L’ecologia dei vuoti urbani [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione Sarda 7 gennaio 2021. La città in pillole. In questi tempi in cui si è sottoposti all’altalena di entusiasmi e di reprimende, bisogna praticare una sorta di ecologia mentale rifugiandosi in altri luoghi da progettare e pianificare. Possono essere luoghi del paesaggio quotidiano che pur scontati non lo sono, una volta che non si possono abitare con agevolezza.
Oppure quelli oggetto di studio, ormai lontani nel tempo e nello spazio da diventare immateriali e rarefatti. Una parte di essi cagionano sentimenti eirenici ma altri agiscono angosce primordiali.
Che dire di quelli dell’infanzia, fonte di narrazioni, che si ripresentano sollecitati da un odore o da un suono improvvisi. Senza non avremmo la potenza evocativa della madeleine di Marcel Proust, soprattutto se immersa in una tazza di tè di tiglio, o delle violette di Chenale e dei bulbi di ciclamino selvatico che Antonio Gramsci richiama nella lettera alla madre del 29 febbraio 1932 che lo annoverano tra i primi che descrive un paesaggio olfattivo.
Altri riportano ad eventi traumatici che si fanno storia quando oltrepassano la memoria personale in favore di quella comunitaria.
Nelle epoche di passaggio come la nostra non c’è niente di simbolicamente più dirimente dei luoghi. In qualche caso, irreversibilmente, iconici a raccontare quanto ci è occorso quest’anno.
Altri infine, riconosciuti dalla comunità, dividono invece i decisori politici di qualsiasi conio. Qualche esempio? Che contraddizione quando non si rende disponibile la Sardegna come deposito per le scorie nucleari ma lo può diventare per le irreversibili alterazioni previste dal piano casa? O offrire l’isola ai vincoli Unesco e rigettare il PPR, attuazione dell’art. 9 della Costituzione e del Codice dei Beni culturali, che riconosce i suoi luoghi per il loro valore identitario?
Chissà cosa penserà il ministro del Mibact, Dario Franceschini, su due proposte tanto contradditorie.
Infine perché il nesso, costantemente proposto, tra guerra e pandemia non sia solo ansiogeno, si tratta di risolvere nel tessuto urbano di Cagliari i vuoti, memoria dei bombardamenti del 1943. Referenti della distruzione della guerra vera, apparentemente più sporca e primitiva di quanto non sia una terapia intensiva, devono poterla raccontare.
Come? Smettendo di volerli trasformare in una quinta sfavillante con ricostruzioni improbabili come si vuole nel Palazzo Aymerich in Castello.
Tra due anni cade l’80° anniversario dei bombardamenti del 1943. I vuoti diventino segno di rinascita, progettandoli come vuoti consapevoli sulla falsariga del Ground zero, perché de vacuo loco….de pleniore quidem. |