*Di seguito la Relazione integrale tenuta da Fiorella Pilato, già magistrata e autorevole esponente del Consiglio Superiore della Magistratura, attuale componente del Direttivo dell’Associazione Amici del Museo archeologico nazionale di Cagliari, nel corso del Primo Seminario di Minima Juridica: Aspetti legislativi della tutela del paesaggio. Il Seminario, organizzato sabato 5 marzo dall’Associazione Amici del Museo e dal think tank Sarda Bellezza, si è tenuto nella Pinacoteca nazionale nella Cittadella dei Musei di Cagliari.
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Dopo un iter parlamentale che ha comportato l’accorpamento di diversi disegni di legge costituzionale e la consultazione di esperti nelle commissioni competenti, l’8 febbraio scorso è stata inserita in Costituzione la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi attraverso la modifica degli artt. 9 e 41 della Carta, con votazione pressoché plebiscitaria della Camera (468 voti favorevoli, 1 contrario e 6 astenuti).
In realtà, l’ambiente era stato già indirettamente inserito in Costituzione nel 2001 con la modifica dell’art. 117 del titolo V, in cui comparve per la prima volta la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali ma soltanto per affermare che la materia era soggetta alla legislazione esclusiva dello Stato, salva la potestà legislativa concorrente delle Regioni a fini di valorizzazione dei beni culturali e ambientali; quindi, senza conferire all’ambiente una vera e propria tutela costituzionale.
Queste le modifiche apportate: art. 9. La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.
art. 41. L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, alla salute e all’ambiente. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali.
Sono introdotte, quindi, importanti novità:
- la tutela dell’ambiente è equiparata alla tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico della nazione, tutti valori inseriti tra i principi supremi della Costituzione;
- alla tutela dell’ambiente sono aggiunte quelle della biodiversità e degli ecosistemi;
- le tre nuove tutele sono qualificate dal significativo richiamo all’interesse delle future generazioni, imponendo il dovere di solidarietà e responsabilità verso figli e nipoti;
- è sancita anche la tutela degli animali, rinviandone l’attuazione alla legge ordinaria;
- sono posti ulteriori limiti alla libertà dell’iniziativa economica privata, che adesso non deve recare danno nemmeno alla salute e all’ambiente; inoltre, la legge deve indirizzare, coordinare e controllare l’attività economica pubblica e privata a fini non più soltanto sociali ma anche ambientali.
L’assenza della tutela dell’ambiente in Costituzione era stato un tema assai dibattuto nel mondo giuridico, banco di prova per la giurisprudenza di merito e di legittimità, tanto che alla lacuna si era cercato di rimediare fin dalla metà degli anni ’80 del secolo scorso attraverso la lettura congiunta degli artt. 9 sulla tutela del paesaggio, inteso come ambiente naturale modificato dall’uomo, e l’art. 32 sul diritto alla salute che aveva permesso, prima alle sezioni unite della Cassazione e poi alla Corte Costituzionale, di affermare il diritto all’ambiente salubre.
L’elaborazione della Consulta continuò per decenni, nel tentativo di dare riconoscimento specifico alla salvaguardia dell’ambiente come diritto fondamentale della persona ed interesse fondamentale della collettività, modellandola sempre sul diritto alla salute, entrambi valori previsti e garantiti dalla Costituzione alla cui stregua le norme avevano bisogno di una sempre più moderna interpretazione; e trovandone conferma nella riforma del titolo V della seconda parte della Costituzione.
Da ultimo, con sentenza 126/2016, la Corte ha ricordato di aver già riconosciuto più volte la preminente rilevanza accordata nella Costituzione alla salvaguardia della salute dell’uomo e alla protezione dell’ambiente in cui questi vive, quali valori costituzionali primari, sebbene il testo originario della Costituzione non contenesse l’espressione ambiente, né disposizioni finalizzate a proteggere l’ecosistema.
La Corte ha accolto una concezione unitaria del bene ambientale, la cui tutela comprende conservazione, gestione e miglioramento delle condizioni naturali (aria, acqua, suolo e territorio), preservazione dei patrimoni genetici terrestri e marini, di tutte le specie animali e vegetali che lo abitano allo stato naturale e in definitiva della persona umana in tutte le sue estrinsecazioni.
Pertanto, nella giurisprudenza costituzionale, l’ambiente è protetto come elemento determinante della qualità della vita e la sua tutela non persegue finalità estetizzanti ma esprime l’esigenza di un habitat naturale nel quale l’uomo vive e agisce e che è necessario alla collettività, secondo valori largamente sentiti; è imposta da precetti costituzionali (artt. 9 e 32 della Costituzione) per cui assurge a valore primario e assoluto.
La biosfera va considerata anche per le interazioni fra le sue componenti, i loro equilibri, la loro qualità, la circolazione dei loro elementi. Occorre quindi guardare all’ambiente come sistema, valutato nel suo aspetto dinamico e non dal solo punto di vista statico e astratto.
Pertanto, muovendo dai concetti di paesaggio e salute, la Corte costituzionale aveva già riconosciuto l’ambiente come bene immateriale e valore costituzionale primario e assoluto, comprensivo di tutte le risorse naturali e culturali e incidente direttamente sulla qualità di vita dell’uomo.
Per questo, prima ancora della modifica definitiva dell’art. 9 della Costituzione, molti ne avevano sostenuto l’inutilità o addirittura la pericolosità, sul rilievo che di fatto la tutela dell’ambiente era già presente in Costituzione grazie all’elaborazione della Consulta.
Non la penso così. Condivido invece il pensiero di Gianfranco Amendola, uno dei massimi esperti in materia (consultato in commissione durante i lavori parlamentari), il magistrato che mi ha fatto appassionare fin dal periodo del mio uditorato a Roma alle tematiche di tutela del territorio ed è sempre stato per me una guida preziosa.
Anzitutto, è positiva la trasformazione di un approdo giurisprudenziale in legge perché impedisce dubbi nella prospettiva di oscillazioni giurisprudenziali, sempre possibili in un sistema di civil law. Come insegna l’esperienza, anche la giurisprudenza della Corte Costituzionale può cambiare, si evolve e interpreta il sentire comune dei cittadini, a sua volta mutevole e non sempre in meglio.
Inoltre, trovo quanto mai opportuna anche sul piano formale una tutela diretta ed esplicita di ambiente, biodiversità ed ecosistemi quali valori autonomi, senza costringere a ricavarli da altri valori e diritti costituzionali in via interpretativa; e da proteggere come beni in sé, non più soltanto come strumenti dell’uomo, in un’ottica oggettiva anziché esclusivamente antropocentrica.
Soprattutto, per coglierne la portata innovativa, le modifiche costituzionali vanno lette nel loro complesso. Infatti, sebbene in fondo la tutela della biodiversità e degli ecosistemi rientri nella tutela dell’ambiente, averle indicate insieme qualificandole mediante il richiamo all’interesse delle future generazioni ne fornisce un quadro più ampio, che contiene ogni elemento in grado di incidere oggi e in futuro, in modo diretto o indiretto, sulla vita e sulla qualità della vita.
Significa allora che la riforma non si limita a confermare le conclusioni della giurisprudenza ma introduce una novità altamente qualificante – per l’appunto l’interesse delle nuove generazioni – al fine di interpretarne il valore in ambito applicativo.
La lettura unitaria delle modifiche, comprese quelle dell’art. 41, porta a concludere che la riforma abbia introdotto anche il principio dello sviluppo sostenibile chiarendo che, siccome l’attività economica va indirizzata e coordinata dalla legge a fini sociali e ambientali (quindi tenendo conto anche dell’interesse delle future generazioni), la sostenibilità deve essere valutata e perseguita con riferimento alla tutela dell’ambiente e della collettività nel suo complesso e sempre con lo sguardo rivolto al futuro.
Non alle esigenze dell’economia e del profitto immediato, come pensa chi cita lo sviluppo sostenibile facendolo diventare un facile slogan al cui riparo progettare misfatti. A questo punto, resta da approfondire il nuovo rapporto tra ambiente e paesaggio. La correlazione tra tutela del paesaggio e diritto alla salute ha costituito per anni il nucleo sul quale la giurisprudenza ha costruito il concetto di ambiente da proteggere allargando l’ambito del paesaggio, non più considerato come solo valore estetico.
Adesso, però, la tutela dell’ambiente è formalmente separata da quella del paesaggio, da reputare quindi limitata al solo aspetto visivo relativo alla morfologia del territorio.
Proprio per questo motivo, prima ancora che la riforma costituzionale diventasse definitiva, sono state espresse preoccupazioni sul possibile contrasto tra ambiente e paesaggio, che potrebbe avere l’effetto perverso di subordinare la tutela paesaggistica alla straripante diffusione degli impianti industriali di produzione di energia da fonti rinnovabili.
Il timore è che, per la necessità di far fronte ai cambiamenti climatici, il diritto all’ambiente possa trasformarsi a fini speculativi in un nuovo interesse tiranno capace di travolgere la tutela paesaggistica finendo per legittimare la trasformazione industriale del nostro paesaggio attraverso foreste di pale eoliche e praterie di pannelli fotovoltaici.
È un timore comprensibile, visto lo scempio spesso compiuto dalla speculazione edilizia, nonostante la tutela costituzionale del paesaggio. Ma questa riforma non è una truffa, come pure ho sentito dire, perché non elimina né depotenzia la tutela del paesaggio; anzi, se ben applicata e interpretata, potrebbe e dovrebbe potenziarla.
Infatti, tutela del paesaggio e tutela dell’ambiente, benché formalmente distinte, non potrebbero mai porsi in antitesi tra loro perché hanno pari dignità costituzionale e sono inserite nello stesso art. 9 che protegge, come più volte sottolineato dalla Consulta, beni immateriali non monetizzabili ma necessari per garantire all’uomo e alle generazioni future un’accettabile qualità della vita.
Sono tutele che non si contrappongono ma si integrano, con la differenza che mentre prima, con qualche meritoria forzatura, la tutela dell’ambiente si ricavava da quella del paesaggio, adesso sono tutelati insieme ambiente e paesaggio.
Anzi, alla luce della giurisprudenza della Corte sull’ampiezza dell’ambiente e dell’attuale richiamo all’interesse delle future generazioni, potrebbe essere oggi la tutela dell’ambiente a comprendere concettualmente quella del paesaggio. Comunque, grazie alla modifica contemporanea dell’art. 41, le attività economiche non devono recare danno alla salute e all’ambiente e devono essere indirizzate e coordinate dalla legge a fini sociali e ambientali.
Significa che la nuova formulazione degli artt. 9 e 41, da leggere insieme, esclude che la tutela dell’ambiente possa essere realizzata a scapito della tutela del paesaggio. Al contrario, è compito della legge attuare una programmazione in grado d’indirizzare e coordinare tutte le iniziative economiche in modo da bilanciare due esigenze di valenza costituzionale formalmente separate ma attinenti entrambe alla qualità della vita umana di oggi e di domani.
In realtà, siccome la nostra normativa ambientale è spesso di pessima qualità, una lettura ragionata della riforma alla luce dei risultati fella giurisprudenza costituzionale può farne immaginare ricadute importanti su norme di legge più attente alle esigenze dell’economia che a quelle dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi anche nell’interesse delle future generazioni, facendone oggi risaltare l’illegittimità e giustificando domani pronunce abrogative per incostituzionalità.
Non tutti sanno, per esempio, che il delitto di disastro ambientale previsto dall’art. 452 quater c.p. prevede un danno rilevante o irreversibile per l’ambiente e l’ecosistema – beni ora direttamente tutelati dall’art. 9 della Costituzione – ma punito soltanto se cagionato abusivamente, ipotizzando la possibilità di attentare a beni costituzionalmente protetti agendo in modo autorizzato e quindi legittimo.
In palese contrasto, oggi, sia con l’art. 9 sia con l’art. 41, secondo cui nessuna iniziativa economica privata può recare danno alla salute e all’ambiente; mentre, per l’attività economica pubblica o privata, la legge deve determinare a monte programmi e controlli per indirizzarla e coordinarla a fini di tutela ambientale, evitando ovviamente che possa provocare addirittura un disastro ambientale.
Quindi la riscrittura dei due articoli della Costituzione apre scenari inediti e confortanti, sul piano dell’interpretazione e applicazione delle leggi già esistenti e in vista dell’emanazione di leggi nuove, perché ogni legge dovrà essere valutata alla luce dei nuovi principi.
In definitiva, la riforma costituzionale che ha comportato l’inserimento dell’ambiente in Costituzione non deve destare preoccupazioni ma indurre, semmai, un vigile ottimismo.
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