Proposte per l’emergenza e per la ripresa. Indirizzi per lo sviluppo dei settori produttivi in Sardegna[di Segreteria CGIL]
Riflessioni della Cgil Sarda su brainstorming proposto da “Agenda Industria”. Premessa. Il sistema economico e sociale sardo è stato totalmente sconvolto dall’epidemia da Covid-19. Questa ha imposto l’adozione di provvedimenti inusitati di blocco delle attività e di massimo contenimento della mobilità delle persone attraverso il confinamento domiciliare, che pongono vincoli strettissimi alla vita di relazione e alla produzione e scambio di beni e servizi. Perciò ora sono diventate necessarie misure speciali e calibrate sulla situazione venutasi a determinare a causa dell’emergenza sanitaria, ma serve anche un piano d’interventi di prospettiva, capaci di guardare al rilancio del sistema nel segno dell’innovazione e della riqualificazione produttiva. Sotto questo profilo, questa crisi così grave offre, tuttavia, l’opportunità di ripensare il modello di sviluppo finora perseguito, ma anche l’organizzazione del lavoro e la catena di creazione del valore nell’apparato produttivo regionale e nella stessa rete dei servizi alla produzione e al consumo, oltre che le modalità di funzionamento della Amministrazione pubblica. Si è condotta in questi mesi, infatti, una sperimentazione massiva mai vista prima degli strumenti digitali di comunicazione, obbligata dalle circostanze, nello svolgimento di attività e mansioni attraverso il telelavoro e questo ha evidenziato alcune potenzialità e criticità rilevanti, sia per quanto concerne l’organizzazione del lavoro e degli scambi di prestazioni sulla rete, il web-market, anche nella dimensione locale, sia per quanto concerne, invece, l’inadeguatezza dell’infrastruttura digitale e l’insufficienza delle competenze informatiche dei lavoratori, entrambe cose che richiedono investimenti importanti per le opere e la funzionalità/fungibilità della rete (oltre che per la sua sicurezza e il controllo della custodia e dei flussi di dati e informazioni) e per il potenziamento delle attività formative delle persone. Si è rivelata chiaramente, intanto, anche l’importanza primaria delle relazioni tra le persone non solo dal punto di vista politico-culturale, ma proprio nell’equilibrio economico e sociale delle comunità locali e nelle implicazioni via via crescenti su dimensione nazionale e internazionale, l’importanza cioè degli scambi commerciali e del consumo dei beni e dei servizi da parte delle persone che le abitano, che non può aver luogo se s’impongono limitazioni insostenibili alla capacità di generarli. Questo significa, da un lato, che la riduzione del reddito destinato ai consumi delle popolazioni conseguente alla precarizzazione delle condizioni di lavoro sia un errore grave da correggere, poiché si riverbera sull’efficienza complessiva del sistema e non soltanto sulla dimensione della solidarietà sociale; dall’altro, implica che non deve essere corso il rischio connesso all’affermazione della “rivoluzione digitale” dell’espulsione di manodopera, anche intellettuale, dalle attività produttive e dai servizi, poiché abbassando i livelli di benessere collettivo si sottraggono risorse allo sviluppo complessivo del sistema economico e sociale. Pertanto, va posta in primo piano, non soltanto per ragioni ideali, la scelta intelligente della riqualificazione e rivalutazione del fare e del saper fare delle persone, che attraverso il proprio lavoro procurano a se stesse e alle proprie famiglie, ma all’intera comunità le risorse necessarie al suo funzionamento. L’obiettivo dello sviluppo sostenibile postula dunque un’assunzione di responsabilità da parte del sistema delle imprese verso la creazione di lavoro e verso la coesione sociale e, più in generale, da parte delle forze politiche, delle istituzioni e della rappresentanza sindacale e delle forze sociali. Per queste ragioni, tutti gli interventi di finanza pubblica per l’uscita dalla crisi vanno accompagnati opportunamente da misure condizionali volte al contrasto della disoccupazione e all’incremento anche prospettico dell’occupazione, sia nei piani aziendali di rilancio delle attività, sia attraverso progetti e provvedimenti straordinari della P.A. di valorizzazione delle risorse locali e potenziamento dei servizi. E per queste ragioni va dato subito un ampio sostegno ai redditi e ai consumi popolari, poiché dalla loro tenuta discende anzitutto il sostentamento delle fasce sociali più direttamente esposte agli effetti della crisi, ma anche il più agevole avvio della fase di ripresa. In tal senso, ragioni economiche oltre che di equità sociale inducono a ritenere fondamentale la disponibilità non residuale di un sostegno per tutte le categorie colpite, che deve essere adeguato e commisurato ai bisogni reali delle famiglie, evitando provvedimenti che creino ingiuste situazioni di disparità di trattamento tra le persone e persino effetti distorsivi sulla domanda interna di beni e servizi, indispensabile per la ripresa. Risorse attivabili– La situazione di crisi impone una rivisitazione del bilancio e delle finanze regionali nella quale diventa centrale la conferma della scelta della Programmazione unitaria, sia allo scopo di evitare la possibile duplicazione di interventi sui medesimi ambiti con fonti e approcci differenti, sia per favorire la massima sinergia possibile tra le fonti ai fini della maggiore efficacia della spesa totale, sia perché in tale ambito risulta più agevole la rimodulazione dei programmi di spesa anche per l’utilizzo dei residui stanziamenti non ancora utilizzati, sia per assicurare una regia efficiente ai Piani per la crisi e per lo sviluppo futuro. In questo senso, si individua immediatamente la prima fonte finanziaria nei residui FESR, FSE e FEASR del PFP UE 2014-20 non assoggettati a obbligazioni giuridicamente vincolanti, stimabili in oltre 250 Mln di euro, atteso che il Governo e la Commissione Europea hanno assentito all’utilizzo di tali residui per le azioni di contrasto all’emergenza sociale e sanitaria, anche in relazione alle possibili compensazioni con le risorse della programmazione, tuttora in corso, del nuovo QFP UE 2021-27, e considerato altresì che la Sardegna, per effetto del peggioramento dei suoi macro-indicatori economici e sociali, si trova reinserita tra le regioni europee in ritardo di sviluppo e, perciò, meritevoli di un sostegno finanziario maggiore. Sono, inoltre, disponibili le quote annuali stanziate nel programma attuativo del FSC, Fondo Sviluppo e Coesione, e per la realizzazione dell’Intesa Stato-Regione del 27 luglio 2016, gran parte delle quali destinate alla realizzazione di opere infrastrutturali, soprattutto con riguardo al Piano di metanizzazione dell’Isola, e nella sistemazione idraulica e forestale del territorio. Su questo ambito, appare utile effettuare una ricognizione delle risorse mutuate da CDP – Cassa Depositi e Prestiti per il Piano Regionale delle Infrastrutture (PRI), che ha dato luogo per diversi motivi a un tiraggio basso, lasciandone così in dotazione una porzione consistente, stimabile in circa 350 Mln di euro. Si tratta, evidentemente, di risorse utilizzabili che potrebbero evitare alla Regione la necessità di ricorrere a nuovo indebitamento, che dovrebbe, peraltro, restare comunque vincolato al finanziamento di investimenti in conto capitale e non, invece, alla spesa corrente. In ogni caso, la regione dovrà predisporre un piano di impiego delle nuove fonti europee in relazione alla ripartizione delle quote che saranno assegnate dal Governo sia sulla spesa per l’emergenza sanitaria (MES) sia per gli interventi di sostegno all’occupazione (SURE) e al rilancio economico-sociale (Recovery Fund), una volta definite dall’U.E. le relative modalità di funzionamento e gestione: tali risorse aggiuntive rappresenteranno un’opportunità di rafforzamento delle politiche sociali e di riqualificazione del sistema produttivo in tanto in quanto la Regione sarà capace di disporre un Piano pluriennale d’intervento orientato efficacemente all’innovazione e all’ammodernamento delle nostre dotazioni fattoriali, e per questa via, alla coesione territoriale interna. Tuttavia, stanti i vincoli alla spesa locale legati alla disciplina del bilancio armonizzato, appare opportuno rinegoziare la situazione debitoria-creditoria con il Governo nazionale per ottenere che lo Stato si accolli anche per la Sardegna, come per le regioni ordinarie, la maggiore spesa a carico del servizio sanitario regionale legata all’emergenza da Covid-19 e che vengano allentati i vincoli di bilancio che limitano la capacità di spesa delle Autonomie Locali anche con riguardo agli avanzi d’amministrazione, poiché il differimento concesso al pagamento di tasse e tributi locali a cittadini e imprese e la diminuzione delle entrate legata alla crisi, potrebbero determinare il dissesto finanziario di numerosi Comuni, che andrebbero quindi soccorsi con trasferimenti regionali e nazionali, a pena di compromettere l’erogazione di servizi indispensabili. Sarebbe, perciò, molto utile e significativo ottenere dal Governo nazionale anche l’anticipazione di qualche quota annuale del recente Accordo sulle Entrate, che consenta alla Regione di mobilitare anche la spesa corrente in funzione anticiciclica. Emergenza. L’attuale crisi di liquidità delle imprese può trovare due immediate risposte: da una parte, nel differimento dei debiti finanziari in accordo con le banche e dei carichi fiscali e tributari di competenza del sistema regionale e delle autonomie locali; dall’altra, nell’agevolazione dell’accesso al credito – con provvedimenti integrativi rispetto alle misure già adottate dal Governo nazionale, evitando inutili duplicazioni e sovrapposizioni – potenziando i fondi regionali di garanzia e alleggerendo le procedure valutative. Accade, invece, che la condizione di crisi che caratterizza soprattutto le M-PMI generi da parte del tessuto imprenditoriale locale una spinta politica, che si riflette in talune iniziative legislative, marcatamente orientata all’ottenimento di finanziamenti diretti e a fondo perduto, con “formalità” ridotte al minimo (per esempio, limitate ad atti di autocertificazione) ed erogazione rapida posta in capo ad enti di scopo o a istituti bancari tesorieri della Regione. Si tratta, evidentemente, di un approccio comprensibilmente emotivo, ma difficilmente conciliabile con le regole che limitano l’intervento pubblico in economia e poco compatibile con le possibilità finanziarie dell’amministrazione regionale, rispetto all’approvvigionamento della consistente mole di risorse utile a realizzare una misura significativa, altrimenti destinata allo spreco e all’inefficacia. Inoltre, in assenza di opportuni criteri selettivi, l’effetto più facilmente visibile di tale modalità di intervento sarebbe quello di creare discriminazioni ingiustificate tra imprese a seconda della loro tipologia, settore e dimensione e delle differenti modalità di organizzazione della loro attività. Sicché è molto probabile che di un’erogazione “piatta” di un contributo a fondo perduto commisurato alla sola dimensione organizzativa dell’impresa vengano a giovarsene paradossalmente le attività meno colpite dal blocco sanitario, in quanto caratterizzate da scarsi o minori costi fissi della produzione. Inoltre, riducendosi tale misura sostanzialmente ad un contributo alla titolarità dell’impresa per la sua esistenza, e cioè alla persona dell’imprenditore, risulterebbe discriminatoria verso le altre categorie di lavoratori, subordinati, parasubordinati e atipici laddove l’entità del contributo soggettivo erogato fosse maggiore. L’adozione di una misura indifferenziata per tutti appare dunque sconsigliabile per ragioni di iniquità e d’inefficacia, prima ancora che per l’entità delle risorse finanziarie pubbliche da mobilitare. Appare, invece, meritevole di essere perseguito in questa fase l’obiettivo dell’immissione di liquidità nel sistema economico-sociale regionale attraverso una pluralità di misure, privilegiando quelle che possano avere effetti moltiplicatori sul capitale complessivamente reinvestito nella ripresa. E questo necessita di criteri selettivi rispetto ai destinatari e alla stessa intensità del sostegno offerto sulla base di specifiche causali individuate, soprattutto in relazione alla possibile ed efficace erogazione di aiuti a fondo perduto. Ciò implica il rifinanziamento e la messa a disposizione in modo coordinato, per esempio attraverso Pacchetti Integrati di Agevolazioni, dell’intera gamma dei sistemi di finanziamento esistenti e collaudati, dai finanziamenti diretti in regime de minimis al microcredito ai bandi d’incentivazione progettuale. In questo senso, vanno anche battute tutte le vie possibili di accesso alle disponibilità finanziarie esistenti nel nostro sistema economico, che non mancano, purché si adottino forme e procedure chiare, tempestive e sostenibili per ottenerle. Sotto questo profilo diventa centrale, per l’attività di sostegno da parte della Regione, il rafforzamento, la specializzazione e la sinergia dei Fondi di Garanzia pubblici e privati nonché il concorso di soggetti finanziari regionali, nazionali e internazionali nella costruzione di linee apposite di credito agevolato, calibrate sui progetti d’impresa e sulle filiere produttive. Appare utile, ad esempio, che la Regione operi anche attraverso l’attivazione di strumenti di finanza alternativa (piattaforme di crowfunding, intermediari di factoring per sconti e anticipi di carta commerciale, assistenza nell’emissione e offerta di minibond e cambiali finanziarie sui mercati e su piattaforme fintech) per favorire l’accesso delle imprese sarde, soprattutto le PMI, a questi canali del risparmio privato. Si tratta di misure attivabili senza bisogno di ricorrere a particolari nuovi strumenti legislativi, necessari principalmente per l’individuazione e la riparametrazione delle risorse da dedicarvi, e dunque fornendo energie rapidamente come serve, in aggiunta alle dilazioni finanziarie, fiscali e tributarie, per favorire la ripresa resiliente delle attività interrotte senza compromettere l’equilibrio economico-finanziario delle aziende, ma assicurando ad esse gli approvvigionamenti necessari dei fattori produttivi. Fase post-emergenziale. In una prospettiva più ampia, invece, guardando alla seconda parte dell’anno in corso e al prossimo, occorre affiancare altre misure alla strumentazione attivata per l’emergenza, sia con la ri-articolazione delle misure d’incentivazione a bando, con riguardo ai range di copertura degli investimenti nelle diverse linee e anche alla settorializzazione delle misure, confermando in ogni caso la loro reiterazione frequente, a scadenze per esempio trimestrali e senza escludere, anzi implementando sulla base degli Accordi di Programma per lo sviluppo locale – in particolare nelle aree deboli e interne – la dedicazione specifica di bandi d’incentivazione degli investimenti (come da catalogo regionale) al territorio interessato; sia con l’introduzione di nuovi interventi, dedicando per esempio risorse specifiche da porre in capo alla Sfirs per un maggiore impegno della Società regionale in forme partecipative agli investimenti e al capitale d’impresa, anche in regime di cofinanziamento con altri intermediari, quali CdP, la BEI o Agenzie governative o altri soggetti del sistema bancario e finanziario (dal credito mezzanino al leasing finanziario, dai prestiti partecipativi alle cambiali finanziarie ai contratti future su merci, svolgendovi un’attività di advisoring e di garanzia utile anche per l’attrazione di fondi di private equity e venture capital). Riveste una particolare importanza ai fini dell’accompagnamento della ripresa poter far fronte alle difficoltà economiche del dopo-emergenza e alle prevedibili tensioni occupazionali mediante la spesa diretta regionale in conto investimenti e servizi. Per questo, da un lato, è indispensabile favorire la riapertura dei cantieri delle opere pubbliche in corso anche mediante la più rapida liquidazione degli stati d’avanzamento lavori (SAL) e dei crediti sospesi, ma soprattutto accelerare la predisposizione dei progetti esecutivi e dei bandi per quelle già approvate e finanziate e, poi, implementare il Piano Regionale delle Infrastrutture (PRI) che ha una dotazione significativa di risorse ancora da programmare. Ma bisogna anche sollecitare F.S. e Anas, in particolare, al riavvio dei cantieri bloccati e all’apertura dei nuovi previsti nei loro piani d’investimento pluriennali, sia con riferimento alle manutenzioni ordinarie e straordinarie sia alle nuove opere, che assommano consistenti finanziamenti. In tal senso, appare quanto mai opportuna la revisione delle procedure autorizzative, sulla scorta dell’esperienza maturata per l’intervento di ricostruzione del Ponte Morandi a Genova. Analogamente va richiesto anche a Eni e agli altri grandi gruppi industriali operanti in Sardegna e ai gestori delle reti, come Enel e Terna, di confermare e accelerare i propri piani d’investimento nelle manutenzioni straordinarie negli impianti sardi. Dall’altro lato è, però, indispensabile confermare e rafforzare il piano Lavoras, incrementando le risorse a disposizione dei Comuni affinché realizzino interventi utili e ampliando le possibilità di coinvolgimento delle imprese private nei progetti occupazionali, sviluppando la capacità della stessa Regione di progettare, dirigere e cantierare direttamente delle opere, attraverso un’unità di missione dedicata. In questo ultimo ambito ha una particolare rilevanza la predisposizione di un progetto complessivo che possa rendere capillarmente operativi gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici pubblici, per l’idonea attrezzatura degli uffici e delle sale di ricevimento degli utenti, ma soprattutto delle scuole, per riaprire e riutilizzare plessi che sono stati chiusi per effetto delle scelte operate sul dimensionamento della rete regionale dell’istruzione oppure per riattare strutture che erano state giudicate a suo tempo eccedenti o inadeguate, rimettendole a disposizione con l’acquisto degli opportuni servizi e presìdi didattici. Altrimenti, infatti, sarebbe impraticabile nelle scuole, in particolare per quelle dell’infanzia e primarie, la misura del distanziamento personale alla quale dovremo sottoporci tutti per motivi di prevenzione sanitaria, necessità non ovviabile per bambini e ragazzi neppure con doppi turni o turni alternati, che danneggerebbero comunque l’offerta formativa, e il ritorno progressivo alla normalità. Trattandosi di una missione pubblica fondamentale, che ha una incidenza diretta anche sull’attività lavorativa dei genitori, soprattutto quelli di figli minori, un piano d’intervento finalizzato a rendere la scuola gestibile in sicurezza assume un carattere di straordinaria urgenza, poiché dovremo trovarci pronti per l’autunno (forse un intervento specifico avrebbe già potuto consentire la riapertura delle scuole nella cosiddetta “Fase 2” almeno per le ultime classi delle scuole superiori, se si fosse predisposto); ma ciò rappresenta, nel contempo, un’importante opportunità per favorire la ripresa economica, perché comporta l’apertura di nuovi cantieri e la creazione di occasioni di lavoro per i disoccupati. In un progetto complessivo come questo, da coordinare dentro una regia unitaria, il Piano Lavoras diventa fondamentale, perché consente la più rapida attivazione degli interventi, poggianti sulla loro dimensione di utilità sociale, perché riguarda l’intero territorio regionale, perché rappresenta una modalità d’impiego di manodopera che sarà rimasta priva di adeguato sostegno per effetto della crisi sanitaria e alla quale difficilmente potranno essere assicurate indennità risarcitorie a tempo indefinito. Parimenti, potrebbe essere riproposto, a fini di politica di tutela ambientale e dei beni culturali, un progetto occupazionale specifico, direttamente gestito a livello regionale, per quanto riguarda la bonifica delle discariche abusive purtroppo nuovamente diffuse nel territorio, sulla scia di quanto fatto anni fa con il Piano “Sardegna fatti bella”, e interventi di cura e ripristino degli accessi a siti storico-culturali e paesaggistici, sotto l’egida del Corpo Forestale e in collaborazione con la Sovrintendenza ai BB.CC.. Ci attende infatti nei prossimi mesi, con ogni probabilità, una fase molto difficile dal punto di vista dell’occupazione sia per la minore quantità e durata degli impieghi stagionali (e quindi delle conseguenti coperture previdenziali di sostegno al reddito delle persone), sia per effetto della necessaria riorganizzazione delle attività economiche delle imprese, che dovranno rifare il proprio layout organizzativo del lavoro e della produzione, predisponendo l’utilizzo obbligatorio per tutti dei DPI, delle barriere e delle distanze personali, dei controlli, spesso anche di una nuova strumentazione operativa e di diverse sistemazioni logistiche, della riduzione dei turni, dei carichi e delle squadre di lavoro, per garantire lo svolgimento delle attività in piena sicurezza. Gli elementi di innovazione di processo, dopo questa esperienza e sulla base delle normative che ne sono derivate, interesseranno tutti gli ambiti d’attività nei settori produttivi e nei servizi, oltre che l’ambito della Pubblica Amministrazione, con riguardo sia alle proprie prestazioni sia agli acquisti esterni da cui queste dipendono, per caratteristiche, qualità e modalità di fornitura, in particolare per i servizi di terzi. Questi processi di riorganizzazione mettono in evidenza la necessità di disporre di una pluralità di misure di sostegno alla ripartenza, da parametrare alla massima tutela possibile dell’occupazione, poiché si tratta di investimenti che richiederanno sia sgravi, almeno temporanei, dei carichi fiscali, sia linee rapide di finanziamento, e una parte di questi potrà quindi essere destinataria di forme di contribuzione diretta o indiretta. Si tratta, presumibilmente, di una situazione che genererà esuberi, forse strutturali, ma certamente temporanei in attesa del loro futuro riassorbimento in produzione, e dunque l’apertura di cantieri di opere pubbliche e l’ideazione di servizi innovativi, soprattutto da parte degli Enti territoriali della P.A. contribuirà a lenirne l’impatto sociale e finanziario negativo (per esempio, nella tutela e valorizzazione di beni culturali e ambientali, nell’arredo urbano, nella catalogazione e digitalizzazione di archivi e raccolte, nella riscoperta e gestione di strutture e spazi pubblici per l’infanzia, lo sport, la terza età, la cultura, il tempo libero, in servizi sociali di prossimità per le famiglie, in particolare per gli anziani, non soltanto per l’assistenza ai bisognosi, ecc.). Per fronteggiare le difficoltà, inoltre, servirà rafforzare le risorse per interventi di politica sociale in modo particolare rivolti alle fasce più disagiate, secondo la logica propria del Reis, il Reddito d’Inclusione, cioè mediante un approccio multidisciplinare e la presa in carico delle persone/famiglie soggette a esclusione sociale o a rischio di degrado, e attraverso l’implementazione e l’erogazione di servizi da parte dei soggetti pubblici e del privato sociale accreditato, piuttosto che orientarli verso le semplici prestazioni monetarie, che sono in gran parte state surrogate da altri strumenti (per esempio, dal Reddito di Cittadinanza): si tratta di un ambito d’intervento dove non solo si realizza coesione, indispensabile soprattutto in fase di crisi come questa, ma si può anche creare nuova occupazione, che genera a sua volta un rafforzamento della domanda interna e, quindi, un sostegno alla ripresa. Ma anche prescindendo da questa specifica finalità, bisogna adottare politiche di coesione capaci di garantire a tutti i cittadini sardi, indipendentemente dalla condizione sociale e dal territorio di residenza, pari opportunità di fruizione dei servizi fondamentali, destinando investimenti pluriennali a questo scopo, dall’istruzione, alla sanità, dal lavoro al tempo libero, abbattendo i forti squilibri territoriali visibili all’interno della regione nella dislocazione e nell’accessibilità dei presidi pubblici e privati accreditati. Prospettive per lo sviluppo dei settori produttivi in Sardegna. Ma non si tratta soltanto di stimolare la resilienza del sistema economico e produttivo regionale, accompagnandolo nella sua riorganizzazione, bensì di porre tutto il complesso degli strumenti di finanza pubblica utilizzabili anche a servizio della prospettiva di crescita economica e sociale della regione, da sorreggere con un’attività di programmazione che deve saper collocare gli atti di indirizzo fondamentali secondo appropriate scelte di governo del territorio, in ragione delle vocazioni e delle caratteristiche delle diverse aree, favorendone la specializzazione e l’integrazione produttiva. Non si potranno in questo ignorare i cambiamenti dello scenario di riferimento complessivo che l’evoluzione delle conoscenze scientifiche e tecnologiche e il loro impatto con le catene di produzione del valore, da un lato, e i cambiamenti nell’ecosistema e la pandemia da Covid-19, dall’altro, hanno posto in assoluta evidenza: quanto ha inciso il cambiamento climatico nella generazione di un virus così letale? Se esiste un nesso, la situazione determinatasi questa volta può tornare a ripetersi. Perciò non è più tollerabile l’impreparazione dei sistemi di prevenzione e di controllo dimostrata a livello globale, malgrado gli allarmi lanciati dalla comunità scientifica sui rischi connessi all’eccessiva invasività delle attività umane sulla natura e nonostante l’esperienza di vaste epidemie anche di dimensione continentale e internazionale tragicamente ripetuta in diverse situazioni (Ebola, Sars, HIV): diventa indispensabile investire nella ricerca e nel miglioramento delle cure, nell’organizzazione dei servizi e nei sistemi di accesso universale alle prestazioni per la salute pubblica, ma anche nella rivalutazione delle protezioni sociali in generale, fondamentali per la difesa delle persone e per la coesione delle comunità in cui vivono. Analogamente, il rapporto uomo-ambiente, città-territorio, leggibile anche come organizzazione polarizzata o dispersa dei servizi come spinta all’urbanesimo e all’abbandono delle aree interne, viene a doversi ridefinire modificando la distribuzione delle funzioni principali e secondarie rispetto ai modelli economici e sociali finora sperimentati: questo accadrà in un arco temporale relativamente breve, la cui rapida evoluzione, condizionata dalla quarta rivoluzione industriale in pieno svolgimento, può creare traumi e lacerazioni nel tessuto sociale interno e nei rapporti tra le nazioni, se non interviene una nuova capacità progettuale nei sistemi locali e, a livello più ampio, un conseguente esercizio di ruolo di indirizzo e governo dei processi di cambiamento. Di fronte a questo scenario, appare, intanto, indispensabile una riforma generale della Regione che definisca un nuovo assetto integrato e unitario dell’intero sistema regionale e delle Autonomie Locali (Regione, enti intermedi e città metropolitana, comuni e unioni di comuni, enti strumentali e società di scopo), che realizzi un trasferimento di competenze e risorse finanziarie, strumentali e professionali agli enti del territorio. E nel contempo una revisione profonda dei procedimenti amministrativi, per sburocratizzarli e snellirli, assicurando piena trasparenza alle procedure, la cui lentezza e pesantezza è concausa del nostro ritardo di sviluppo. In tal senso, appare opportuno che la Regione non soltanto riscopra strumenti validi di programmazione territoriale dal basso, quali i Progetti di filiera e sviluppo locale, ma pensi anche all’adozione di un proprio nuovo strumento idoneo all’attrazione d’investimenti produttivi e all’insediamento di attività capaci di esprimere una leadership di filiera o di distretto, quale un Contratto d’Investimento in Sardegna (CIS?), sulla base del modello offerto da Invitalia attraverso i Contratti di Sviluppo. L’attrazione di investimenti, infatti, continua a restare necessaria, stanti le caratteristiche del sistema imprenditoriale regionale, che non avendo sviluppato durante le precedenti fasi di industrializzazione del Paese rilevanti processi di accumulazione primitiva, ma anzi, essendo condizionato da una situazione generale di arretratezza e di dipendenza dall’esterno, ha mantenuto una dimensione diffusamente troppo debole per generare in proprio dei driver importanti di crescita delle attività industriali e manifatturiere ad alto valore aggiunto. Per questo il nostro sistema regionale ha subito a lungo, a causa dell’assenteismo parassitario della proprietà fondiaria nobiliare e della borghesia cittadina dominanti, nei secoli scorsi ma fino ad epoca relativamente recente, e subisce ancora gli effetti del classico scambio diseguale, cioè la sottrazione di materie prime e risorse, che vengono valorizzate altrove e poi reintrodotte come prodotti finiti per il consumo locale, con l’effetto di drenare via dall’Isola quote significative di reddito e di risparmio, sottraendole agli investimenti produttivi in loco. Sicché oggi il sistema produttivo della Sardegna, pur non essendo privo di esempi positivi e innovativi di vario successo, per esempio in alcune aziende agroalimentari o nelle telecomunicazioni, appare orientato, più che allo sviluppo, alla sopravvivenza in attività tradizionali a basso rischio, con una scarsa specializzazione, in gran parte dirette verso il mercato domestico; non realizza da molto tempo investimenti innovativi (è quasi pari a zero la spesa privata in R&D) e sfrutta poco l’internazionalizzazione, anche a causa del diffuso “nanismo” delle imprese e della scarsa loro propensione a collaborare in rete secondo logiche di tipo distrettuale. E il tessuto economico sardo è dominato dal terziario, caratterizzato però in prevalenza da servizi al consumo, e con una forte incidenza stagionale, piuttosto che da servizi alla produzione (al contrario di quanto si riscontra nelle società industriali più avanzate). La vera industrializzazione, arrivata soltanto in età repubblicana, pur determinando modernizzazione tra vari pregi e difetti, ha avuto il limite di essere essenzialmente frutto di una pianificazione e un intervento pubblici concepiti, a torto o ragione, come compensativi (per es., la metallurgia non ferrosa a fronte della chiusura delle miniere, in aderenza ai trattati internazionali del Paese; la chimica di base nelle zone interne per sconfiggere il male oscuro del banditismo). Dopo qualche decennio caratterizzato spesso da errori gestionali e anche gravi danni ambientali, negli anni novanta del secolo scorso quei complessi industriali sorti con le partecipazioni statali hanno subito la “privatizzazione forzata” che ne ha trasferito gli asset dalle società ed enti pubblici nazionali nelle mani di multinazionali straniere, le quali hanno perseguito le proprie strategie industriali e commerciali con scarso riguardo all’interesse generale della Sardegna. La principale accusa rivolta all’industrializzazione sarda è consistita nella creazione delle “cattedrali nel deserto”, cioè nell’adozione di modelli e oggetti produttivi slegati dalle risorse locali e rivelatisi incapaci di costruire filiere stabili intorno ad essi se non in misura marginale, cioè di quanto strettamente funzionale alla manutenzione e al funzionamento degli impianti stessi, e di parziali lavorazioni successive degli intermedi prodotti, il cui scopo era, in fondo, quello di alimentare altri grandi processi industriali presso impianti ubicati fuori dall’Isola, o anche in altri Paesi. Occorre però superare un certo pregiudizio anti-industrialista che viene alimentato nel dibattito pubblico forse perché molti si ritengono scottati dalle esperienze del passato, poiché non esiste un Paese moderno e avanzato che possa fare a meno di produrre almeno una quota parte significativa dei beni di cui ha bisogno, almeno di quella parte che gli è utile a procurarsi, in condizioni più o meno paritetiche di scambio, gli altri beni che non produce. E quasi tutte le altre attività sono meno capaci di produrre valore aggiunto e occupazione, reddito da redistribuire, con l’intensità, la rapidità e i ritmi che possono essere assicurati dalle attività industriali, soprattutto se costruiscono filiere, variano e moltiplicano le produzioni, integrano i sistemi di approvvigionamento e di consumo dei materiali e dell’energia per trasformarli, razionalizzano e migliorano i fattori produttivi interni e i processi, rendendoli sempre più sostenibili, giovandosi per farlo degli interventi sui fattori esterni e sul contesto ambientale, politico e sociale in cui operano. Va, intanto, considerata come un’opportunità la presenza nell’Isola di storici presidi industriali che occorre rilanciare mantenendone la vocazione industriale, anche attraverso la bonifica, la riqualificazione e la riconversione dei siti per ridurre l’impatto ambientale delle produzioni, poiché essi offrono un’occasione straordinaria a possibili investitori: luoghi in cui insediarsi, servizi, utilities, infrastrutture. A questo scopo deve rispondere la realizzazione dei Piani di Riconversione e Riqualificazione delle Aree di Crisi Industriale complessa, e delle altre Aree di Crisi industriale individuate dalla Regione, senza far prevalere in questi il purtroppo consueto approccio “minimalista” di molte amministrazioni locali, che resta in fondo finalizzato alla sola realizzazione di qualche opera pubblica e di servizio aggiuntiva. In tal senso appare quanto mai opportuna anche una riforma dei Consorzi delle Zone Industriali, che riduca e aggreghi i soggetti gestori a non più d’uno per ogni ambito territoriale strategico di area vasta della programmazione regionale in grado di coordinarsi con le amministrazioni locali rispetto alle attività che si svolgono nei diversi PIP, creando organismi autonomi, ma soggetti al controllo della Regione e degli Enti locali, snelli ma dotati di adeguate competenze e più capaci di gestire efficacemente e implementare i servizi comuni, per fornire supporto alle imprese insediate o che intendano farlo. L’industria chimica sarda, ad esempio, offre una valida opportunità di riqualificazione a beneficio dell’intero apparato industriale nazionale: resta il tema dell’assegnazione degli impianti residui di quella che fu una filiera integrata ad investitori in grado di valorizzarli, a Sarroch, Macchiareddu, Ottana e Porto Torres. In tal senso, conserva uno straordinario valore il progetto di chimica verde a Porto Torres, per i suoi contenuti di innovazione scientifica e tecnologica, per le modalità con cui si propone l’integrazione settoriale tra primario e trasformazione industriale, per la specifica valenza ambientale di queste importanti produzioni, che concorrono concretamente a rendere più sostenibile lo sviluppo industriale e lo stesso mercato dei beni di largo consumo, riducendone l’impatto inquinante e mettendo a disposizione degli altri settori produttivi prodotti intermedi biodegradabili. Ma occorre creare le condizioni per orientare investimenti in Sardegna da parte non solo di Eni, ma anche di altri grandi gruppi nazionali operanti in altri campi, come l’industria aerospaziale e la cantieristica (Leonardo, Fincantieri), settori in continua espansione e avanzamento tecnologico, cui è strutturalmente connessa la ricerca, l’innovazione, l’elevata professionalità, un numero rilevante di occupati diretti e indiretti; investitori che si possono avvalere di particolari dotazioni logistiche e di contesto esistenti in Sardegna, senza soffrire della sua condizione d’insularità. E se la cantieristica navale potrebbe giovarsi della rete degli approdi e dei porti in cui sono collocate diverse attività di servizio e di supporto, oggi soffre però della carenza di programmazione che ne limita le possibilità espansive di insediamento. L’aerospazio rappresenta una grande opportunità di specializzazione produttiva in un settore avanzatissimo per la Sardegna, la quale potrebbe mettere a frutto la disponibilità di infrastrutture civili e militari oggi in uso o dismesse dalla Difesa nazionale, dove costituire impianti di sperimentazione di modelli droni e altri velivoli unmanned, di nuovi motori e propellenti, di simulazione dei voli suborbitali, di sistemi di telecomunicazione, di piattaforme di ricerca e monitoraggio spaziale e ambientale, di fabbricazione di nuovi materiali e componentistica. Recentemente il DASS, il Distretto aerospaziale della Sardegna, partecipe del cluster nazionale dell’aerospazio, ha siglato un accordo con il Distretto analogo della Campania, per la realizzazione dell’importantissimo progetto “SMS”, Small Mission to MarS, con capofila il CIRA, Centro Italiano Ricerche Aerospaziali, e la collaborazione di AVIO, il quale prevede entro il 2027 il lancio di una missione su Marte finalizzata alla sua mappatura ad alta definizione attraverso l’uso di droni, l’analisi delle polveri del pianeta rosso e del satellite Phobos, la produzione in situ di manufatti con l’uso delle risorse disponibili sulla sua superficie, utilizzate anche per ottenere acqua, fertilizzanti, propellenti e biomassa edibile (tutti brevetti del DASS). Il successo della missione potrebbe avere delle implicazioni davvero notevoli per l’Isola. Sotto questo rispetto, va rivalutato lo sviluppo del polo manutentivo aeronautico su cui la Sfirs già aveva una partecipazione, il quale, insediato a Olbia quale spin-off di Meridiana, ha condiviso la sorte negativa della compagnia di volo, senza riuscire ad espandere le proprie attività nel relativo mercato di riferimento. Oggi esso rappresenterebbe una possibilità concreta non soltanto di sviluppo industriale di alcuni progetti elaborati dal DASS, ma anche per rendere l’Isola meta interessante del network di vettori aerei che troverebbero così una ragione significativa per sceglierla, laddove non sarebbe invece stimolante la sola debole domanda regionale del servizio di trasporto. In tal senso, si realizzerebbe, attraverso un pregiato investimento industriale in un settore labour intensive tecnicamente avanzato, anche una politica di espansione di attività di servizio per noi isolani indispensabili. Così pure offre importanti prospettive la riconversione in atto del compendio minerario di Nuraxi Figus, dove, insieme ad altre iniziative di ricerca sperimentale in capo a Sotacarbo e altri soggetti, si è convenientemente allocato il progetto “ARIA” – nel quale Regione e Università isolane collaborano con istituti quali l’lNFN e il suo Laboratorio del Gran Sasso, il CERN, l’ENEA, il Politecnico di Milano, la Princetown University, il Fermi National Laboratory e l’ITIM di Cluj Napoca – che prevede la realizzazione della più alta torre al mondo di distillazione criogenica per la produzione massiva di isotopi stabili arricchiti ad altissima purezza, anzitutto l’Argon 40, fondamentale in fisica e astronomia per la ricerca della materia oscura e dell’energia oscura, e di Germanio, Xenon e Selenio per gli studi sul neutrino, ma anche di isotopi commerciali di Azoto, Carbonio e Ossigeno utili in svariati campi tecnico-scientifici ed economici. Analogamente, è di assoluto rilievo la candidatura della miniera di Sos Enattos a Lula ad ospitare l’Osservatorio astronomico europeo per lo studio delle onde gravitazionali, attraverso la costruzione di un mega-telescopio con tecnologia di terza generazione (ET, Einstein Telescope), che avrebbe enormi risvolti scientifici ed economici, e si affiancherebbe al radiotelescopio di San Basilio. Entrambi i casi su esposti offrono un esempio concreto di progetti di riconversione produttiva di siti minerari resa possibile dallo sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica e dalle sue applicazioni, che bisogna incentivare. E così le opere di bonifica e di riqualificazione delle discariche e dei compendi minerari, che mettono insieme politica ambientale, per il lavoro e per lo sviluppo delle risorse locali, rappresentano una grande opportunità, per esempio con riguardo all’estrazione di residui minerali pregiati dagli inerti accumulati nei decenni passati, e delle terre rare, mediante idonei e innovativi processi e nuovi impianti industriali; oppure con riguardo alla valorizzazione dell’immenso patrimonio storico-culturale dei beni e delle strutture minerarie nell’Isola, per le quali è stato istituito il Parco Geominerario storico e ambientale della Sardegna. Vanno create le condizioni per indurre il sistema delle PMI manifatturiere a realizzare economie di scala, incentivandone l’aggregazione, i contratti di rete, la crescita dimensionale, anche attraverso forme premiali per la nuova occupazione e di supporto per i nuovi investimenti. In tal modo esse possono conseguire una massa critica complessiva più capace di fare ricerca e innovazione di processo e di prodotto, di utilizzare tecnologie sempre più avanzate, di spingere la commercializzazione e l’esportazione delle produzioni e di generare attività di formazione specifica per gli addetti: si tratta in generale di valorizzare le filiere, agendo e organizzando al meglio i Distretti industriali. Intanto, ne va ripensata la struttura e la modalità di gestione, perché il soggetto pubblico regolatore può indurre un salto di qualità nell’organizzazione della produzione e dei servizi reali e può supportare una politica commerciale unitaria sia per le forniture dei fattori, materie prime, tecnologie e servizi, che per la vendita delle produzioni, favorendo la specializzazione dei compiti e l’integrazione delle diverse attività, acquisendo commesse multifattoriali e pianificando la produzione complessiva. Innovazione di processo, sostenibilità e costruzione di filiere sono la strada per rilanciare ed espandere le nostre produzioni anche nei settori già maturi, che pure necessitano di specifici interventi di sostegno o di riqualificazione espressi anche in termini di servizi reali alle imprese: sughero, lapidei, sabbie, tessile, lattiero-caseario, agro-alimentare, la stessa metallurgia non ferrosa, che è strategica per l’intero Paese (si stenta a riconoscerlo, malgrado essa fornisca intermedi per l’industria nazionale che non si fanno altrove). In questi ambiti, considerata la quota enormemente preponderante di esportazioni al grezzo per esempio di sabbie e lapidei, occorrerà promuovere azioni specifiche orientate a verticalizzare le produzioni di materie prime e intermedi in Sardegna, per completare le filiere produttive. Perciò serve una riforma del sistema degli incentivi, perché i numerosi strumenti di programmazione finora promossi dallo Stato e dalla Regione sono stati, da un lato, poco selettivi rispetto ai settori merceologici da finanziare, ai territori dove allocare gli investimenti, all’occupazione da favorire; dall’altro, non hanno subito una severa verifica dei risultati, facendo registrare frequenti fallimenti e clamorosi sprechi, talvolta anche illeciti, di risorse pubbliche. Servono infrastrutture di base e servizi, disponibilità di acqua, depurazione e riciclo; trattamento, riutilizzo e smaltimento dei rifiuti; risorse umane qualificate, formazione professionale, R&D: il bilanciamento di tutti questi elementi, con riguardo alla tipologia e dimensione d’impresa, serve a costituire pacchetti agevolativi cui possono sommarsi risorse finanziarie specificamente finalizzate a creare occupazione. Ma oggi assume priorità il rapido superamento del digital divide dell’isola, investendo nei servizi ICT e nelle reti a banda ultra-larga di ultima generazione: il Piano strategico BUL in Sardegna deve essere rapidamente completato, con l’attivazione del servizio anche nelle aree a fallimento di mercato. Infatti, per colmare efficacemente il nostro divario di sviluppo rispetto alle aree più avanzate del Paese e d’Europa, occorre puntare con decisione sui settori più innovativi, quelli che hanno un maggior contenuto di sapere scientifico e tecnologico e che creano più valore aggiunto: anzitutto l’ICT e le reti intelligenti, utili anche per valorizzare il patrimonio storico-artistico-paesaggistico e promuovere il turismo esperienziale; ma poi la meccanica fine, le biotecnologie e la biomedicina, le FER e le nuove energie, la cantieristica, l’aerospaziale, e, soprattutto, il green chemical e la blue economy, intesa come insieme di cicli di riuso dei materiali e di creazione di nuovi materiali secondo logiche di economia circolare. Questa postula la restituzione alla natura di quanto le è stato “preso in prestito” per realizzare beni, al termine del loro ciclo di utilizzo, come nel caso, ad esempio, delle bio-plastiche che ridiventano fertilizzanti, il cui utilizzo sostituivo di quelle tradizionali contribuisce a ridurre il grave inquinamento oggi presente nelle terre e nei mari. L’economia circolare ha bisogno di investimenti nell’innovazione, cioè nello studio e nella ricerca, di base e applicata. Ma investire nell’innovazione significa farlo anzitutto nella formazione delle persone, nel sapere, che non è automatizzabile neppure quando elabora nuovi sistemi e metodologie di automazione; significa anche dare una preparazione adeguata ai lavoratori che oggi non ce l’hanno, ma che ne necessitano per accompagnare in modo socialmente sostenibile la velocissima trasformazione in corso dell’economia. In questo è fondamentale anzitutto la formazione professionale, che punti a innalzare, adeguare, aggiornare il patrimonio di competenze disponibile nella forza lavoro regionale per le persone in ragione anche dell’evoluzione dell’offerta e delle metodologie d’impiego. Ma va assunta con determinazione la prospettiva della qualità del lavoro come fattore determinante di successo delle politiche economiche e industriali che si mettono in campo. E questo implica il rispetto delle regole e della dignità delle persone che lavorano, che devono innanzitutto poterlo fare, con il braccio e con la mente, in condizioni di sicurezza e di salute; significa espandere l’occupazione e generalizzare le forme di sostegno al reddito nei momenti di difficoltà, poiché la piena e buona occupazione caratterizza non solo la finalità del perseguimento di migliori condizioni di vita nelle nostre comunità, ma la capacità del mercato interno di sostenere le attività produttive e commerciali, e gli stessi servizi pubblici locali di qualità che rendono queste accoglienti. Il settore primario rappresenta in Sardegna senz’altro uno dei più importanti ambiti produttivi cui affidare il futuro della regione, pur con tutte le difficoltà connesse a una diffusa arretratezza nei metodi colturali e d’allevamento, espressa nella scarsa qualità e quantità delle produzioni, nella debolezza dei sistemi di trasformazione e di commercializzazione, nella scelta stessa delle tipologie di prodotto e delle tecniche di produzione; tutti elementi che determinano un elevato grado di dipendenza dalle sovvenzioni pubbliche degli operatori ovvero un’elevata loro esposizione verso terzi, intermediari finanziari o industriali. Al netto del valore intrinseco delle produzioni di qualità e di nicchia, del target dei prodotti sani e “biologici”, la Sardegna spopolata ha il grande vantaggio di disporre di grandi superfici agricole utilizzabili, e questo significa che potremmo non soltanto ambire a produrre quanto serve per soddisfare il fabbisogno alimentare interno, oggi tutt’altro che interamente coperto, ma a conquistare fette importanti di mercati extra-regionali per le nostre produzioni agricole e agroalimentari, ottenendo buone ragioni di scambio nella bilancia commerciale per una realtà che ha bisogno, invece, di cose che non produce. Ma bisogna affermare chiaramente che l’agricoltura è più sviluppata nei territori dove esiste un traino industriale alle produzioni primarie, non dove continuano a sussistere metodi atavici di produzione, trattamento e commercializzazione dei prodotti: non esiste, cioè, una dicotomia tra sviluppo industriale e sviluppo del settore primario, poiché essi, semmai, si sorreggono a vicenda. Serve, invece, aumentare la capacità di trasformare le produzioni agro-zootecniche attraverso le attività manifatturiere che, per sorgere, hanno bisogno di infrastrutture e di servizi reali, come qualsiasi impianto industriale, di commodities e di utilities, trasporti efficienti, energia elettrica e termica in condizioni competitive e sicure, per le linee del fresco, del freddo, della lunga conservazione. In Sardegna esse hanno bisogno del metano che non c’è, ad esempio, per abbattere costi di bollitura, pastorizzazione, sterilizzazione, surgelazione o per produrre confezioni in loco. Occorre costruire filiere produttive, dalle materie prime al packaging, al marketing, alla distribuzione commerciale, dove troverebbero lavoro qualificato tante persone e sbocco di mercato i tanti agricoltori e allevatori che costituiscano le reti locali dei fornitori. Diventa strategica in questo la capacità di integrare le classiche produzioni agroalimentari con attività agricole no-food, sia per costituire un’altra fonte di reddito per gli agricoltori e allevatori, con le opportune rotazioni d’uso, sia perché esse possono stimolare nuove attività nell’industria green che rappresenta tanta parte del nostro possibile futuro: bio-plastiche, bio-lubrificanti, bio-combustibili, bio-filler, nutraceutica, piante officinali, cosmesi, farmaceutica. Si aprono così opportunità anche per le aree marginali, dove la Regione e le Amministrazioni Locali siano capaci di costruire, insieme a contratti di rete tra micro, piccole e medie imprese, le condizioni favorevoli per la localizzazione di nuovi impianti e investimenti che traggono valore aggiunto proprio dalla prossimità con le produzioni locali delle loro materie prime, in economia circolare. Naturalmente, bisogna anche avviare un serio processo di riordino fondiario e della governance della risorsa idrica, bene comune limitato e fondamentale, da utilizzare con sapienza e senza inutili sprechi. Il territorio regionale, d’altronde, offre nel suo insieme una straordinaria opportunità data dalla presenza di numerosi beni culturali e ambientali da riscoprire e valorizzare, che costituiscono un serbatoio inespresso di valori economici e identitari. Per questa via è possibile anche sviluppare il turismo, che ha ampi margini di crescita se sa proporsi come si deve fare oggi, unendo all’offerta standardizzata (come quella marino-balneare e ludico-estiva) la dimensione differenziata dell’offerta culturale e della scoperta e fruizione del paesaggio, delle attività umane vecchie e nuove che lo caratterizzano in modo unico e irripetibile, rendendo tale anche l’esperienza di destinazione di chi l’abbia scelta. In sostanza nel medio-lungo rischia di non reggere il modello “universale” dell’offerta turistica marino-balneare, stante l’agguerrita e qualificata concorrenza di altre destinazioni mediterranee che si sono mostrate ben capaci d’intercettare flussi crescenti di domanda internazionale, il quale risente drammaticamente delle crisi causate da eventi imponderabili esterni, come questa pandemia da Coronavirus dimostra. Per affrontare la dirompente crisi attuale, occorre, da un lato, disporre una serie di misure d’intervento dedicate al settore per sostenerlo in questo momento particolarmente difficile, con riflessi pesanti sull’occupazione e sul reddito complessivo del nostro sistema regionale, al quale esso dà un apporto diretto e indiretto significativo: dagli indennizzi ai lavoratori stagionali rimasti disoccupati, agli sgravi, finanziamenti agevolati e sovvenzioni mirate alle imprese, soprattutto in conto occupazione, forme di stimolo alla domanda “interna” delle famiglie e dei consumatori (bonus vacanze); ma occorre, dall’altro lato, ragionare e dotarsi di un Piano organico di riqualificazione del sistema turistico regionale, che punti a differenziare e a de-stagionalizzare l’offerta, valorizzandone come suo punto di forza l’unicità “sarda” che la distingue, e a integrarla in filiera con le produzioni e attività caratteristiche del territorio, preservandone il pregio ambientale che costituisce il più potente nostro attrattore: mettere insieme mare e sole con monti e foreste, cultura, beni storico-archeologici, sagre e tradizioni locali, enogastronomia, itti-pescaturismo e turismo rurale, parchi naturali, terme, fiere e congressi, pratiche sportive, itinerari paesaggistici, didattici, religiosi. Bisogna concentrare attenzioni e risorse pubbliche e private nella riqualificazione delle strutture ricettive esistenti e nell’aumento di quelle alberghiere e a rotazione d’uso, incentivandone la localizzazione secondo una adeguata programmazione regionale, ma stabilendo quali sono le aree utilizzabili e quali vanno sottoposte a salvaguardia integrale o alla possibilità di soli usi compatibili, conciliando la tutela del paesaggio con l’utilizzo anche intensivo del territorio. Perciò è importante avere un Piano paesaggistico per l’intera regione e un’adeguata normativa di governo, respingendo la spinta ricorrente alla cementificazione costiera indiscriminata, un approccio sbagliato e superato che rischia di compromettere le potenzialità economiche del comparto dietro le quali spesso si pretende di giustificarla. Occorre, cioè, fare in modo che sia un’intero territorio, con il suo paesaggio, le sue comunità e giacimenti culturali a giovarsi e offrirsi a un turismo esperienziale di qualità non ripetibile altrove, una qualità che resta legata anche ad attività di tipo artigianale, saperi e inventiva che restano vitali dentro contesti di “cooperazione di comunità”, e alla qualità del lavoro, data dalle competenze, da coltivare costantemente, dalle retribuzioni, dai diritti e dalle tutele che lo accompagnano. Si tratta di dotarsi di strumenti efficaci di orientamento della domanda e di governo del sistema dell’offerta turistica locale e regionale, dalle attività di promozione e di marketing 2.0 ai servizi integrati, dai sistemi di trasporto esterno e interno alla distribuzione dei prodotti e dei marchi locali, dall’accessibilità dei BB.CC. e paesaggistici all’organizzazione in rete dei pubblici esercizi alla gestione di eventi di richiamo. A questo scopo serve la costituzione di una DMO (Destination Management Organization), un soggetto regionale pubblico-privato di supporto al sistema unitario del turismo, nella promozione e marketing, capace di rappresentare bene complessivamente la Sardegna nel mondo, superando i limiti evidenti di una promozione affidata al solo livello territoriale o al fai da te. Orientamenti programmatici, limiti e opportunità. Servono, insomma, politiche industriali capaci di attrarre capitali e orientarli verso la realizzazione di progetti di sviluppo integrato delle nostre diverse realtà territoriali. A questo è funzionale una diversa visione del governo del territorio, che è un bene comune e si governa in modo condiviso, con una prospettiva che sa andare oltre la dimensione localistica e guardare alla complessità delle logiche di area vasta. Ma bisogna anche assumere il concetto elementare che esistono le caratteristiche specifiche e le vocazioni territoriali, che non tutto si può fare dappertutto, che si deve considerare cosa si può compatibilmente e sostenibilmente insediare e dove si possa fare oppure no un investimento produttivo, con quali motivazioni e quali servizi reali di supporto; e, poi, che fare sistema significa valorizzare la specializzazione produttiva di un luogo in termini di integrazione con le altre realtà territoriali variamente caratterizzate, cioè assumere una logica distrettuale. E così trovano senso anche le diverse forme di promozione ed attrazione degli investimenti, che si possono mettere in campo in modo selettivo, cioè capace di favorire un’attività desiderabile, e perciò programmata, e dissuaderne un’altra, non preferibile magari perché improntata soltanto alla speculazione a breve termine. Per farlo occorre assumere una politica industriale chiara e lineare, che deve saper scegliere, anche dal punto di vista localizzativo, su quali settori e filiere puntare, come specializzare le diverse aree produttive, quali sistemi di connessione mettere loro a disposizione, quali politiche finanziarie e commerciali mettere in campo, quali politiche del lavoro e della formazione realizzare, indirizzando le risorse pubbliche secondo principi di concentrazione e di selettività, stabilendo le priorità, perché per questa via si ripagano prima e meglio gli sforzi compiuti, piuttosto che disperderle in troppi rivoli improduttivi. E’ certamente difficile realizzare politiche espansive quando le risorse sono poche, a causa delle pesanti eredità del passato e delle difficoltà della finanza pubblica, da cui discende, in fondo, la continua rincorsa a forme varie di tassazione negativa, cioè sgravi fiscali concessi ai privati, per stimolare la crescita economica, che da noi molti sostanziano nella promessa mitica di zone franche variamente intese. In realtà, non bastano gli sgravi fiscali, spesso costosi per l’erario ma poco produttivi di sviluppo, perché sorreggono per lo più l’esistente non l’avvio di nuove iniziative, e valgono esattamente la loro consistenza in termini di crescita del Pil, non hanno cioè in genere un grande effetto moltiplicatore. Offrire automatismi fiscali compensativi, meglio se per un tempo limitato e in modo specificamente selettivo per settore o per tipologia d’intervento, a favore degli investimenti privati, risulta invece utile per finanziare investimenti in nuove tecnologie, nella formazione del personale, nel capitale fisso d’impresa, attraverso misure come il super o l’iper-ammortamento, che sono moltiplicatori della produttività, laddove correttamente utilizzati. Certo va considerato quale fattore fondamentale di successo una Pubblica Amministrazione efficiente e moderna, che snellisca il peso della burocrazia e semplifichi il rapporto tra autorità e cittadini ed imprese, cosa che si realizza anzitutto attuando processi di reale federalismo interno, esaltando i principi di adeguatezza e di sussidiarietà. Il tema, invece, dell’inefficienza dei trasporti, sia interni che esterni alla Sardegna, rappresenta uno dei gap che incidono più negativamente sulla competitività di tutto il sistema regionale. E’ dirimente, perciò, un moderno Piano Regionale dei Trasporti che affermi il principio della perequazione dello svantaggio dell’insularità per i cittadini residenti e le imprese operanti in Sardegna in materia di continuità territoriale aerea e marittima, assicurando le tratte e i servizi a terra dedicati anche sull’altra sponda marittima. Ma serve un Piano che guardi anche al completamento della maglia viaria interna e preveda gli interventi sulla rete ferroviaria necessari a velocizzare e rendere davvero fruibili i collegamenti tra le principali realtà urbane, portuali e aeroportuali sarde, realizzando gli snodi intermodali per le reti di traffico locale; che riordini efficacemente il sistema regionale del trasporto pubblico locale, ivi compreso il cabotaggio con le isole minori, assicurando servizi adeguati di mobilità anche nelle cosiddette realtà a domanda debole; che sappia mettere a sistema e valorizzare sinergicamente gli scali portuali e aeroportuali sardi, sia attraverso la possibile loro migliore specializzazione, sia migliorandone l’accessibilità e la fruizione dei servizi a costi accettabili. In Sardegna è però indispensabile una oculata politica energetica per qualsiasi politica di sviluppo, industriale, agricolo e nei servizi, per attrarre investimenti e creare nuove opportunità di lavoro, per le politiche di prevenzione e tutela paesaggistica e ambientale, per le politiche sociali. Pur tenendo conto dei protocolli internazionali in tema di riduzione delle emissioni climalteranti, di efficienza energetica e produzione da fonti rinnovabili, è indispensabile una programmazione che eviti di far ricadere le inefficienze del nostro sistema sul già debole tessuto industriale e produttivo, anche allo scopo di preservarne risorse utili per la sua riqualificazione sostenibile e l’innovazione tecnologica ormai imprescindibile. Anzitutto per la Sardegna è un punto di forza irrinunciabile, a scanso di una sua totale dipendenza dall’esterno, la capacità produttiva in loco di energia con un corretta pluralità di fonti, in modo da supportare la crescita indispensabile dei settori produttivi percorrendo senza affanno la transizione verso un modello fondato totalmente o quasi sulle energie rinnovabili, realizzando per questa via tutti gli obiettivi assunti di efficienza, risparmio e riduzione delle emissioni. Per queste ragioni la disponibilità del metano per usi civili e industriali è d’importanza fondamentale per l’intera comunità sarda, al pari delle altre regioni italiane ed europee. E tale disponibilità deve fondarsi sulla sicurezza e stabilità della rete, non può restare vincolata né a modalità distributive inefficienti né ad antieconomici monopoli locali della risorsa, che deve invece restare accessibile a condizioni e a prezzi in tutto comparabili con quelli praticati in tutte le altre realtà regionali: a queste finalità risponde la costruzione della rete interna per la distribuzione del gas. Inoltre, in ambito energetico l’innovazione tecnologica va sviluppata anche con riguardo in particolare alle forme e modalità di accumulo, come ad esempio nei sistemi power to gas (P2G) e nella realizzazione di infrastrutture di distribuzione dell’idrogeno e per il suo riutilizzo power to x. Poi l’innovazione tecnologica farà il proprio corso, lo sfruttamento di sole, vento e altre fonti rinnovabili diverrà applicabile convenientemente nell’agricoltura di precisione, nell’allevamento a controllo numerico, nel turismo di qualità, nella produzione industriale e semi-industriale di prodotti green, nei servizi pubblici e privati, negli usi civili. In altri termini, senza la fase di transizione garantita dal metano, non si arriverà allo sviluppo dei settori produttivi ma ad un ambiente economicamente desertificato. Effetti distruttivi della crisi si sono sperimentati nel settore delle costruzioni, nel quale si stimano perduti oltre 30mila posti di lavoro negli ultimi dieci anni in Sardegna. Numeri legati non soltanto al calo della domanda di abitazioni e delle opere pubbliche, ma che postulano il bisogno di un piano integrato di rilancio di lungo periodo, che guardi al recupero e all’arredo urbano e alla qualità della vita nelle città, ad un housing sociale non “punitivo” per i quartieri popolari; alle reti e alle infrastrutture, alla sicurezza e all’innovazione nelle tecniche costruttive e nei nuovi materiali, all’efficienza energetica, alla domotica; ma anche alla sistemazione idrogeologica del territorio e alla sostenibilità, al rispetto e alla valorizzazione del patrimonio ambientale e storico nella sua tutela, che non si può più trascurare in favore della cementificazione. Utile al rilancio delle costruzioni, che permetterebbe anche la ripresa dei comparti complementari all’edilizia, dai lapidei alle sabbie, dai laterizi all’impiantistica, dai manufatti alle vernici e coibentanti, dagli infissi al legno e arredamento, sarebbe la revisione della disciplina degli appalti, con la definitiva abrogazione del massimo ribasso, con maggiori controlli e verifiche in itinere piuttosto che concentrarli soprattutto ex ante, sui subappalti, sui rischi d’infiltrazioni malavitose, sul rispetto delle norme di sicurezza e salute nel lavoro. Un piano industriale di rilancio ed espansione dei settori produttivi in Sardegna comporta, dunque, un insieme condiviso di proposte che riguardino i diversi settori e ambiti d’intervento, dal primario al terziario, dalla ricerca all’università, dalla scuola alle politiche sociali e sanitarie, dalla formazione alle politiche del lavoro, dall’ambiente al governo del territorio, dai beni culturali alla pubblica amministrazione e alla riarticolazione dei poteri tra istituzioni centrali e locali, alla revisione degli strumenti di governance complessiva secondo modelli partecipativi, che sia capace di disegnare la Sardegna del futuro. In definitiva, un nuovo piano di rinascita che sia condiviso ampiamente, sul quale poggiare una strategia di pianificazione dell’intervento pubblico (PRS, Piano Regionale Strategico) che assuma un orizzonte temporale più ampio di una sola legislatura, in quanto fondato su alcuni principi ispiratori che rivestono una valenza trasversale per le politiche da definire e sviluppare, senza rimetterli interamente in discussione a ogni cambio di governo. Strategia e parole chiave
Scenario verso un piano regionale strategico per la Sardegna. Quella attuale è una fase storica di fortissima evoluzione, ma secondo itinerari non chiari e coerenti. Il mondo e l’economia globalizzata sono entrati nella quarta rivoluzione industriale, sotto la spinta dell’evoluzione delle scienze e delle tecnologie informatiche, che stanno determinando una crescente compenetrazione tra realtà fisica, biologica e digitale, in cui domina la riduzione a dato di quasi ogni oggetto e aspetto, anche relazionale, della vita associata. Il dato implica la sua misurabilità, anche previsionale, e determina flussi di informazioni, vie, reti e modalità di produzione, trasmissione, replicazione e, poi, la loro custodia e conservazione: è l’era dell’intelligenza artificiale e del blockchain, del cloud e delle nuove tecniche computazionali e predittive, della realtà virtuale (VR) e della robotica “umanoide”, delle biotecnologie applicate e della stampa tridimensionale, dell’internet delle cose (IoT) e della domotica, dei materiali innovativi e della generazione, trasmissione e immagazzinamento dell’energia. Si tratta di un’evoluzione che ha il portato di rimettere in discussione ovunque nel mondo avanzato, e non solo, gli assetti consolidati dei sistemi di produzione e scambio di beni e servizi, dell’organizzazione del lavoro e delle catene di creazione del valore, sia su scala globale che locale; capace di modificare le relazioni tra stati e i loro sotto-insiemi locali e i macro-insiemi internazionali di cui fanno parte; foriera di cambiamenti progressivi nella vita sociale e nella stessa percezione della realtà concreta e politica delle persone. Cambiamenti che creano inevitabili contrasti da cui possono germinare nuovi conflitti e in nuove forme, dentro il corpo sociale delle nazioni e tra i sistemi politici che le informano, anche per effetto dei dualismi sempre più marcati tra in-siders e out-siders, partecipanti o meno alle conquiste positive che i cambiamenti determinano, per esempio nel mercato del lavoro tra chi possiede competenze adeguate, e possa beneficiare di maggiori quote redistribuite della ricchezza prodotta, e chi invece ne è privo, e venga risospinto ai margini inferiori delle attività professionali che generano ricchezza da redistribuire. E’ una traiettoria ben possibile, ma non inesorabile, purché intervengano in tali processi misure efficaci di controllo, indirizzo e di governance partecipativa da parte delle autorità democratiche e rappresentative. Contestualmente, è diventata di assoluta attualità nel dibattito pubblico la questione ambientale, legata alla indifferibile necessità di contenere i cambiamenti climatici indotti dalle attività umane entro un livello sostenibile per il pianeta senza che ne venga sconvolto, e distrutto in gran parte, l’ecosistema complessivo. La questione, in realtà, investe non solo la responsabilità del mondo scientifico, messo alla prova per l’analisi della situazione e la previsione degli scenari futuri in ragione delle modificazioni suggerite e apportate nei sistemi economici e sociali di tutti i Paesi, ad iniziare da quelli maggiormente responsabili delle emissioni climalteranti; ma soprattutto investe, appunto, i decisori politici e le autorità dei Paesi e dei consessi internazionali di cui sono partecipi, chiamati a darsi obiettivi e programmi d’azione coerenti con le strategie comuni di contrasto dei cambiamenti climatici: l’esattezza delle previsioni, la bontà delle misure e l’effettiva loro attuazione possono determinare, entro la fine del secolo, la conservazione di condizioni sufficienti per la stessa sopravvivenza della vita nel pianeta, almeno per tanta parte dell’umanità. L’Unione Europea si appresta a mettere in attuazione il Green New Deal, un Piano di portata storica per obiettivi e dimensione del programma, dal quale è impossibile, e irragionevole, che la Sardegna possa prescindere nei suoi Piani, tanto più perché le risorse aggiuntive di cui ha bisogno saranno erogate dalla Commissione UE ai Paesi membri, e alle loro regioni, in modo legato alla realizzazione del programma green e del suo timing attuativo. È nel contesto dell’elaborazione di questo Programma e della definizione del Quadro Finanziario Pluriennale dell’U.E. che è intervenuta la crisi della pandemia da Covid-19: il mondo vedrà più avanti gli effetti sanitari delle straordinarie misure di contenimento dei contagi adottate dai vari Paesi, ma nel frattempo, nel 2020 e negli anni subito a venire, l’Italia e l’economia già fragile della Sardegna, colpite duramente, dovranno fare i conti con le difficoltà del rilancio, che assorbirà tante risorse. La nostra Isola sconta da più d’un decennio dei tassi di crescita del PIL fra i peggiori in Europa, e continua a distinguersi per basse performance di produttività totale dei fattori e del lavoro, per una marcata sotto-capitalizzazione e bassa intensità di capitale investito nelle attività produttive, per una preponderanza esagerata del terziario legata anche al mercato turistico (che stimola un’aggressività scomposta degli investimenti immobiliari legati ai segmenti della ricettività, della ristorazione, dei servizi e del commercio di piccola dimensione), per le forti diseguaglianze nella distribuzione territoriale delle attività economiche, che hanno privilegiato le coste e le maggiori aree urbane, le quali infatti esprimono ancora un maggior dinamismo occupazionale e demografico, a fronte invece di un invecchiamento e spopolamento di preoccupante dimensione per il loro retroterra meno prossimo e le zone interne. Per questo si è ragionato finora su di un doppio piano: la congiuntura sfavorevole da correggere al più presto, e un piano di rilancio di medio-lungo periodo, che si proponga di cambiare le condizioni macroeconomiche date, invertendo la direttrice del loro sviluppo. L’obiettivo minimo da assumere non può che consistere, oggi, nel mantenimento di ciò che è rimasto nel comparto produttivo-manifatturiero e, quindi, in uno slancio verso l’innovazione, cioè gli investimenti nei settori avanzati e nei nuovi processi produttivi, nella realizzazione di moderne e sostenibili infrastrutture green, nell’efficacia delle reti sociali, nella ricerca e nell’innalzamento dei livelli di sapere diffuso e delle competenze professionali dei lavoratori, nell’adozione intensiva delle tecnologie ICT. Innovazione. È l’elemento di politica economica più importante. Nelle migliori pratiche internazionali, l’innovazione ha guidato la crescita di medio e lungo periodo e ha contribuito e contribuisce ad attivare posti di lavoro in modo strutturale quando:
Settori produttivi e strumenti programmatici. La riflessione sui settori e sulle filiere da costruire a cui si applica la caratteristica dell’innovatività non può che portare l’attenzione, com’è preferibile per una realtà in ritardo di sviluppo o sottoutilizzata, sui settori e le filiere che hanno maggiori contenuti di sapere tecnologico e scientifico trasferito sulle produzioni e sui modi con cui esse si realizzano; che sono capaci di legarsi in modo articolato con il sistema locale di riferimento, dai servizi alle università e ai centri di ricerca, pubblici e privati; settori e filiere che sanno di dover puntare, oggi, sulle persone che lavorano (il capitale umano, pessima espressione ma vero fattore differenziale di successo economico e di coesione sociale), che mettono a disposizione competenze sempre più ampie e sofisticate, per le quali si sono preparate in una scuola efficiente e moderna e attraverso una formazione continua al passo con le sfide della modernizzazione. L’innovatività ben si presta certamente all’adozione nei settori avanzati (green chemical, blue economy, agro-industria food e no-food, nutraceutica e farmaceutica, aerospazio, cantieristica, meccanica fine, biotech, ITC, FER), ma anche alle nuove forme di gestione dei servizi reali fondamentali e dei beni comuni, al turismo esperienziale in rapporto con i giacimenti culturali, compreso l’artigianato artistico, e il patrimonio ambientale, sempre secondo logiche di economia circolare. L’innovazione di processo e l’uso dei nuovi materiali sarà la cifra per la riqualificazione dei settori tradizionali (edilizia, estrattivo, metallurgico, commodities, trasporti e intermodalità). Occorre definire una seria disciplina di governo del territorio, per favorire integrazione e (ri)specializzazione dei sistemi locali e indirizzando e promuovendo l’attrazione d’investimenti caratterizzanti, intorno ai quali costruire filiere. In questo senso, si può pensare alla sperimentazione di forme di fiscalità e di burocrazia di vantaggio (un mix dei modelli delle ZES, Zone economiche speciali, e delle ZFU, Zone franche urbane, con un servizio amministrativo multidimensionale dedicato, sul modello SUAPE, lo Sportello unico per le attività produttive e l’edilizia. Andrebbe finanziato interamente, non potendo la Regione disporre dell’erario statale né delle contribuzioni obbligatorie), uno strumento ricomprendente comunque anche il regime di aiuti secondo la disciplina comunitaria, funzionale alla localizzazione degli investimenti in settori e aree specifiche, evitando però la rincorsa alla moltiplicazione ovunque del modello, che lo renderebbe superfluo. La misura può rispondere ad esempio all’obiettivo di costruire e rafforzare i Piani di riqualificazione e riconversione delle Aree di Crisi non complessa, che potrebbero giovarsi della maggiore intensità degli aiuti settoriali previsti dalla legge, al pari delle Aree di crisi complessa, le quali ultime sono però destinatarie di misure e di risorse nazionali. E per questo è utile l’adozione di un Contratto d’Investimento in Sardegna (CIS) elaborato sulla base del modello dei Contratti di Sviluppo gestiti da Invitalia, che diventi la cornice di specifici Pacchetti Integrati d’Agevolazione (PIA), e serve rivalutare e potenziare i Progetti di Filiera e Sviluppo Locale (PFSL) che accompagnino le imprese locali o quelle satelliti dei maggiori investitori così attratti alla realizzazione d’impianti per verticalizzare o completare i cicli produttivi. Accanto a queste misure si collocano sia le forme d’incentivazione già sperimentate, dai Fondi di garanzia e di scopo al micro-credito per le M-PMI, alla ridefinizione delle misure a bando, frequentemente reiterate, secondo target dimensionali e settoriali più articolati e specifici, anche secondo una loro territorializzazione in funzione del sostegno ai Piani integrati della programmazione territoriale intorno ai quali si siano definiti Accordi di programma; sia l’introduzione di nuove linee d’intervento da parte della Sfirs anche in collaborazione con altri soggetti finanziari; sia le misure condizionali di politica attiva del lavoro, per rafforzare l’occupazione e la qualificazione professionale: servono sempre interventi di occupazione selettiva, che puntino a cogliere il massimo del potenziale di crescita esistente nei territori, nelle zone interne, nei comparti produttivi e nei servizi, utilizzando tutte le norme esistenti e se necessario introducendone di nuove per favorire l’occupazione giovanile e delle donne con vincoli per le imprese beneficiarie degli incentivi legati alla durata del lavoro “buono”. Appare utile strutturare un Osservatorio Industriale regionale quale organizzatore e propulsore di appositi studi, ricerche e analisi comparative, nei quali coinvolgere altre istituzioni ed enti, Università e Centri di Ricerca, nonché di indagini sui contesti territoriali nei quali adottare opportune iniziative per l’insediamento e lo sviluppo delle attività economiche e produttive. Assumere, inoltre, quale metodologia normale di lavoro per la Regione e le amministrazioni coinvolte nella programmazione degli interventi il confronto con il partenariato sociale ed economico, che deve essere reso esigibile attraverso opportuni accordi e coinvolto in sede di costante monitoraggio degli interventi. In tal senso, appare indispensabile la costruzione di un sistema di indicatori di performance e di risultato per valutare l’andamento e la correttezza degli interventi adottati o il bisogno d’implementarli con altre misure. Formazione, sapere e mercato del lavoro. Fondamentale è l’apporto all’innovazione che deriva dallo sviluppo delle attività di ricerca di base e applicata che si svolgono in Sardegna, nelle Università e nell’ambito degli Enti e Società regionali, che devono da un lato correlarsi ai più importanti studi internazionali, con i quali attivare scambi e sinergie, e dall’altro mettersi in più stretto rapporto con le attività di ricerca svolte dai soggetti privati operanti in regione, anche allo scopo di promuovere gli investimenti aggregati delle PMI, poco propense a farli. Occorre certamente incrementare le risorse pubbliche messe a disposizione, in forma stabile, tale da non costringere all’abbandono per inedia di progetti già avviati e da garantire l’impiego dei “cervelli” locali, da trattenere qui, È fondato il rischio che nei tempi brevi l’affermazione dell’era digitale distrugga più lavoro di quanto ne crei, soprattutto perché, secondo una ricerca condotta da Fondimpresa, il 60% dei lavoratori oggi non possiede adeguate competenze tecnologiche, e molto presto diverranno obsolete molte delle mansioni e dei lavori nei quali sono occupati (si stima il 20%). A parte ogni considerazione sulla tendenza alla frammentazione individualizzata dei processi di lavoro, che induce a riflettere sul modello di relazioni industriali più appropriate ai cambiamenti in atto, qui diventano centrali certamente l’istruzione, la formazione e il diritto all’aggiornamento continuo dei lavoratori. Un territorio come la Sardegna non può prescindere da un investimento duraturo e strutturale nel campo della formazione e della conoscenza, poiché purtroppo oggi registra segni negativi negli indicatori che le certificano (Ocse-Pisa, Invalsi) e nei dati sulla dispersione scolastica in tutti i gradi d’istruzione. Il successo delle politiche economiche e industriali, soprattutto in fasi di intenso cambiamento, necessita di essere accompagnato da politiche del lavoro moderne, efficienti ed efficaci: non soltanto va rafforzato l’impianto normativo di tutela della dignità, salute e sicurezza e dei diritti e dignità delle persone che lavorano – e bisogna definitivamente smettere di considerarle soltanto alla stregua degli altri fattori produttivi, ma occorre pensare ad estendere le possibilità per la più piena realizzazione di sé delle persone nei loro affetti ed interessi – ma bisogna rafforzare, su base solidaristica e con una maggiore corresponsabilizzazione delle imprese, le misure di protezione sociale per tutti i lavoratori nelle fasi di difficoltà soggettiva, di sospensione temporanea o cessazione delle attività in cui sono occupati, orientando il sistema integrato dei servizi pubblici e privati accreditati di politiche attive e passive per il lavoro alla riqualificazione professionale, all’occupabilità e alla rioccupazione. Questo significa disporre di una rete di servizi altamente professionali, capaci di orientare le persone con adeguate profilazioni, di prendere iniziative per il matching, l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, anziché limitarsi a registrare l’una e a veicolare tradizionalmente l’altra; di esserne punto di riferimento nel territorio ma anche di fornire informazioni e stimolare scambi su più ampia scala; di favorire percorsi di crescita delle competenze professionali attraverso la attività formative connesse all’offerta e di fornire possibilità di fare concreta esperienza sul campo; di indirizzare all’autoimpiego assistito chi ne abbia interesse e capacità, attraverso attività di consulenza e incubatori di start-up: occorre, insomma, migliorare anche per questa via il BIL, il “benessere interno lordo” nelle nostre comunità, dal quale dipende la domanda di beni e servizi che alimenta l’apparato produttivo e gli scambi economici complessivi. Modernizzazione: Piano Regionale Infrastrutture. E’ imprescindibile disporre un Piano pluriennale, finanziato attraverso risorse di scopo regionali (come il mutuo infrastrutture contratto da Cassa Depositi e Prestiti) e derivanti dal concorso dello Stato e dell’UE, nell’ambito della programmazione unitaria, per ammodernare il sistema infrastrutturale e dei servizi della Sardegna, pesantemente in ritardo rispetto alla media nazionale delle stesse regioni meridionali meno sviluppate, indicativamente secondo le seguenti direttrici d’intervento, implicitamente connesse alle politiche di sviluppo dei comparti produttivi:
Cagliari, 4 maggio 2020 |