Lo sguardo nello spazio e nel tempo [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione Sarda 30 aprili 2004. La città in pillole. Non sorprenda l’insistenza del richiamo al passato. Accade quando si vuole andare oltre il presente per paura di non trovarvi tracce di futuro. Nel tempo attuale infatti si è fatta strada una sindrome da eterno ritorno, solo latamente consolatoria. Per i Greci una delle declinazioni del nόstos, che supponeva la voglia e, insieme, la sofferenza di un viaggio agognato quanto impossibile. Che cosa è altrimenti la pulsione verso un prima comunque? L’ha spesso tematizzata G. Leopardi: ci par veramente che quelle tali cose che son morte [..] né possono più tornare, tuttavia rivivano e sieno presenti [..] cosa che ci consola [..] allontanandoci l’idea della distruzione e annullamento che tanto ci ripugna. Ma nel tempo indefinito, è altrettanto erroneo credere che “nulla sarà come prima. Nelle narrazioni che vorrebbero rassicurare, si scoprono subito le angustie delle stesse e quanto poco risolutivi siano i paradigmi salvifici. Perché “dà buoni consigli se non può dare cattivo esempio” cantava De André. Ognuno infatti sa, nello spaesamento della forzosa clausura, quanto è necessario prospettarsi futuro a partire dall’autocoscienza dei suoi limiti e di quelli delle politiche tradizionali. Per le città poi è improbabile che traggano d’impaccio ricette assertive o peggio autoritarie, vistosamente impotenti. Si tratta di assumere pratiche di senso, fondanti ogni prospettiva, e interne all’esserci e alla cura, anonimi e collettivi, di cui tratta Ernesto De Martino, che a Cagliari ebbe cattedra e allievi. Ma ben prima, nel I sec. a. C., Vitruvio, inattuale e quindi assai contemporaneo, nel De Architectura per il progetto urbano nomina i paradigmi tecnici del pianificare e del progettare. La sua è una forma urbis sostenuta dalla storiografia – è la prima volta – densa di riferimenti geografici, geologici, idraulici, artistici. Governata da ethos e logos. Una densità che rimanda alla greca oikonomía ma che la oltrepassa, trasformandola nella praxis progettuale che tuttora perdura. Ma perché un progetto sia fausto, Vitruvio, alla fine del primo libro, convoca come fondante l’equilibrio “magico” tra cielo e terra, acqua e pietra, costruito e campagna, pubblico e privato, sguardo che dal dettaglio si fa lungo nel tempo e nello spazio. Sembra la sintesi di Cagliari: “luogo dei bianchi colli”; città di pietra che si perde in quella d’acqua e viceversa; “distesa in lungo”. Dalla sua potente presenza riprenda il filo la città futura che deve interpellare l’intelligenza collettiva che ha sempre saputo come prendersi cura della città.
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