Perché una parte della “cultura” progressista regala la questione lingua sarda alla destra sovranista? [di Giuseppe Corongiu]

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L’ostilità di non pochi intellettuali della sinistra storica verso i temi identitari della Sardegna (Die, Lingua, Autodeterminazione e altro) ha provocato nei decenni lo svuotamento e la marginalizzazione di un vasto movimento che comprende intellettuali della stessa sinistra.

È stata una lunga battaglia di cecchinaggio condotta attraverso media e cattedre e volta a presentare gli assertori di tanto decisivo segmento culturale come dannosi, isolazionisti, pericolosi e talvolta persino affaristi. L’obbiettivo in verità era diffondere luoghi comuni antisardi e rinsaldare tra gli “istruiti” l’avversione al locale, giudicato regressivo, conservatore e reazionario.

La tattica? Sminuire e ridicolizzare. La strategia? Confondere, valorizzando il simile ma innocuo: folklore antropologico, anche sardoparlante, che toglie terreno alle rivendicazioni di una piccola inespressa nazione. La contiguità di alcuni intellettuali del movimento linguistico è stata evidente. Mettere al centro l’identità agropastorale e popolare come vaccino auto esotico per evitare la liberazione reale nella contemporaneità.

Imperativo? Lasciare ai margini intellettuali tra i più innovativi e pertanto pericolosi, mettendoli contro gli stessi loro seguaci, in genere mediocri e bisognosi di legittimazione sociale.

Le azioni sono innumerevoli. Eclatanti alcune negli ultimi anni: feroci campagne mediatiche contro lingua e Sa Die; leggi linguistiche sempre bocciate; opinione pubblica tenuta all’oscuro sui vantaggi cognitivi del bilinguismo, ignorando le avvertenze dello stesso Gramsci; importanza della storia sarda; accademico di un’università pubblica che riceve soldi regionali allo scopo  destinati, nel 2012, che si schiera contro la formazione in sardo degli insegnanti, fermando di fatto la politica linguistica che dal 1997 aveva guadagnato prestigio.

Contemporaneamente i protagonisti di quell’azione ostativa sono accolti nelle giurie dei premi dai poeti che avrebbero dovuto stracciarsi le vesti. Un assessore regionale dell’ultima giunta di centro sinistra, per svuotarne il contenuto, dedica una Die al cibo tipico e un’altra ai migranti. Sostiene che il catalano di Alghero sia una variante del sardo e che bisognerebbe insegnare il sardo come lingua straniera. Un altro che gonfia senza pudore i dati di finanziamento della politica linguistica nella comunicazione. Ci sono poi indipendentisti immaginari che sostennero e sostengono quel governo!

Che dire poi della stessa maggioranza che nella scorsa legislatura, compattamente, fa votare una legge linguistica inutile che ancora oggi non è applicata perché inapplicabile (ma l’importante era blandire gli amici folk e rallentare il cammino della Lingua Sarda Comune). Che grande imbarazzo  le parole del candidato di centro sinistra, alle ultime elezioni regionali, che dice, in campagna elettorale, che la lingua sarda ufficiale è pericolosa perché distrugge le varianti (sic!).

Un’idea veramente curiosa che però in Sardegna, per effetto di decenni di fakes news linguistiche propagandate dai decisori ai diversi livelli, ha una sua verosimiglianza sociale. Insomma, una cortina di fumo che ha fatto perdere la strada a tanti in buona o cattiva fede. Ma anche tanti voti alla Sinistra.

La cultura progressista è importante per la nostra società: perché bruciarla su un terreno così arido lasciando poi la questione sarda in mano a una estrema Destra Sovranista e multitasking? L’egemonia senza idee lascia solo un deserto costellato di vittime. E Sa Die insieme alla LSC resistono e si affermano.

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