La scelta che salverà la Ue [di Nicolò Migheli]
La Nuova Sardegna 21 aprile 2020. “La pentola comune non è né mai calda né fredda”. Così recita un detto del Talmud babilonese. Quando all’interno di un gruppo la responsabilità è condivisa si possono verificare due condizioni: tutti agiscono per il bene comune o si gioca al rimpallo delle responsabilità, si aspetta che altri facciano quel che deve essere fatto. Giovedì 23 si riunisce il Consiglio europeo che dovrà ratificare o modificare le decisioni che ha preso l’Eurogruppo il 10 di aprile. Sarà un incontro con la Storia. Lì si vedrà se l’attuale classe dirigente europea ha la statura degli uomini di Stato o se la contingenza li ridurrà a politici minimi timorosi della perdita del consenso del proprio elettorato. Durante le estenuanti trattative in Eurogruppo se ne sono già visti i segni. La Germania legata dai dettami ideologici dell’ordoliberimus, manda avanti l’Olanda. La signora Merkel dopo la richiesta francese degli Eurobond, già nel 2012 aveva dichiarato che in vita sua quei buoni non ci sarebbero mai stati. Wopke Hoekstra, ministro delle finanze olandese, si mostra durissimo contro i Paesi mediterranei e l’Irlanda, tanto che il premier portoghese António Costa ha detto che quelle posizioni erano ripugnanti. Hoekestra era andato in trattativa preceduto da un voto del parlamento che si può riassumere in “zero concessioni”. In realtà la sua durezza ha l’obiettivo di fare in modo che le eventuali concessioni ricadano sul premier Rutte, suo avversario politico, benché nella medesima coalizione. In Germania, decine di economisti e intellettuali come Habermas, spingono affinché vengano accettati gli Eurobond, che ci sia una mutualizzazione del nuovo debito che dovrà essere emesso per il rilancio dell’economia europea. BMW, Mercedes e WV, dicono che il tracollo dell’Europa meridionale non solo le priverebbe di un mercato interno consistente ma che si troverebbero nell’impossibilità di produrre visto che i loro fornitori sono in Italia e Spagna. La stessa Francia, che si trova in una situazione economica difficile, deficit al 3,5% (prima del virus) debito al 100%, impossibilità a fare riforme, vuole gli Eurobond. In Italia ci si accapiglia sul Mes, il fondo Salva Stati, che ricorda le imposizioni draconiane che vennero inflitte alla Grecia, anche se questa volta è stato depurato dalle penalità a condizione che venga usato solo per le spese sanitarie. Per l’Italia sarebbero 35 miliardi circa. In una conferenza stampa drammatica Conte ha detto che l’Italia non ricorrerà mai a quello strumento. Le ragioni risiedono nella forte opposizione di Lega e Fd’I, nonché di una parte dell’M5S. Formazioni politiche che hanno fatto del Mes un soggetto totemico. Le altre misure, oltre allo sforamento del deficit e l’uso senza condizioni dei fondi comunitari residui, sono: Sure, sussidi contro la disoccupazione pari a 100 miliardi, il fondo Bei di 200 milioni per prestiti alle imprese e in un futuro tutto da definire, i Recovery Fund, 500 miliardi per il rilancio dell’economia europea. Germania e Olanda hanno già detto che non saranno Eurobond sotto altro nome. In questo panorama confuso l’intervento a gamba tesa americano. Trump firma un ordine presidenziale di aiuti all’Italia. Lo fa per due ragioni, una interna per guadagnarsi il consenso della lobby italoamericana, l’altro non solo per rintuzzare le proposte russo-cinesi, ma per perseguire il disegno politico di rendere la Ue debole. In quell’atto sono previsti aiuti all’esportazioni italiane anche con misure di sostegno e recupero dell’economia. Gli Usa non possono permettersi che un membro del G7 cada in ginocchio. Un endorsement per Conte e un suo rafforzamento per l’incontro di giovedì. Nel summit del 23 la Ue si gioca tutto. Potrebbe diventare la potenza terza tra Usa e Cina-Russia o diventare un’espressione geografica dove altri faranno ciò che vogliono. Ad Harvard alcuni definiscono l’Europa “the sinking museum”, un museo che affonda. Vedremo se verranno smentiti.
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