Il virus del lavoro nero. Regolarizzarlo conviene [di Cristina Ornano]
Il Covid19 colpisce senza distinzioni, in questo senso è molto democratico, ma non sono per nulla democratiche ed eguali le sue conseguenze, ad iniziare da quelle sanitarie, dipendendo esse dalla possibilità di accedere ad un servizio sanitario e dalla qualità e quantità di cure ricevute. Di certo non saranno eguali le conseguenze sociali ed economiche della pandemia che marcherà ancora di più le diseguaglianze e ne creerà di nuove. Nel nostro Paese vivono oltre 250 mila cittadini stranieri in condizione di involontaria irregolarità. Un esercito che i cosiddetti Decreti Sicurezza 1 e Bis hanno drammaticamente ingrandito, creando insicurezza e ingiustizia.
Viviamo tempi che richiedono la capacità di mettere in campo scelte innovative e lungimiranti. E tra queste, c’è anche quella di regolarizzare le persone che costringiamo ipocritamente alla precarietà e al sommerso. Sono persone che assistono i nostri anziani e malati, che raccolgono frutta e verdura nei campi, accudiscono gli animali negli allevamenti, lavorano nei mercati, nelle manifatture e nelle aziende artigiane; lavoratori e piccoli imprenditori che ora lavorano in nero e che vorrebbero regolarizzarsi, pagare le tasse e fruire dei servizi.
Sarebbe un’azione non solo giusta, ma intelligente e lungimirante, perché è una delle misure indispensabili per garantire la prevenzione sanitaria, in questo momento fondamentale, e far ripartire la nostra economia e per dare ossigeno al fisco. Un coro di voci autorevoli provenienti da chi ricopre primari ruoli istituzionali o li ha ricoperti, si è alzato in questi giorni a chiedere la regolarizzazione dei lavoratori immigrati irregolari ed a chiedere che ciò venga fatto prima possibile. Non è, infatti, difficile prevedere che gli effetti sul piano economico e sociale prodotti dalla pandemia siano, come è stato da più parti osservato, non dissimili da quelli prodotti da un conflitto bellico. Le moderne economie di guerra ci hanno insegnato almeno tre cose. La prima è che per uscire dalle crisi occorre saper fare scelte coraggiose, quindi abbandonare paradigmi, schemi e soluzioni precedenti quando se ne siano constatati, come in questo caso, gli esiti fallimentari, per adottarne di nuovi adeguati al cambiamento. La seconda è queste scelte sono tanto più produttive quanto più sono tempestive. La terza è quando si affrontano crisi sociali profonde, come quella in atto, la tenuta sociale può essere assicurata solo attraverso politiche di coesione, inclusive e solidali, capaci, come è stato efficacemente detto, di proporre “un nuovo contratto sociale che vada bene per tutti”. Continuare come prima significa, specie in questo momento, alimentare il circuito dell’illegalità e del sommerso, della cattiva imprenditoria, delle mafie e delle organizzazioni criminali. Regolarizzare è una scelta solidale e inclusiva che interessa e conviene non solo a chi è costretto alla irregolarità, ma a tutti noi, perché dà dignità e sicurezza alle persone e le fa vivere in condizioni di legalità, aiuta la nostra economia e il nostro fisco e la nostra salute. * Giudice Indagini Preliminari – Tribunale di Cagliari- Presidente Area Democratica per la Giustizia *Foto@LaStampa.it
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