire, l’intero Paese è bloccato. Che cosa ne pensi? HARARI: Direi che è un test, soprattutto per l’Unione Europea, che ha perso molto supporto negli ultimi anni. È la possibilità per l’Unione di dimostrare davvero il suo valore, il momento per gli altri Stati membri di venire in aiuto all’Italia. Agendo in questo modo, non solo proteggeranno i propri cittadini, ma mostreranno il valore di un sistema come l’Unione Europea. Se non lo faranno, il virus potrebbe distruggere anche la stessa Unione insieme alle vite umane. AMANPOUR: Voglio farti una domanda sull’impatto sociale. In una situazione del genere, in cui le persone sono costrette ad autoisolarsi, con pochissime informazioni, con pochissimi dati verificati, con pochissima fiducia in ciò che viene loro detto, come vedi le conseguenze sulla società? HARARI: Bene, la questione immediata è la questione della fiducia: se le persone si fidano dei loro governi e di ciò che sentono dai media. Perché per avere una quarantena efficace è necessaria la collaborazione della popolazione. E questo è un problema molto spinoso, perché questo genere di fiducia è stato eroso negli ultimi anni. L’altro grosso problema, più a lungo termine, riguarda la sorveglianza. Uno dei pericoli dell’attuale epidemia è che giustificherà misure estreme di controllo, in particolare, il riconoscimento biometrico, che sarà giustificato come mezzo per far fronte all’emergenza. Ma anche dopo di essa, questa idea rimarrà. Stiamo parlando di un sistema di monitoraggio continuo di un’intera popolazione per segnali biometrici presumibilmente al fine di proteggere persone da future epidemie. Una cosa che può anche costituire le basi per un regime totalitario estremo. Stiamo affrontando un enorme problema di sorveglianza e privacy nella nostra epoca. Penso che vedremo una grande battaglia tra privacy e salute. E probabilmente ne conseguirà che le persone non avranno alcuna privacy in nome della loro protezione dalla diffusione di epidemie. La tecnologia può essere molto efficace. Ora disponiamo della tecnologia per monitorare la popolazione e scoprire, ad esempio, lo scoppio di una nuova malattia sul nascere, contenerla, seguire tutte le persone infette e sapere esattamente dove sono e cosa fanno. Ma questo tipo di sistema di sorveglianza può quindi essere utilizzato per monitorare molte altre cose, cosa pensano le persone, cosa provano… E se non stiamo attenti, questa epidemia può giustificare lo sviluppo accelerato dei regimi totalitari. AMANPOUR: È un pensiero abbastanza drammatico, difficile da digerire. Gli esseri umani non sono pensati per essere esseri che si autoisolano. E a questo proposito ci sono già degli aneddoti che giungono dall’Italia e da altrove. Donne anziane che amano andare in un bar per chiacchierare, per avere il loro contatto umano giornaliero, non possono più farlo. Ci arrivano notizie di solitudine, sindrome da reclusione e depressione. Anche questa è una grande preoccupazione per la società. HARARI: Gli umani sono particolarmente vulnerabili alle epidemie, perché siamo un animale sociale. Ed è così che si diffondono le epidemie. La forza dei virus è che spesso sfruttano il nostro meglio, le caratteristiche migliori della natura umana contro di noi. Sfruttano il fatto non solo che ci piace socializzare, ma anche che ci aiutiamo a vicenda. Quando qualcuno è malato, la cosa naturale da fare, specialmente se questo è un amico o un membro della famiglia, è andare da lui, per dargli sostegno, prendersene cura, dargli supporto emotivo. Toccarlo, abbracciarlo. Ed è esattamente così che si diffonde il virus. E ancora, ci sono due modi per affrontarlo. Il primo è dare informazioni alle persone. Se le persone si fidano delle informazioni che ricevono, possono cambiare il loro comportamento, almeno fino a quando l’epidemia non è finita. Il secondo è il modello totalitario – che, ancora una volta, non era fattibile nel Medioevo ma può esserlo oggi, sorvegliando tutti. Quindi, prima di tutto, identificando i segnali iniziali della malattia. Oggi abbiamo la tecnologia per sapere se la temperatura corporea è più alta anche senza inserire qualcosa dentro il corpo, ma a distanza. È possibile conoscere tutte le persone con cui un soggetto è venuto in contatto ogni giorno. E sapere chi, ad esempio, ha infranto le istruzioni del governo di non abbracciarsi o di non baciarsi. Quindi, se le persone non credono alle informazioni che ricevono e non seguono le regole per fiducia, possono essere costrette a farlo da un regime onnipresente di sorveglianza. Questa è la strada pericolosa. Spero che non stiamo andando in quella direzione. *17 marzo 2020
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