L’incapacità di discernere dell’attuale maggioranza che governa la Regione Sardegna [di Salvatore Multinu]

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Il Disegno di legge n 108 (Disposizioni per il riuso, la riqualificazione e il recupero del patrimonio edilizio esistente ed altre disposizioni in materia di governo del territorio), con il quale la Giunta regionale si propone di modificare la Legge regionale n.8/2015 (oltre ad alcuni punti delle LL.RR. 45/1989 e 16/2017), costituisce l’ennesima dimostrazione di come l’attuale organizzazione del sistema politico regionale (ma la considerazione può essere estesa ad altri livelli di governo) sia incapace di elaborare leggi di ampio respiro, costruite in un dialogo costruttivo tra tutti i rappresentanti del popolo sardo e in grado di dare una cornice di riferimento sicura e duratura agli operatori economici e ai cittadini.

Da tempo le nuove maggioranze, drogate da meccanismi maggioritari che alterano la rappresentanza, si adoperano, ogni pochi anni, a sostituire – e in qualche caso a distruggere – quanto deciso dalle maggioranze precedenti (altrettanto drogate, sia chiaro). Il settore dell’edilizia, della speculazione edilizia per meglio dire, è uno degli ambiti privilegiati di questo approccio schizofrenico all’azione di governo: come sia ridotto il territorio sardo, anche in conseguenza di questo, ce lo dicono le attuali cronache quotidiane.

Altri autorevoli interventi, su Sardegna Soprattutto e altrove, hanno messo in luce le carenze, i sotterfugi, le ambiguità del testo in questione, ed un esame, articolo per articolo, del DDL richiederebbe pagine e pagine di osservazioni che non possono essere contenute nelle poche righe di una comunicazione divulgativa: esse sono invece compito imprescindibile di chi è stato (più o meno degnamente) chiamato a rappresentare gli elettori, se davvero vuole esercitare «con disciplina e onore», come recita l’art. 54 della Costituzione, il proprio mandato.

Scriveva don Milani che «Non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali»: anche se non sembra, si tratta di una citazione urbanistica, dal momento che l’urbanistica dovrebbe occuparsi degli uomini, più che dei mattoni. Il difetto di tutta la produzione legislativa recente in materia è questa incapacità di esercitare il discernimento; cioè di saper leggere nei diversi territori (nel senso ampio di spazi geografici e di popolazione che li abita) le peculiarità e le esigenze, accomunandoli, viceversa, in parametri astratti che scardinano il concetto stesso di pianificazione.

Per fare solo un esempio, quando si consente la costruzione di residenze in zona agricola a tutti (siano o no operatori agricoli a qualsiasi titolo) si vanifica tutta l’elaborazione culturale e scientifica che collega un sano abitare ai servizi pubblici collettivi, siano essi di carattere igienico o abbiano lo scopo di migliorare la vita di relazione, le comunicazioni, tutto ciò che, insomma, costituisce una società.

Non solo, si introduce un diritto all’edificazione sempre e comunque, che si esprime nella possibilità di spostare da un sito ad un altro cosiddette capacità volumetriche, instaurando un mercato di volumi astratti che potrebbero essere dislocati a piacimento nella assoluta incuranza di ogni specificità geografica, naturalistica, ambientale.

Siamo a un passo dalla creazione di paradisi territoriali, analoghi ai paradisi fiscali che avvelenano la finanza (già di per sé sufficientemente velenosa). O, più prosaicamente, ci si prepara all’abigeato volumetrico, con il quale intasare probabilmente le aule dei Tribunali civili.

«È la post-modernità, bellezza! E tu non ci puoi far niente.», si potrebbe dire parafrasando Humphrey Bogart: quella che ha sostituito con i miti a bassa densità le grandi narrazioni complessive, che ha esaltato il presente (sempre più contratto fino all’attimo, all’istante) rispetto allo scorrere, talvolta lento e caotico, della storia.

Questa Giunta regionale, ancora più delle precedenti, è postmoderna nel senso più deteriore del termine: il pensiero debole, il giorno per giorno, la futilità del superfluo, sono il suo habitat (il caso delle discoteche di agosto ne dà ampia prova). Allora, perché stupirsi che venga infranta anche la fascia dei 300 metri dalla battigia? Che, di per sé, non è un elemento dell’auspicato discernimento, ma sarebbe almeno analoga alla distanza precauzionale di un metro e alla mascherina che ci viene imposta da un invisibile virus.

Però, attenzione a dirlo! Magari userebbero l’argomento del distanziamento per giustificare gli aumenti di superfici e volumi. Spesso l’immaginazione al potere è pericolosa.

 

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