Per un Museo della ceramica a Cagliari [di Maria Laura Ferru]
La cultura materiale sarda è alla base di qualunque discorso sull’ identità regionale: senza la sua corretta e ragionata conoscenza non potrà mai esserci nessun rigoroso e corretto discorso di specificità etnica. Di quella, per intenderci, che rende riconoscibile un pezzo di artigianato artistico prodotto in Sardegna rispetto a quelli prodotti in altre regioni d’Italia. Ecco perché un mondo così delicato è da custodire, far conoscere e proteggere. In sedi museali, prima di tutto: la città di Cagliari che aspira a diventare capitale della cultura non ha un Museo della Ceramica, che mostri le origini dell’Arte ceramica e ne solleciti gli sviluppi. In Sardegna vige oggi il paradosso delle città con edifici museali che stentano a crearsi collezioni stabili perché storicamente prive di retroterra produttivo. La città di Cagliari, che ha visto dal 1918 al 1943 la nascita e lo sviluppo della ceramica artistica sarda, con il succedersi di ben quattro manifatture, non ha luoghi che conservino tali memorie e che si offrano allo studio produttivo delle nuove generazioni. Eppure, l’affermarsi della ceramica sarda come arte fu opera dei maggiori artisti isolani e fu un fatto culturale e storico coerente, con creazioni che coniugavano la sardità con le correnti artistiche nazionali. In chiara separazione e distinzione dalle produzioni spagnoleggianti della ceramica popolare, l’unica sino ad allora conosciuta e praticata nell’isola dagli eredi e dagli emuli dei congiolargios oristanesi. Francesco Ciusa, Federico Melis, Valerio Pisano e Alessandro Mola hanno messo le basi per la nascita della ceramica artistica sarda contemporanea e non conoscerne lo specifico apporto di opere autentiche e ragionate significa non sapere quali sono le radici della ceramica sarda contemporanea. E soprattutto non poterne delineare sviluppi futuri convincenti. Quale sia oggi la testimonianza presente a Cagliari rispetto alle ceramiche prodotte in città dalla SPICA di Francesco Ciusa dal 1918 al 1925, manifattura che all’epoca era in zona detta stradone per Pirri (oggi viale Ciusa), è sotto gli occhi di tutti. E’ sufficiente una visita alla Galleria d’Arte per rendersene conto di persona. Del tutto assente poi il ricordo di Federico Melis, direttore nel 1927 a Cagliari della Bottega d’Arte Ceramica posta nel viale San Paolo (oggi viale Trieste), dove produsse sino al 1931. Corre qui l’obbligo di ricordare che l’unico museo che custodisce un nucleo importante di opere del sardo Federico Melis ha sede nel palazzo ducale della città di Urbania, in quelle Marche alle quali il giornale La Repubblica del 27 febbraio scorso ha dedicato un intero servizio perché una delle poche regioni italiane che ha saputo coniugare patrimonio paesaggistico e patrimonio artistico in politiche amministrative che producono reddito per un numero importante di popolazione. Non è documentata neppure la produzione di Valerio Pisano, allievo di Federico Melis, che produsse nel suo laboratorio ceramico a Cagliari in via Sebastiano Satta dal 1933 al 1938. Infine il silenzio totale è sceso sull’ultima manifattura che chiude il periodo delle origini della ceramica artistica sarda: nella recente mostra sui bombardamenti del 1943 nessun risalto è stato dato alla fine della produzione “Nuovo fiore”, che usciva nei primi anni Quaranta dalla manifattura di Alessandro Mola, posta in via Manno e scomparsa sotto i bombardamenti. La mancanza di riferimenti museali certi danneggia soprattutto Alessandro Mola, l’unico ceramista sardo ad aver prodotto in Sardegna a cavallo della seconda guerra mondiale e l’unico ad aver prodotto modelli di genere sardo per le grandi case di Torino quali la Lenci (con la quale ebbe limitata collaborazione anche Valerio Pisano) e la Essevi, e la Pattarino di Firenze, che ne operarono la diffusione su scala nazionale e mondiale. Su di lui oggi la confusione è grande, tanto che in una recente mostra modelli di Alessandro Mola sono stati scambiati con quelli di Valerio Pisano. Infine, ho lasciato volutamente senza didascalia attributiva l’ immagine di apertura: per indicare al lettore quale sia stata la qualità delle origini della Ceramica sarda ma nello stesso tempo per far riflettere sulle reali possibilità dei Sardi, specie delle nuove generazioni, di riconoscere i protagonisti senza precisi punti di riferimento. Ma di fronte al dilagare degli errori, delle confusioni e dei falsi, che sempre allignano laddove manca possibilità di confronto corretto, un Museo non sarebbe sufficiente: occorrono anche Scuole peritali con le quali tentare di salvare il salvabile e di dare giusto rilievo alle origini colte della ceramica artistica sarda. E in ceramica ancora si può, proprio perché le sue radici sono così recenti, al contrario di altri settori della produzione materiale sarda, quali ad esempio l’argenteria, nella quale i falsi sono iniziati già nell’Ottocento. *Esperta di ceramica sarda e perito in argenti antichi |
L’idea può essere interessante ma credo sia ancor più scandaloso che Cagliari non abbia un Museo della Città !
Intanto partiamo con quello della Ceramica, poi seguiranno quello della Filigrana, del Tessuto, del Legno, dell’Intreccio… In realtà, tra tutte le attività artigianali quella che ha potuto manifestare l’aspetto artistico ai primi del Novecento diventando così retroterra fertile per le nuove generazioni e assicurando la continuità , è stata soprattutto quella della ceramica. E’ in un certo senso più facile documentare l’iter storico produttivo della ceramica rispetto alle altre attività artigianali: tutto qui il suo primato! Documentare le attività artigianali del passato, non importa se da sole o tutte insieme, è in gran parte fare il Museo della Città. Cagliari è stata nei secoli passati la capitale dell’artigianato per la Sardegna meridionale: sin dall’epoca spagnola chi voleva diventare orafo-argentiere, figolo, falegname, sarto, pellettiere, fabbro, scalpellino etc. era a Cagliari che doveva venire a mettersi a bottega e a sostenere l’esame prima di aprire laboratorio. Raccogliere le tracce di quel passato significa non far morire la memoria storica e farlo prima possibile significa potere ancora cogliere la visione corretta delle origini. Ultima considerazione: so bene di essere voce clamante nel deserto ma il mio unico scopo è quello di voler contribuire a tenere desta l’attenzione sulle eccellenze sarde del passato e su quelle del presente, che ritengo a torto trascurate e misconosciute con grande danno di tutti.
Grazie Maria Laura Ferru per i bellissimi e utilissimi libri che ci aiutanoa conoscere il meraviglioso mondo della ceramica sarda e i suoi artisti,