La politica, l’urbanistica e l’altro PUC [di Maria Antonietta Mongiu]

san giovanni di dio

L’Unione Sarda 22 Ottobre 2020. La città in pillole. Ogni tanto, nelle cronache, occhieggiano, riferimenti alla città materiale, ai suoi progetti e traiettorie. Temi che attengono a categorie ascrivibili alla parola urbanistica, taumaturgica nella bocca dei politici e che per i dizionari si occupa di “misure tecniche, amministrative, economiche finalizzate al controllo e all’organizzazione dell’habitat urbano”.

Detta così sembra un territorio di tecnicalità gestite esclusivamente da professionisti che progettano edilizia e trasformazioni di spazi. Al più da sociologi e da statistici che indagano sulle dinamiche sociali, specie se si parla di periferie.

Oggi le sue implicazioni mai neutre sono sempre più chiare. Perché l’urbanistica è qualcosa di più complesso delle relazioni tra persone di cui si vogliono progettare luoghi di vita, personale e sociale. Coincide con la politica tout court poiché si fonda sul confronto tra i differenti soggetti e interessi che abitano i pieni e i vuoti interni alla città e le relazioni con quelli esterni alla stessa.

In realtà, oltrepassando le semplificazioni, è o dovrebbe essere luogo di visione che, per sua natura, valica il tempo contingente.

Uno sguardo ai muti e spesso disconosciuti testimoni delle stratificazioni di Cagliari per capire cosa si debba intendere per senso e per visione. L’orientamento stesso della città è millenario e si può retrodatare a tempi precedenti la vicenda urbana. Si tratta di un’infrastruttura immateriale di sostrato che ha condizionato parte consistente della città di pietra.

Urbanistica come spazio democratico e pubblico, sostanziato da una dialettica che convoca interessi differenti. Solo che oggi alcuni sono politicamente più forti perché agiti da soggetti economici, le cui intenzionalità non sempre sono orientate al bene comune. Altri  sottorappresentati, nel tempo della crisi dei corpi sociali intermedi, sono resi addirittura invisibili come è accaduto, assai spesso,  in habitat urbani precedenti.

Ecco perché l’attuale urbanistica, nonostante le rappresentazioni di facciata, ha trasformato la città storica in una disneyland che ha smarrito il senso dei luoghi ma che, a sua volta, è stata messa in crisi dalla pandemia. Ha abbondonato, come relitti, le periferie che, anche a Cagliari, rivelano la faccia della crisi della città.

A quando l’adeguamento del PUC al PPR con l’opportunità di visione del tempo lungo, fondata almeno sul riconoscimento della città policentrica?

 

 

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