UNESCO | La crisi del 75mo anno [di Edek Osser]
Il Giornale dell’Arte numero 413, dicembre 2020. Fondata nel 1945, l’agenzia dell’Onu per l’Educazione, la Scienza e la Cultura è oggi indebolita politicamente e finanziariamente. Un anniversario importante ma pieno di ombre quello dell’Unesco: i suoi 75 anni si festeggiano in sordina. Fondata il 16 novembre 1945, questa «agenzia specializzata» delle Nazioni Unite, voluta per promuovere su scala mondiale l’Educazione, la Scienza e la Cultura, nel 2016 riuniva 195 Paesi oltre a 11 associati. Erano state di fatto superate le controversie che avevano frenato l’azione dell’agenzia fino alla fine degli anni Ottanta: per almeno 20 anni Stati Uniti e Gran Bretagna l’avevano vista come una struttura usata dal blocco comunista e dai Paesi del Terzo mondo per attaccare l’Occidente. Poi l’orizzonte era cambiato, ma era cresciuta la forza degli Stati islamici. La tensione era alla fine esplosa e a fine 2018 due membri importanti, Stati Uniti e Israele, sono usciti dall’organizzazione. Una decisione che viene da lontano: nel 2011, la maggioranza dell’Assemblea generale aveva accolto la Palestina come membro dell’agenzia. Gli Usa, condannando il voto per la Palestina dei 107 Paesi favorevoli, non avevano più finanziato l’Unesco e avevano denunciato con forza «la necessità di una fondamentale riforma dell’organizzazione e i suoi persistenti pregiudizi anti Israele». Nel 2016 vi era stata anche la risoluzione che negava il legame storico tra l’Ebraismo, il Muro del Pianto e i luoghi santi ebraici della città vecchia di Gerusalemme, imponendo che venissero indicati soltanto con il nome arabo. La crisi dell’Unesco, dopo il clamoroso abbandono di due Nazioni così importanti, è ancora aperta. Nel novembre 2017, un passo positivo per recuperare la credibilità interculturale e mondiale dell’istituzione è stata l’elezione a direttrice generale dell’ex ministra della Cultura francese Audrey Azoulay, di origini marocchine, mentre vicedirettrice per il settore Educazione è stata nominata un’italiana, Stefania Giannini, già rettore dell’Università per stranieri di Perugia e ministra dell’Istruzione, Università e Ricerca nel governo Renzi. Molti i dossier aperti, quando si tenta di riorganizzare e rilanciare l’Unesco. Il più complesso è la progressiva politicizzazione che si è imposta in alcuni settori. Primo fra tutti quello che riguarda le attività del Comitato del Patrimonio mondiale, dal quale dipendono la scelta e poi la gestione culturale degli oltre mille siti, sparsi in tutto il mondo, inseriti nella Lista del Patrimonio dell’umanità. I siti sono diventati poli di attrazione crescente per il turismo internazionale, ma anche un «marchio di qualità» ambito da molti Governi e da lobby politiche che promuovono interessi economici e di sviluppo locale. Un altro lato debole dell’Unesco è oggi la carenza di fondi per i suoi tanti obiettivi culturali (ai quali si è aggiunto un programma per prevenire i cambiamenti climatici) e per mantenere il quartier generale di Parigi e pagare gli oltre 700 dipendenti. In queste settimane si è anche accesa un’aspra polemica da parte degli antiquari, soprattutto del settore archeologico, che contestano la campagna pubblicitaria dell’Unesco lanciata in occasione dei 50 anni della importantissima Convenzione internazionale del 1970….. |