Virus, autocensura, e archeologia [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione Sarda 18 giugno 2021. La città in pillole. C’è un che di inquietante nell’attualità. Invade, non convocata, ogni spazio pretendendo di essere paradigma e metro di ogni campo. Quella pervasiva e presuntuosa delle “magnifiche sorti progressive” aumenta lo stato ansiogeno che da personale si fa collettivo mood esistenziale. Lo racconta chi scava nei cervelli e chiunque abbatta filtri e autocensure. Il positivo risvolto è che, come divinità, ha mostrato i suoi limiti di fronte alla natura selvaggia; che, fatta di interstizi residuali, malgrado tutto, esiste e resiste. Possiamo anche incolpare qualche sbadato ricercatore di uno sperduto laboratorio ma chi va oltre la superficie, sa che la natura, irriducibile nel beffarsi degli uomini, è stata già raccontata da Leopardi che aveva inteso, studiando classici e antichità, che sviluppo e progresso hanno limiti insormontabili. Vivere nell’eterno presente, trasformando il passato in sgabello della modernità, non avrebbe garantito futuro. Raccontavano agli studenti, stigmatizzandolo in forme inopportune, del pessimismo leopardiano che altro non è che comprensione del limite e della necessità di percepirlo come salvifico. Oggi un virus, intronizzatosi nelle vite e nell’angoscia del vivere, poco scalfito da milioni di racconti, deve essere necessariamente emancipato dal fugace presente per essere ascritto alle genealogie dei virus che hanno tracciato l’umanità. Di fatto un invisibile compagno, interconnesso all’umano, è l’ultimo racconto tra i tanti che l’archeologia ha dipanato dal Paleolitico. Il filosofo Michel Foucault, che si definiva archeologo dei saperi, sosteneva che l’archeologia è la sola via di accesso al presente ovvero lo scavo nelle genealogie dell’uomo, tra i tanti campi di ricerca, un luogo privilegiato per misurarsi con quanto accade nell’oggi. Posizione poi assunta dal filosofo Giorgio Agamben per il quale agire lo scavo nella filosofia, una speciale ermeneutica, è una necessità. Altro dall’autoreferenzialità perché finalizzato alla decodifica della contemporaneità e delle sue attualità. L’archeologia cassetta degli attrezzi per capire la profondità di ogni fenomeno, pensava anche R. Bianchi Bandinelli, fondatore dell’archeologia classica contemporanea, e l’archeologo? Un intellettuale preso dall’urgenza di capire il presente. Anche per G. Lilliu. Ma con queste nobili ascendenze che c’entra la reificazione e la compartimentazione, in corso in Sardegna, di archeologia, monumenti, periodi storici? |