L’addio di Philippe Daverio [di Franco Masala]
L’ultima immagine cagliaritana è quella di Philippe Daverio assiso sul trono di Turandot, realizzato da Pinuccio Sciola per la stagione del Lirico nel 2014. Il consueto incontro con il pubblico – che richiama sempre grande folla nel foyer – era stato spostato opportunamente dentro il teatro dove il tutto esaurito assisteva alla affabulazione apparentemente estemporanea dello studioso che narrava del rapporto con le pietre dello scultore sardo. Lo ricordiamo così con il consueto papillon, divenuto il suo segno di riconoscimento grazie ad un’attività sconfinata, giocata prevalentemente sulla divulgazione dell’arte, che fosse antica o contemporanea. Il critico, lo storico, il divulgatore, il gallerista si è spento alle soglie dei 71 anni per una malattia che non perdona e che ha portato via uno dei più brillanti affabulatori della cultura italiana. Anche controverso, è inutile nasconderlo, ma sempre in grado di suscitare interesse e curiosità grazie all’aspetto trasversale della sua narrazione, mai centrata soltanto sull’oggetto ma aperta alla contestualizzazione storica, geografica, culturale, mirante a rendere viva la materia trattata. Al di là dei tanti impegni – da assessore alla Cultura nella giunta milanese Formentini alla cattedra nell’Università di Palermo “per chiara fama” (lui che non si era mai laureato, terminando gli esami alla Bocconi ma non discutendo la tesi) – il suo nome resterà legato alla lunga stagione di Passepartout, trasmissione significativa già nel titolo che la Rai trasmise per parecchio tempo fino alla sua soppressione nel 2011 quando valse a Daverio un necrologio che recitava “È improvvisamente mancato Passepartout, nel pieno della sua salute lo compiangono la redazione tutta e centinaia di migliaia di affezionati suoi seguaci. La causa del decesso è da ascriversi probabilmente ad una pallottola vagante sparata durante il riordino amministrativo recente della Rai che si è trovata costretta a passare dall’ordinamento privato della sua gestione a quello pubblico più consono alle risorse erariali che lo alimentano”. Lo ricorda Aldo Grasso sul Corriere della sera, sottolineandone la capacità di rendere facile ogni suo discorso senza la seriosità che talvolta ammanta argomenti ostici. Ciò che capita spessissimo a molti dei “maestrini” che affollano schermi televisivi e quant’altro. Grazie, Philippe.
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