I 50 anni dello Statuto dei lavoratori [di Gianni Loy]
E’ nato 50 anni fa. All’anagrafe: legge 300/1970, ma tutti lo chiamano Statuto dei lavoratori. E’ nato di maggio, in un paese tormentato ma pieno di speranza, con le piazze ancora gremite da operai e studenti, con il loro sogno di egualitarismo. Con quella legge si realizzava, per la prima volta, il programma dell’art. 3 della Costituzione, che vuole “l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”. Quella legge ha segnato, per i lavoratori, lo spartiacque tra la preistoria e la storia. A distanza di mezzo secolo, non è ancora del tutto scomparsa la generazione che ha vissuto la sottomissione a un potere datoriale, quasi illimitato, che poteva financo umiliare il lavoratore con atti quotidiani di controllo, di perquisizione, che poteva persino verificare, mediante i suoi medici, le condizioni di salute dei propri dipendenti, interferendo nel diritto di tutelare, la propria salute. Quella legge è stata avversata e combattuta, sin da subito, dagli ambienti più reazionari del paese, che attribuivano allo Statuto tutti i mali della nostra economia, la scarsa competitività, l’assenteismo. E invece, con l’applicazione di quelle norme, il paese ha prosperato, ha attraversato fasi di miracolo economico, ha superato le crisi ricorrenti. Ha subito qualche modifica, il suo articolo 18, la stabilità reale del posto di lavoro è stato mutilato, sette anni fa. Ma non son questi i particolari che contano. Il significato profondo di quella legge sta nelle sue enunciazioni di principio: la tutela della libertà e della dignità dei lavoratori e la libertà sindacale. Lo Statuto, per alcuni versi, ha persino anticipato la legislazione sulla riservatezza. Quei principi costituiscono, ancora oggi, il caposaldo di una società libera e democratica. Ma non sempre vengono rispettati. Il mondo del lavoro è sempre più diviso. Da una parte, quanti beneficiano delle garanzie sancite dallo Statuto dei lavoratori; dall’altra parte, masse di nuovi sfruttati, un nuovo proletariato post-industriale composto da braccianti, runners, falsi autonomi, irregolari, immigrati, giovani, donne che, oggi come allora, son costretti, per sopravvivere, al ricatto di chi li sfrutta, con bassi salari, privandoli di ogni diritto, a volte con la violenza. Il tema della dignità della persona, in questo contesto è attuale. In piena emergenza sanitaria, già abbiamo la certezza che, nel mondo del lavoro, non tutto potrà ritornare come prima. Tutti già parlano delle possibili trasformazioni di quelle probabili, di quelle possibili. Viene esaltato il lavoro intelligente, la dilatazione degli orari, il telelavoro, la flessibilità, pensando soprattutto alle esigenze dell’economia e delle imprese. Poco si discute su come queste modifiche influiranno sulla qualità della vita, sulla compatibilità con le esigenze familiare, sull’entità di un salario che, secondo la nostra Costituzione, dovrebbe sempre garantire al lavoratore e alla sua famiglia una vita “libera e dignitosa”. Eccole quelle due parole che ritornano, proprio come nell’art. 1 di una legge che è pietra angolare dell’ordinamento democratico. Perché non vi può essere democrazia compiuta sinché a tutti i lavoratori, non solo ai cosiddetti garantiti, non verranno assicurate la libertà e la dignità e non sarà corrisposto un salario sufficiente. La sfida del dopo Covid, non è quella di inventare nuovi modelli di organizzazione del lavoro, nuove formule retributive, nuove flessibilità, sarebbe facile, molte hanno già un nome. La sfida vera, quella su cui si misura la fedeltà alla Costituzione democratica è far sì che i nuovi strumenti, le nuove tecniche, le future retribuzioni, siano rispettose della libertà e della dignità del lavoratore, di tutti i lavoratori, indipendentemente, sesso, dall’età, dalla razza, dalla nazionalità. Oggi, nel cinquantenario dall’approvazione della legge, vada un ricordo a Giacomo Brodolini, ministro del lavoro, morto prima di vedere il frutto della sua opera; a Carlo Donat Cattin, che gli è succeduto nell’incarico e ha firmato la legge; a Gino Giugni, che ha offerto un contributo fondamentale per la sua elaborazione. Vada un ricordo, soprattutto ai milioni di lavoratori che, con i loro sacrifici e le loro lotte, hanno reso possibile l’approvazione di quella legge. |