L’importanza di studiare il latino [di Franco Masala]
Un’estate di tanti anni fa a Budapest prima della caduta del Muro di Berlino. Un Museo pieno di bei dipinti anche italiani, con Giorgione, Raffaello e Tiepolo in testa. Una giovane coppia locale desiderosa di parlare con un giovane occidentale. Difficoltà di comunicare: solo ungherese o russo, naturalmente. Né inglese né francese, ancor meno italiano. Sul punto di rinunciare la ragazza, bionda e con gli occhi chiarissimi, chiede timidamente “Latinum ?”. Mi illumino e, cercando nei meandri del cervello le nozioni liceali di una lingua morta (?), riesco a intavolare un dialogo con lui e lei fino a darci un appuntamento per mangiare insieme in un triste ristorante statale dove passava almeno mezz’ora tra un piatto e l’altro, nonostante i numerosi camerieri e i pochissimi clienti. Fu una conversazione talvolta difficile – come esprimere in latino parole come aereo o cinema o rock, se non con tentativi di circonlocuzioni più o meno avventurose ? – talvolta esilarante, sempre gratificante fino al punto di fraternizzare e comunicare a lungo e con reciproco piacere. Le frasi nascevano spontanee, con un po’ di fatica forse, ma anche con la consapevolezza che certi studi, apparentemente inutili, davano ancora i loro frutti e, quindi, servivano a qualcosa. Con situazioni di tanto in tanto divertenti: prima di capire che mi riferivo al cervus scolpito su un palazzo nobiliare, evidentemente un simbolo araldico, si passò attraverso vari equivoci, compreso un servus (su un palazzo ?) … Finalmente, un lampo di genio: zervus, secondo la pronuncia dura tedesca, e così la curiosità venne appagata. Non li ho mai più rivisti. Nella fotografia, Raffaello, Madonna con Bambino, Budapest, Museo di Belle Arti |
Durante l’odissea del suo intricato viaggio di ritorno Primo Levi, senza un soldo in tasca, si trovò di passaggio a Cracovia. Aveva una fame dannata. Cercò di fermare qualcuno a cui chiedere dove trovare qualcosa da mangiare, ma nessuno capiva le sue richieste. Fermò allora un prete che stava passando, ma nemmeno lui capiva ne’ il francese ne’ il tedesco. Allora: “Pater optime, ubi est mensa pauperorum?” gli chiese, ottenendo così l’indicazione agognata.
Con la cultura “non si mangia” ma con la cultura si parla!
Avete notato l’errore di latino di Primo Levi nel mio precedente commento? Il genitivo plurale di pauper è pauperum, ma in quel caso non gli impedì di farsi capire!