Prigionieri del futuro. I pericoli della giustizia predittiva: dal caos giurisprudenziale al diritto constatativo [di Carlo A. Melis Costa]
Anni fa, uno dei tanti Procuratori generali di passaggio in Sardegna, di cui neppure ricordo nome e fattezze, all’inaugurazione dell’anno giudiziario di Cagliari stigmatizzava “l’istinto predatorio dei sardi”, con ciò dando (o meglio, cercando di dare) una veste antropologica e sociogiuridica ai fenomeni criminali della nostra isola. Ultimamente si discute spesso di “giustizia predittiva” cioè la possibilità di prevedere l’esito di un giudizio tramite alcuni calcoli; secondo i suoi sostenitori il diritto può essere costruito come una scienza, che trova la sua principale ragione giustificativa nella misura in cui è garanzia di certezza: il diritto nasce per attribuire certezza alle relazioni umane ed al traffico giuridico. Basandosi, ovviamente, su dati la cui implementazione non è dato controllare. Già l’art. 65 dell’Ordinamento giudiziario indica nella Cassazione l’organo che «assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni». E già in questa affermazione vi è un seme di contraddizione, come vedremo. Nel nostro ordinamento lo stesso giudicante non può discostarsi dalla legge, interpretandola in modo arbitrario, perché violerebbe la legge sull’interpretazione (art. 12 preleggi) a cui è pienamente assoggettato ex art. 101 Cost. Se il diritto è oggettivo, nel senso di avere una base di regole predeterminate e vincolanti, allora deve essere possibile prevederne l’applicazione. E in questo senso la contraddizione cresce, allorquando si tenga conto che lo stesso Montesquieu, fermo sostenitore della divisione dei poteri, contraddiceva la propria dottrina, auspicando che il giudice divenisse “la bocca della legge”. Con ciò creando un vulnus al diaframma di indipendenza tra potere giudiziario e potere legislativo. Si è anche detto, a sostegno del sistema predittivo, che la stessa norma fondamentale del nostro ordinamento la contemplerebbe. Infatti l’art. 3 Cost. evidenzia, più di altri articoli, la visione di un diritto oggettivo e certo che deve permeare l’intero ordinamento: è imposto di trattare in modo uguale situazioni giuridiche uguali. Con ciò dimenticando, e verrebbe da sorridere, il concetto di eguaglianza retributiva di Rescigno. L’art. 12 delle preleggi effettivamente vieta a chiunque di interpretare la legge attribuendo un senso complessivo diverso da quello fatto palese dal significato delle parole e dalla connessione tra queste; non è possibile interpretare la legge partendo da principi generali ed equivoci, salvo che questi non trovino un legame stesso con la rigorosa lettera della legge. La certezza è data proprio dal divieto di discostarsi da un’interpretazione della legge,tramite la sua lettera l’interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, mercé l’esame complessivo del testo, della ratio, specie se, attraverso siffatto procedimento, possa pervenirsi al risultato di modificare la volontà della norma così come inequivocabilmente espressa dal legislatore, non essendo consentito all’interprete correggere la norma nel significato tecnico proprio delle espressioni che la compongono nell’ipotesi in cui ritenga che tale effetto sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica cui la norma stessa è intesa . Ed in questo si resta, finora, nell’ambito del diritto positivo. Il passo successivo, sostenuto da Carleo e Patroni Griffi, è il ritenere che la prevedibilità delle decisioni, in generale ma di quelle giudiziarie in particolare, è un bene in sé, perché consente di indirizzare i comportamenti dei cittadini e dei poteri pubblici. Ma subito si suggerisce, de jure condendo, che la stessa lettera della deve essere costruita in modo quanto più chiaro possibile; ed allora pare veramente essere tornati agli utopisti del 1700: leggi poche e chiare. Ma i teorici che sostengono questa posizione non conoscono, ovviamente, quanto la produzione legislativa in una democrazia moderna sia travagliata ed influenzata da maggioranze articolate, convenienze politiche e persino dati socio-emozionali. L ‘ art. 348 bis del codice di procedura civile, introdotto nel 2012, sanziona con l’inammissibilità l’impugnazione che non abbia una ragionevole probabilità di essere accolta; tuttavia, la stessa Cassazione civile ha fatto un uso non draconiano di tale norma. Ritiene infatti che l’appello non ha ragionevoli probabilità di accoglimento quando è prima facie infondato, vale a dire quando non merita neppure che siano ad esso destinate energie del servizio giustizia, sì da sanzionare pertanto l’abuso del processo. Siamo ancora al di fuori della “giustizia predittiva”. Al contrario di quanto talvolta sostenuto, neppure l’art. 56 del codice penale milita nel senso della giustizia predittiva. Tale articolo punisce il delitto tentato, che è integrato quando un soggetto pone in essere atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, ma l’azione «non si compie o l’evento non si verifica». Se è vero che la Cassazione penale ha nel 2017 sostenuto che “Per la configurabilità del tentativo rilevano non solo gli atti esecutivi veri e propri, ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere che l’agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l’azione abbia la significativa probabilità di conseguire l’obiettivo programmato e che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà del reo “, trattasi di orientamento assai pericoloso , che può portare a conseguenze distopiche. E’ ovvia l’importanza che l ‘interprete debba operare prudentemente, non vaticinando o scrutando nel futuro. I sostenitori più integralisti della giustizia predittiva chiamano a proprio suffragio nientemeno che Leibniz, il quale, 350 anni fa, sosteneva che davanti ad una disputa, un giorno, non sarebbe stato necessario un processo, ma si sarebbe potuto direttamente procedere ad un calcolo matematico . Una parte più scettica della dottrina ammette il ricorso alla giustizia predittiva in presenza di alcune e determinate condizioni: l’esistenza di un insieme di norme tra loro coordinate; la piena conoscenza di queste da parte di soggetti operanti nel traffico giuridico, ed ovviamente l’esistenza di un sistema giudiziario. Ma già allorquando si considerino alcune norme del nostro ordinamento che espressamente richiedono l ‘attività di interpretazione (l’intenzione delle parti contraenti ex art. 1362 c.c., oppure clausole valoriali generali come la buona fede di cui all’art. 1375 c.c. oppure, ancora, l’interesse meritevole di tutela ex art. 1322, co. 2, c.c. e numerosi altri casi ), si impone un ricorso assai prudente a tale strumento. Di recente, in Francia è stata lanciata una piattaforma che mira proprio a prevedere l’esito giudiziale, tramite un calcolo delle probabilità della definizione di una causa, l’ammontare dei risarcimenti ottenuti in contenziosi simili e identifica gli argomenti su cui vale la pena di insistere. Ovviamente sulla base di informazioni inserite dall’utente e passando in rassegna milioni di documenti, leggi, norme e sentenze. Questa è la prima fase. I metadati riferiscono le caratteristiche della controversia, ad esempio: qual è stato il risarcimento richiesto e quello effettivamente ottenuto? Si trattava di un ricorso o di una sentenza di primo grado? Questa attività permette di proporre agli utenti un motore di ricerca in grado di fornire tutte le informazioni utili relative a una disputa (testo di legge, giurisprudenza, dottrina ed altro). E questo è un utilizzo prudente ed utile, semprechè la piattaforma sia correttamente implementata. Peraltro, due casi non sono mai identici, non è possibile creare una legge scientifica tramite reiterazione dell’esperimento o la creazione di una equazione. Nell’analisi multivariata si utilizza l’algoritmo SyntaxNet, sviluppato da Google e open source da maggio 2016. Il testo che riassume la controversia viene quindi sottoposto ad algoritmi di classificazione/regressione (Vapnik’s SVM) e a regole di associazione (Frequent Pattern Vertical) per creare modelli di previsione complessi. Il fatto che si faccia riferimento a precedenti catalogati negli USA non rileva affatto , atteso che il sistema in quel paese è misto positivo-common law , con una prevalenza della common law. In definitiva, in un sistema di ius positum come quello continentale l’ approccio alla giustizia predittiva deve essere prudente. La possibilità di predire un provvedimento giurisdizionale è dipendente principalmente dal numero e correttezza delle informazioni di cui si dispone: all’aumentare della qualità e quantità di informazioni, aumenta anche il grado di “predizione” dell’esito di un giudizio. Ma non solo. Il pericolo dietro l’angolo è quello, speculare, della Giustizia constatativa, che tolga al giudice ogni potere interpretativo e , soprattutto , sorvoli sul percorso logico seguito dalla giurisprudenza, riducendosi il tutto ad una gara numerica di massime estrapolate e poi inserite nel sistema. Insomma, in nome della deflazione e della certezza, l’ algoritmo potrebbe portare una progressiva alienazione del prodotto intellettuale ed ermeneutico, con la perniciosa conseguenza di interrompere la crescita intellettuale degli operatori del diritto. E quindi di un appiattimento in basso della giurisprudenza, che segua tralaticiamente orientamenti consolidati. Insomma, dalla giustizia predittiva a quella constatativa.
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