Contro l’oblio [di Gianfranca Fois]
Giovedì 13 marzo in 12 città italiane si sono tenuti reading delle poesie di Mahmud Darwish il più grande poeta palestinese e uno dei più grandi poeti in lingua araba. In questo giorno Darwish avrebbe compiuto 73 anni se non fosse morto il 9 agosto 2008 negli Stati Uniti in seguito ad un intervento chirurgico al cuore. Anche a Cagliari, nel corso della Israeli Apartheid Week, si è svolto un intenso e coinvolgente reading di alcune poesie di Mahmud Darwish, mentre il 9 marzo a Roma due famosi scrittori e attori, palestinese uno, Bakri, e ebreo l’altro, Moni Ovadia, hanno voluto ricordarlo recitando alcune sue composizioni per sensibilizzare i lettori italiani perché vengano ristampati i suoi libri.
Le sue poesie infatti, tradotte in decine di lingue, in Italia non si trovano più, la casa editrice che le pubblicava in lingua italiana, Epochè, ha chiuso poco più di un anno fa e ha mandato al macero le copie rimaste. Nei video che vengono proiettati in questi giorni Darwish è ripreso in uno stadio, cosa abbastanza frequente per i poeti nei paesi arabi dove l’amore per la poesia è ancora molto diffuso, mentre declama i suoi componimenti davanti a migliaia e migliaia di persone che ascoltano attente e partecipi la sua voce, le sue parole, i suoi versi che parlano della sua terra, la Palestina, della sua vita di esule, dei suoi amori, della sua tristezza, della sua speranza. Molte poesie di Darwish sono state musicate e sono molto popolari in tutto il mondo arabo.
Mahmud Darwish era nato in Galilea a Birwa (uno dei tanti villaggi poi distrutti dagli Israeliani, cancellati dalle mappe e sostituiti da insediamenti ebraici) nel 1941, militante del partito comunista, divenuto straniero in patria dopo la creazione dello stato di Israele, è stato varie volte in prigione o agli arresti domiciliari sino ad essere costretto a rifugiarsi a Beirut e, dopo l’invasione israeliana del Libano del 1982, a Tunisi, poi a Parigi, e, dopo il ritorno in patria, a Ramallah. La vita di Darwish, come uomo e come letterato, s’interseca con la storia del popolo palestinese, con la sua tragedia, con la sua diaspora, con la sua sofferenza, un popolo di cui è stato guida morale. Più volte ha affermato: In situazioni d’emergenza e di calamità umana, lo scrittore si mette alla ricerca di un ruolo morale da svolgere in altre forme di azione politica, un ruolo che rafforza la sua integrità letteraria.
Ma, come per ogni vero poeta, la tragedia di un uomo, di un popolo acquista nelle sue opere valore universale, si fa poesia di tutti gli uomini, di tutti i popoli che soffrono e che sono oppressi. La sua condizione di straniero in patria e di esule ispirano poesie come Carta d’identità, sulla falsariga del modulo israeliano che ogni Palestinese deve compilare : Scrivi: sono un arabo /la mia carta porta il numero cinquantamila. / Ho otto bambini, / e il nono nascerà dopo l’estate. / Ti dispiace forse? Scrivi : sono un arabo; / impiegato con i compagni della miseria in una cava, / ho otto bambini / per i quali dalla roccia / ricavo il pane, / i vestiti ed il quaderno. / Non chiedo la carità alle vostre porte / né mi umilio davanti alle piastrelle dei gradini./ Ti dispiace forse?………………………
C’è la fierezza dell’essere Arabo, lo spirito di condivisione e solidarietà coi compagni e, soprattutto, la dignità e l’importanza, il quaderno sullo stesso piano del pane e dei vestiti, dell’istruzione. Dopo la Nakba infatti i genitori palestinesi decisero che, anche a costo di grandissimi sacrifici, i loro figli dovevano raggiungere un alto livello di istruzione, per evitare, dicevano, di essere ingannati e sconfitti, come era capitato a loro. Ma è evidente anche la sua presa di posizione ferma e provocatoria ma non violenta che è diventata guida di molti giovani e di molte donne palestinesi che con la loro quotidianità riescono a resistere all’occupazione, come i giovani organizzati che costruiscono una scuola per l’infanzia in una casa abbandonata per la violenza dei coloni, o come Clare, mamma di 4 figli di cui 2 in carcere e uno ucciso, che, insieme ad altre due donne, si alza all’alba per preparare la merenda per tutti i bambini del suo villaggio, con prodotti palestinesi boicottando quelli israeliani.
Oppure ispirano Passaporto: ……. Io sono l’uomo senza nome / senza origine sulla mia terra / dalle mie mani impastata. ………..O ancora l’amore per la madre si intreccia con quello per la sua patria: Ho nostalgia del pane di mia madre / del caffè di mia madre / della carezza di mia madre / ho nostalgia……Prendimi / dovessi ritornare / potessi un giorno tornare / scialle per la tua frangia, / copri le mie ossa con erba / fatta pura al tuo passo / legami / con una ciocca di capelli / con un filo dell’orlo della veste / ché io diventi dio……..fammi tornare / come tornano gli uccelli/ al nido della tua attesa. Così come alla terra si lega l’amore per la donna amata: I tuoi occhi sono una spina nel cuore / lacerano, ma li adoro. Li proteggo dal vento / e li conficco nella notte e nel dolore / così la sua ferita illumina le stelle, / trasforma il presente in futuro / più caro della mia anima. ….
Ecco infine una delle più belle poesie di Darwish: Pensa agli altri /Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri / non dimenticare il cibo delle colombe, / mentre fai le tue guerre pensa agli altri, / non dimenticare coloro che chiedono la pace. / Mentre paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri, / coloro che mungono le nuvole. / Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri / non dimenticare i popoli delle tende./ Mentre dormi contando i pianeti, pensa agli altri, / coloro che non trovano posto dove dormire. / Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri, / coloro che hanno perso il diritto di esprimersi. / Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso / e dì: magari fossi una candela in mezzo al buio.
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Manderò le poesie di Darwish alla lista dei miei amici.