Corona Virus il distanziamento degli anziani e la cultura dello “scarto” [di Franco Mannoni]
Alcune osservazioni sul distanziamento sociale in atto e, in particolare, su quello degli anziani. Ritengo che, per fortuna, i provvedimenti di cautela assunti abbiano evitato che la pandemia divenisse catastrofe. La drammatica condizione in cui versano alcune aree, come quelle della Lombardia e del Piemonte racconta della tragedia che si può scatenare quando il virus incontra situazioni di per sé difficili da gestire e viene favorito da comportamenti incoerenti, contraddittori e irresponsabili. Sono le regioni nelle quali la concentrazione umana è più fitta, i luoghi della produzione più intensa. Sono le stesse situazioni ove è più marcata la necessità degli spostamenti con i mezzi pubblici, che costringe a inevitabili promiscuità. Proprio in queste aree, le più ricche e, si riteneva, le più attrezzate dal punto di vista sanitario, si sono manifestati gli effetti più pesanti, ovviamente a carico in primo luogo degli individui più esposti e più fragili. Questo primo rilievo indirizza il ragionamento verso la valutazione del contesto: induce a chiedersi se le modalità del vivere, del produrre e dell’istruirsi, nonché la stessa forma dei luoghi che ospitano queste attività, non si manifestino come inadatti a riparare le persone da pericoli come quelli sperimentati. La seconda questione riguarda invece gli orientamenti base che, di fatto, sono divenuti prevalenti nella società che conosciamo e che si rivelano inidonei ad accogliere e garantire i cittadini rispettandone i diritti fondamentali. La stessa tendenza alla concentrazione urbana registra dagli avvenimenti un attacco devastante quanto imprevisto. Si costata, ad esempio che gli uffici progettati secondo schemi dettati esclusivamente dalla ricerca della produttività, si rivelano da tempo insostenibili. Nelle aree più “moderne” e ricche del paese la strage dei vecchi è stata terribile. Fin dall’esordio della pandemia si è allegata a giustificazione la fragilità degli anziani, dovuta ad affezioni plurime aggiunte alla vecchiaia. In seguito si è evidenziato che
Sarà un cattivo pensiero, ma mi pare di leggere in questa situazione, la proiezione di idee che guidano il mercatismo e i gruppi dirigenti ad esso subalterni e che si concretano nel creare gli scarti e chiuderli in aree di sopravvivenza fuori dal contesto sociale di appartenenza. Un nuovo manifestarsi di un cinico darwinismo sociale non dichiarato ma, nei fatti, attuato. Riflesso di un mondo in cui prevale la tendenza, sia essa esplicita, sottintesa o inconsapevole, a trascurare i deboli, siano essi anziani, donne esposte alla violenza, bambini privi del minimo per sopravvivere. Non evidenziare i termini di questo fenomeno equivarrebbe a divenirne complici e partecipi. Se non lo facessimo, con l’intento di porvi rimedio o, almeno, di mitigarli, dovremmo aspettarci, a breve, qualche ulteriore danno sociale e l’insorgere, per reazione, di conflitti violenti. Nel mondo della produzione si è lavorato alla massimizzazione dei profitti a scapito dei salari e dei diritti del lavoro dipendente, eliminando le garanzie conquistate nel corso del novecento. Si sono incoraggiate le “collaborazioni”, tollerati e coperti i lavori interstiziali, informali, il nero. Chi è costretto a vivere in questi spazi è il primo a pagare il conto della crisi, in termini di disoccupazione, povertà ed esposizione alla malattia, di sè stesso e dei propri familiari. I vecchi, e i vecchi poveri innanzitutto, appartengono all’area più debole e attaccabile dal virus come dall’emarginazione. Sono anche privi di parola e di rappresentanza. E’ giusto perciò che chi questa parola ce l’ha, di loro si occupi. Si evidenzia, in termini drammatici e preoccupanti, una condizione di disparità dinnanzi alla malattia e alla morte, che si aggiunge alle altre molteplici manifestazioni della diseguaglianza. Da tutto questo non possono che nascere conflitti che, non mediati dalle organizzazioni intermedie, sfoceranno nello scontro, non escluso quello fisico. La pandemia ha fatto esplodere, e lo farà ancora come ricaduta di essa, le contraddizioni e le ingiustizie già presenti ed evidenziate nel modo di essere, di produrre, di abitare, di istruirsi della società post moderna. E gli anziani, fino a ieri considerati la parte più protetta della società, si sono trovati, particolarmente i meno dotati di rendite, in una condizione di isolamento, debolezza, emarginazione e, in fin dei conti, esposti all’attacco più virulento della malattia. Come se, difronte alla malattia e al pericolo di morte, si sia di fatto compiuta una scelta a loro danno. Come si può valutare altrimenti l’ecatombe verificatasi nella RSA e case di riposo di varie parti d’Italia? A questa stregua appare del tutto inaccettabile l’ulteriore reclusione degli anziani incatenati al loro domicilio, come se le vittime della pandemia non fossero state determinate da contagi avvenuti proprio nelle residenze. C’è una voce, per fortuna, che vale la pena di ascoltare. Colpiscono, e nel contempo consolano, le parole pronunciate in proposito da Papa Francesco, quando stigmatizza la società che trascura bambini e anziani. Parole che, se ascoltate, possono riaprire il cammino della speranza e ispirare politiche di equità e rispetto della persona. “Quando si trascurano i vecchi si perde la tradizione, che non è un museo di cose vecchie, è la garanzia del futuro, è il succo delle radici che fa crescere l’albero e dare fiori e frutto”.
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