Gli eroi d’Europa [di Verdiana Garau]

https://www.huffingtonpost.it 04 Marzo 2022 /. Il mio amico Roman, ucraino ed ebreo, mi dice di essere partito per Kyiv per una semplice ragione a lui più che sufficiente: “La casa dove sono nato è sotto le bombe. Gli invasori ammazzano i cittadini. Per me questo è abbastanza”

“Perché, o signori, sì, è bello morire per la patria…”. Questo accenno non piacque a nessuno, neppure al colonnello. La sentenza era classica, ma il sindaco non era il più indicato per farci apprezzare, letteralmente, la bellezza di una morte, sia pure così gloriosa. Sembrava che egli avesse voluto dire “voi siete più belli da morti che da vivi” (Emilio Lussu, Un anno sull’altopiano)

È di ieri la mia telefonata con Roman, amico di lunga, lunghissima data. Ho conosciuto Roman molti anni fa, a Venezia. Nel suo piccolo studio fotografico, egli raccoglieva frammenti di immagini, volti di donna logorati dal tempo, busti in marmo mutilati, paesaggi mozzati, avanzi di storia. Faceva delle bellissime fotografie, sulle quali poi applicava in post-produzione un filtro da lui stesso creato da altrettante fotografie, scattate ai muri imputriditi dalle scorie nucleari, prese direttamente sui siti intorno a Chernobyl.

Eccellente calligrafo, lo trovai quella sera ripiegato sulla sua scrivania, intento a riempire il foglio di bellissimi caratteri in ebraico. I suoi capelli lunghi, grossi e spettinati, ricadevano sulle spalle stanche, alzò gli occhi verso di me e se pur con molta lemma e tanto sforzo, mi accolse con un rassicurante sorriso. Mi invitò a sedermi, mi raccontò molte storie.

Roman è ucraino, cresciuto a Kyiv, scappò con i suoi all’indomani dello scoppio di Chernobyl, prima alla volta di Gerusalemme, poi il destino lo portò in Italia, a Venezia e carico di molto dolore, non potendo per molti anni rientrare in Israele a causa della sua decisione di disertare il servizio militare obbligatorio, fu costretto così a non poter riabbracciare sua madre un’ultima volta, che nel mentre moriva di cancro a Gerusalemme.

Ieri l’ho cercato, sarei voluta passare a trovarlo, mi aveva telefonato spesso negli ultimi tempi, ma era da qualche mese che non lo vedevo. Mi ha risposto “sono a Kyiv”. “Sono partito, mi sono arruolato come volontario della difesa territoriale, nella mia vecchia squadra”.

Incredula, la prima cosa che ho pensato è che fosse diventato matto. La seconda cosa che ho pensato è stata «parto anche io». La terza cosa che il mio cervello che intanto si staccava dal cranio ha partorito è stata: «che cosa posso fare io da qui». Ho sentito tutta la mia impotenza e un senso di colpa e poi di orgoglio immenso per il mio amico.

Poiché ritengo che i numerosi volontari che in questo momento hanno deciso di restare nelle città per arrestare l’avanzata russa, stiano difendendo non solo il loro paese, ma l’Europa intera, ho deciso di scrivere queste poche parole per porre tutto l’accento su coloro che in questo momento combattono, da soli, sul principio del precipizio di un conflitto mondiale, se nessuno riuscirà a far collassare definitivamente e subito la Russia e deporre il prima possibile Vladimir Putin.

Come in tanti, anche io attendevo gli esiti del negoziato in Bielorussia, sperando in una retromarcia o almeno un accordo che smorzasse il pericolo che incombe e arrestasse la spada che pende su tutte le nostre teste.

Siamo al nono giorno di scontri. Putin sta avanzando a stenti, ma sta avanzando. Kharkiv è presa. Mariupol è stata un bagno di sangue e rischia di finire presto sotto i russi. Manca Odessa e l’Ucraina sarà cosi privata presto del suo sbocco al mare.

Dicono che Putin dal punto di vista politico sia ormai un cadavere che cammina, ma le parole che ha rilasciato e con cui ha abbandonato il tavolo bielorusso -che ha solo portato al cessate il fuoco per lasciare aperti i corridoi umanitari- sono state terrificanti: “stiamo raggiungendo i nostri obiettivi, non torno indietro, ucraini e russi sono un solo popolo, onore ai caduti” – ha detto, poi si è alzato in piedi e ha continuato: “gli ucraini usano civili come scudi umani”.

Diceva proprio Adolf Hitler che “le masse sono abbagliate più facilmente da una grande bugia che da una piccola”. E proprio il motto della Germania nazista recitava “un popolo, un impero, un capo”.

Se è vero che gli Stati li fanno i popoli è perché nessuno Stato ha imparato a comandare i sentimenti degli uomini, come ci ricordava Lev Abramovic Dodin, il grande regista teatrale russo, che ha scritto qualche giorno fa per la rivista Teatr una lettera importante a Putin (tradotta e pubblicata da Liberation).

E se è vero che le guerre sono emozionali, così come irrazionale è il comportamento di quello che si sta rivelando il peggior dittatore della storia recente, è vero anche che senza sostegno della gente nessuna guerra può ragionevolmente durare, nessun governo scellerato sopravvivere a lungo ed è fatidicamente destinato a capitolare, in buona o cattiva democrazia, se intende togliere la cosa più importante che resta a un individuo, ovvero la sua dignità. Putin ha giocato la carta della paura, ma l’ha giocata male.

Roman, ucraino ed ebreo, mi dice di essere partito per una semplice ragione a lui più che sufficiente per sostenere una decisione così importante, mi ha detto: “la casa dove sono nato è sotto le bombe. Gli invasori ammazzano i cittadini. Per me questo è abbastanza”. Dove sono i pericolosi nazisti da cui Putin vorrebbe proteggere quel popolo che infine non lo ascolta e non lo teme e tantomeno lo ama?

Anche io sono stata fra quelli che non credevano che la Russia potesse davvero attaccare. Per circa due mesi, la stampa italiana ed estera si è data molto da fare perorando la causa ucraina e paventando, ogni singolo giorno, un imminente attacco da parte delle forze russe. Ma nessuno ha mosso un dito fino a qualche giorno fa o optato per tavoli di negoziazione, inviato armi o danaro.

Come anche la logica facilmente avrebbe potuto suggerire, l’avanzata dei russi si è subito trasformata in una collezione di fallimenti e perdite. Questo il perché della mia profonda convinzione che Putin non potesse davvero azzardare tanto. Basta inoltre leggere delle motivazioni assurde che egli stesso adduce per giustificare la magra e ridicola figura che sta facendo.

La sua inettitudine tattica, l’arroganza di tutte quelle fanfarose esercitazioni che si sonno tradotte in un pantano lungo la strada di questa goffa avanzata, impedita da civili armati di sole molotov e fucili. Putin ha infatti perso immediatamente la sua reputazione a livello internazionale e interno. Il convoglio di 60km, di cui tutti abbiamo visto le immagini, sembra che sia bloccato anche a causa di altri veicoli in panne assaliti lungo il tragitto, che ne impediscono quindi l’avanzamento e comportano la difficoltà nel fare i rifornimenti, lasciando i soldati a secco e costretti a chiedere cibo e benzina ai locali partigiani.

Kyiv è lontana e resiste. I territori in cui i russi si muovono liberamente non sono quelli sotto il loro controllo, il controllo è infatti affare politico, non militare. Questo gli ucraini lo hanno ben chiaro e perciò si sono asserragliati nelle loro città più importanti, come Kyiv appunto, oggi simbolo della resistenza ucraina, che a sua volta rappresenta il primo fronte di guerra europeo aperto. Kyiv resiste perché gli uomini che non hanno abbandonato le loro case resistono e vogliono cacciare l’invasore Putin. Kyiv resiste perché la motivazione di questa gente è forte, resiste grazie al sentimento, un sentimento rinnovato spesso anche dal loro coraggioso presidente Zelensky.

Ed è questo che infine ha smosso le acque, spingendo tutti i paesi europei sulla medesima direttiva e che a loro volta hanno trascinato con sé persino paesi come l’Ungheria dalla parte della NATO e della EU, cominciando così ad ottenere i primi segnali di aiuto e sostegno da tutto il mondo.

Tenendo fuori dalla Nato l’Ucraina, tenendola lontana dall’Europa (sperando che presto diventi suo ufficiale luogo elettivo), abbiamo costretto i corpi degli ucraini a farci da barriera umana, a imbracciare i fucili e porta per porta, uomo per uomo, a difendere, da soli, ciò che sono, ovvero un paese democratico, avanzato, moderno, un modello per il resto della Russia e adesso un esempio di eroicità e virtù per tutti noi europei che per ora restiamo a guardare impotenti.

Putin non si fermerà, passerà presto al terzo stadio di aggressione, dopo il primo assalto, dopo il suo rifiuto palese a trattare con il governo ucraino e sta a noi adesso l’obbligo di fermarlo, o finiremo per essere complici di questo massacro.

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