“Liberare i comuni dal patto di stabilità” intervista a Leoluca Orlando [di Daniele Nalbone]
http://temi.repubblica.it/micromega-online. 10 giugno 2020. Dopo Luigi de Magistris, Antonio Decaro e Dario Nardella e Chiara Appendino MicroMega ha intervistato Leoluca Orlando. Il sindaco di Palermo sottolinea il senso di responsabilità mostrato dai comuni nella fase uno dell’emergenza sanitaria: «Immaginate cosa sarebbe successo se ottomila sindaci avessero preso ognuno decisioni diverse». Nonostante ciò «la mancanza di chiarezza ha creato contrasti e ci siamo ritrovati a dover seguire indicazioni di presidenti di regione arrivate all’ultimo secondo». Per ripartire, secondo Orlando, è necessario «liberare i comuni dai vincoli del patto di stabilità: l’Ue lo ha sospeso ormai da due mesi, ma noi abbiamo ancora in vigore le leggi che rendono esecutivo quel patto». Sindaco, come giudica la gestione della “fase uno” da parte del governo? Nonostante ciò la situazione non è stata gestita – diciamo così – in maniera chiara. Un esempio: per settimane siamo stati a sentirci dire che il 18 maggio si sarebbe riaperto tutto, ma le disposizioni di sicurezza ai quali i cittadini avrebbero dovuto attenersi da quella data sono state pubblicate in Gazzetta Ufficiale alle 14 del giorno stesso. Ora, che un sindaco debba vivere attaccato alla Gazzetta Ufficiale è tristemente normale, ma un cittadino non può fare la stessa cosa. Ricordate tutte le polemiche sugli assembramenti non appena entrata in vigore la riapertura? Le regole, di fatto, non c’erano. O meglio, erano in vigore da poche ore e, ovviamente, non erano conosciute da tutta la popolazione. Il risultato è stato che siamo stati costretti, ancora una volta, a gridare. Io ho passato due mesi e mezzo gridando e supplicando di rispettare i divieti per difendere la salute. Ora, però, la “movida” di Palermo – come la chiamano i giornali – o la gestione della spiaggia di Mondello sono uno spot positivo di come vivere le città e le coste al tempo del Coronavirus. Ora però chiedete che quei poteri consegnati al governo vi vengano restituiti. Anche lei, quindi, si associa a chi, come i sindaci de Magistris, Decaro o Nardella, chiede una riforma dei poteri, con un intervento soprattutto nei confronti dei governatori? E le regioni? La ripresa dell’Italia, quindi, deve ripartire dai comuni? In questa fase l’Anci ha dimostrato di essere una straordinaria esperienza di condivisione per gestire il distanziamento fisico – io lo chiamo così, fisico e non sociale. Tutti noi abbiamo lo stesso obiettivo: far cambiare passo alle nostre città. Sappiamo in tempo reale quante persone ci sono in ogni luogo che abbiamo riaperto, faccio solo un esempio: uno dei posti più a rischio “assembramento” di Palermo è il mercato ortofrutticolo. Ebbene, sin dalla riapertura abbiamo approntato un sistema di prenotazione online per fasce orarie: si accede con un qr code, sappiamo quando entra e quando esce ogni persona. Abbiamo poi messo in sicurezza i mercatini rionali, riaprendone 10 su 23 in pochi giorni. Il nostro lavoro, in questa fase, è stato di far recuperare ai palermitani il rispetto del tempo: chiediamo una programmazione per evitare inutili assembramenti. E lo stesso vale per il settore turistico, che il governo fino a oggi ha abbandonato: Palermo a gennaio era la quarta città italiana per incremento di visitatori. Abbiamo migliaia di bed and breakfast i cui titolari, oggi, sono i “nuovi poveri”, così come le guide turistiche, i ristoratori o i collaboratori sportivi che tenevano corsi nelle palestre. Stiamo creando le basi per la ripresa, una ripresa che sia “all’aperto”. Abbiamo tante proposte in materia. Servirebbe, però, qualcuno che le ascoltasse. Si riferisce, immagino, al governo. Veniamo al tema delle risorse per la ripresa. Com’è la situazione? Non voglio parlare di Palermo, o almeno solo di Palermo. Faccio un discorso generale: i comuni in Italia hanno perso 8 miliardi e 500 milioni di incassi. Tra questi, il crollo dell’imposta di soggiorno che per alcune città turistiche, penso a Roma, Firenze, Venezia, Palermo, eccetera, è una voce fondamentale. Ebbene, a fronte dei 571 milioni di euro persi dallo stato, a oggi, ne torneranno indietro circa cento. Se non ci sono risorse, c’è un’unica strada: eliminare il patto di stabilità. L’Europa lo ha sospeso ormai da due mesi, ma noi abbiamo ancora in vigore le leggi che rendono esecutivo quel patto. È assurdo: l’Ue ci dice che non abbiamo limiti di spesa; l’Italia invece ci dice che li abbiamo. Noi abbiamo somme in cassa che non possiamo spendere perché superano il limite di spesa e dobbiamo bloccarle per il “fondo crediti dubbia esigibilità” per gli avanzi dell’amministrazione. Per Palermo sono oltre 230 milioni. Sarebbe una mossa che allo stato non costerebbe nulla, ma a volte abbiamo la sensazione che qualche dirigente, attento alla contabilità e disattento all’emergenza, si impunti su una posizione che, ripeto, in Europa non c’è più. E poi ce la prendiamo con l’Ue… In questo scenario – parlando di “soldi” – le responsabilità regionali però non sono da poco. Qual è, quindi, la strada da seguire? |