Un ceto dirigente in perenne ritardo [di Nicolò Migheli]
La determinazione con cui una parte del ceto politico sardo, – trasversale sia a destra che a sinistra- vuole distruggere il PPR ha ormai dell’ossessivo. Loro accusano chi lo difende di averne fatto un libro sacro, cosa che non è, mentre nel definire la loro interpretazione autentica dimostrano un deferenza verso quel testo degna delle esegesi teologiche medievali. Quel che salta agli occhi è la loro impossibilità a vedere uno sviluppo della Sardegna differente dall’assalto alle coste, dalla cementificazione. Una visione plasmata da quella che i teorici del post colonialismo definiscono modernizzazione passiva, l’aver accettato moduli e percorsi estranei, dettati da interessi forestieri che si congiungono con quelli dei ceti locali che intermediano traendone vantaggi e guadagni a spese del bene comune. La nostra storia è piena di esempi simili, basti pensare a quel che è stato il petrolchimico, rappresentato come unica industrializzazione possibile, portato in Sardegna quando nei piani industriali dell’Italia era già prevista la chiusura. Oggi si dice che il PPR sarebbe un vincolo allo sviluppo. È proprio così? Il permettere a chiunque abbia un terreno di costruirsi un locale per rebote, favorisce lo sviluppo? La programmazione europea per il 2021-2027 prevede che la spesa venga orientata verso: la promozione di una trasformazione economica innovativa e intelligente; Un’Europa verde a bassa emissione di carbonio attraverso investimenti verdi, di energia pulita, dell’adattamento ai cambiamenti climatici; un’Europa più connessa, più sociale, più vicina ai cittadini. Per quel che riguarda l’Italia si chiede di far crescere il numero e le dimensioni delle imprese innovative, in materia di clima ed energia si suggeriscono investimenti volti a migliorare l’efficienza energetica puntando sulla ristrutturazione del patrimonio pubblico, nonché realizzare infrastrutture verdi per aumentare la capacità di contrasto ai danni ambientali e climatici. In nessuno di quei documenti si propugna l’ulteriore sacrificio di aree sensibili, anzi si obbliga a proteggerle. Lo smantellamento del PPR va invece in direzione contraria. È lo sviluppo turistico che lo chiede, sostengono alcuni. Ma siamo sicuri che il dopo Covid sarà identico agli anni che l’hanno preceduto? Pare che non si colga che il mercato turistico stia cambiando in maniera decisa e che per molti anni a venire sarà diverso a quello che abbiamo conosciuto. I dati sulle prenotazioni di questa estate dovrebbero far riflettere, invece si continua come se nulla fosse successo. Si costruiranno case che nessuno comprerà, si costruiranno alberghi che sarà difficile riempire e nel frattempo si saranno perse aree di valore. L’amministratore delegato e fondatore di Airbnb Brian Chesky in una intervista ha dichiarato che l’industria del turismo è destinata a cambiare per sempre, sostiene che le persone useranno poco l’aereo restando vicino a casa, si viaggerà con l’auto privata prediligendo comunità piccole in luoghi di grande valenza ambientale. Tendenza che riguarderà un numero alto di viaggiatori anche se non tutti. Per noi che viviamo in un’isola non sono buone notizie e la programmazione turistica dovrebbe tenere questi avvertimenti in gran conto. I motivi più che di ordine economico sono legati a quelli di ambito psicologico. La pandemia con le regole di distanziamento fisico ha rotto il rapporto di fiducia con l’altro, lo sconosciuto viene visto come possibile veicolo d’infezione. Di conseguenza i luoghi affollati verranno evitati, si resterà vicino casa perché non si vuol cadere ammalati in un luogo estraneo. Questo perché è appurato che a causa del contatto stretto uomo-animale, degli ambienti selvaggi compromessi, si libereranno ulteriori virus che potrebbero avere un impatto pari, se non superiore, a Covid-19. Parafrasando John Reed si potrebbe dire che sono bastati pochi mesi per sconvolgere il mondo. Tutto questo però non sembra toccare i nostri legislatori, convinti di vivere come Candid nel migliore dei mondi possibili. Invece sono in ritardo, in perenne ritardo sulle sfide che pone la contemporaneità. Come diceva della nobiltà settecentesca Antonio Rivaroli (1753-1801), conosciuto come il conte Rivarol, scrittore e giornalista: Ils sont toujours en retard d’une armée, d’une année et d’une idée. Nessuno si offenda ma è così.
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… “ceto politico”, ‘politici’ de una politica infame, de furriare s’istògomo a s’ala mala fintzas a chie est de istògomo forte. Ma no de oe. Mancu de deris. Ne de zanteris, si no semus nàschidos o ischidados custu manzanu a tardu mannu puru. Est cosa de tempos seculares, e sempre pro addoru de totu sas funes de s’impicu colletivu in númene de afariedhos personales cun carchi pinzellada de iscusa ‘política’. Cosa de revessare, isperendhe de no ndhe catzare fintzas sos ogros.
Epuru totu sas cambaradas de sa polítca infame no tiant pàrrere deabberu rapresentantes, mescamente oe, de peruna magioràntzia de sos Sardos.
Ma tandho mi dimandho: ma it’est, una ‘magioràntzia’ iscazada, antzis essida vapore chi s’isperdet in sas aeras? Nos ant brusiadu fintzas donzi isperàntzia chi no creimus prus a neunu e a nudha mancu a sos ogros nostros etotu? Amus pérdidu donzi fide in nois etotu de no àere fide in neunu si no in sas presuntziones personales chi nos ponent a iscórriu e faghent a biculaza chentza valore perunu e ne cabu? O cun cussu pessamus de no èssere nois responsàbbiles de su chi nois faghimus e mancari mescamente no faghimus? Semus diventados che criaduras chi petzi e pro donzi cosighedha pranghent chentza mancu ischire proite semus pranghindhe? Che zughimus totugantos sa conca apicada a su corru de totu sas furcas?
Mario, so de acordu cun a tie, no’ b’at ateru de azunghere.
Però scusa, Nicolò, non è che destra e sinistra “pari sono”. Sennò non si capisce perché ce lo abbiamo il piano paesaggistico regionale.
Umberto, dimentichi l’assalto che ci fu con la Giunta Pigliaru, vogliamo considerarla di destra anche quella?
L’insensatezza di qualsiasi progetto che ritenga di dare nuovo impulso all’economia liberalizzando l’uso del mattone e del cemento è del tutto evidente da decenni; la pandemia sta aggiungendo prove a carico di un imputato già processato e condannato. Stop al consumo del suolo, c’è tanto da recuperare e ristrutturare per l’edilizia popolare, scolastica, ospedaliera, la viabilità nei centri urbani ed extraurbani è in uno stato pietoso, e ci sarebbe tanto altro…