Al futuro serve il passato [di Maria Antonietta Mongiu]

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L’Unione Sarda 25 giugno 2020. La città in pillole. “Il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta”, la frase di Paul Valery mai come oggi rivela la sua potente attualità. Quando nel 1931 il poeta francese la scrisse, l’Europa e il mondo avevano alle spalle i morti della prima guerra mondiale e della epidemia “spagnola”. Il tracollo del 1929 aveva definitivamente certificato che il tributo al nuovo mondo lo avrebbero pagato le masse.

L’aforisma, ormai mainstream, si inserisce in una stagione di analisi che prospettavano ricadute immediate nelle pratiche della politica. Tra in protagonisti, è il caso di richiamare José Ortega y Gasset col suo “La rebelión de las masasdel 1930; Antonio Gramsci, i cui scritti del primo dopoguerra erano noti ma quelli degli anni del carcere solo dal 1947; Elias Canetti che iniziò “Massa e potere” che occupò quaranta anni della sua vita e vide la luce nel 1960. Bisogna interpellarli per comprendere se il futuro delle ragazze e dei ragazzi di oggi, saprà evitare tragedie come quelle venute dopo il 1929, assai più drammatiche delle precedenti.

Le classi dirigenti saranno capaci di andare oltre il narcisismo del tweet e dello slogan? L’àncora di salvezza sono competenza e conoscenza, fondate su sistemi educativi di consapevoli comunità educanti. Lo aveva chiaro lo storico greco Tucidide che, nella “Guerra del Peloponneso”, racconta la sua contemporaneità abitata da un’interminabile guerra e da una tragica epidemia che nel 429 uccise persino Pericle, modello di politico colto e competente nella gestione della cosa pubblica.

Conoscevano quella storia i tre giganti sopra richiamati, diversi per formazione e ideologia, utili appunto nella situazione attuale, diversa quanto confrontabile alle precedenti. Nella loro luminosa scrittura paventano che una società di massa è pericolosa quando piuttosto che agire è agita. L’antidoto è elevare la conoscenza e ovviare alla riduzione a merce della “circostanza” e delle origini della comunità in cui ciascuno vive; della lingua madre, disconoscendone persino il ruolo nell’apprendimento.

Per insistere con Gramsci si tratta di riconnettere élite e popolo, supposto che le prime esistano ancora giacché esse stesse sono un prodotto sociale. Ma come praticare un consapevole radicamento se nel palazzo del Corso dove abitò da “scarmigliato” studente fuori sede, manca ogni richiamo al pensatore?

Si disse, nel passato, che fosse pronto un itinerario! Non era vero. Prevaleva e prevale l’idea della città- merce, senza passato e quindi senza futuro.

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