Accorpare le Agenzie agricole è davvero la soluzione? [di Antonello Carta]

142_Pecore nere di Arbus proprietà di AGRIS 7_500_300P

La storia si ripete. Le chiusure e gli inizi delle Legislature regionali sono inesorabilmente accompagnate da proposte di accorpamento e cambio di denominazione delle Agenzie agricole. Particolarmente deludente è la carenza di analisi che accompagna le proposte. In questo gli esperti di centro-destra e centro-sinistra sembrano somigliarsi drammaticamente: nessuna argomentazione di merito supportata da valutazioni fondate sull’analisi di bilanci e risultati operativi ma solo generici richiami a presunti risparmi e a un probabile migliore coordinamento delle attività peraltro dimenticando che per quanto riguarda il comparto zootecnico è fondamentalmente l’Associazione Regionale Allevatori la struttura con la quale le Agenzie e in particolare AGRIS devono trovare forme di coordinamento operativo. Insomma, il solito disordinato attivismo di pseudo-esperti e pseudo-rappresentanti di categoria tipico delle fasi iniziali di ogni Legislatura regionale.

 

La giunta Cappellacci ci ha lasciato una proposta di accorpamento delle Agenzie agricole che ha disorientato molti addetti ai lavori e ha ricevuto critiche durissime dalla CGIL proprio per la sua natura demagogica e la mancanza di elementi che supportassero l’assunto che un’unica Agenzia debba funzionare meglio delle tre attuali. E’ particolarmente deludente che il Professor Pulina, che pure è stato il primo Direttore Generale di AGRIS, in un suo recente intervento riproponga lo stesso approccio. Eppure ci sono evidenze e esperienze consolidate che dovrebbero sconsigliare fortemente dall’identificare come elemento risolutivo delle enormi problematiche del comparto agricolo regionale la riforma-accorpamento delle Agenzie.

 

Le agenzie agricole sono già state riformate dalla Giunta Soru. AGRIS, che è l’Agenzia a cui sono affidati i compiti di ricerca e innovazione tecnologica, è una struttura complessa nata dalla fusione di sei! ex Enti regionali con storie e modalità operative differenti. In realtà, la maggior parte delle strutture che sono confluite in AGRIS non avevano in passato svolto se non marginalmente attività di ricerca e sperimentazione e hanno portato in dote alla neonata Agenzia un enorme patrimonio di aziende non finalizzate alla ricerca con relativo personale addetto alla manutenzione delle stesse nonché una, non meno impattante, dotazione di figure tecniche e dirigenziali non qualificate per svolgere attività di ricerca e sperimentazione.

 

In termini di operatività, di quantità e qualità di utilizzo delle risorse questa situazione ha fortemente condizionato AGRIS. E’ evidente che chi considerasse il bilancio AGRIS come interamente destinato a attività di ricerca e valutasse i risultati ottenuti sulla base delle risorse complessivamente assegnate compie un errore talmente clamoroso da lasciare il sospetto che sia strumentale a altri obbiettivi. Con queste premesse, la fusione non si è mai realizzata compiutamente per il fatto che ciascun ex Ente ha riprodotto più o meno la struttura e le modalità di funzionamento precedenti modificando semplicemente il proprio nome in Dipartimento. Tutto ciò ha prodotto una continua conflittualità fra le strutture centrali dell’Agenzia, Direzione Generale e Dipartimento Affari Generali, e i Dipartimenti operativi penalizzandone gravemente l’attività, affidata attualmente alla buona volontà dei ricercatori e del personale in genere.

 

Dalla riforma a oggi si è assistito a una perenne e confusa discussione su cosa l’Agenzia fosse realmente e cosa dovesse fare. Le cause di questo disorientamento risiedono in parte, come si è detto, nell’attuale struttura ma anche e soprattutto nell’incapacità dell’Agenzia stessa e in particolare delle sue componenti dirigenziali, di dotarsi di una visione e programmazione condivise. A ciò si è aggiunta la politica regionale la quale con i continui commissariamenti, una discutibile interpretazione dei requisiti necessari per la nomina del Direttore Generale e il perenne vociare su presunte contro-riforme – le quali con grande disinvoltura hanno abbracciato sia ipotesi di ritorno al passato con la separazione degli ex Enti, o almeno di alcuni di essi, sia la creazione di un’unica grande Agenzia che includa le tre attuali – ha consentito all’Agenzia di crearsi un corposo alibi per auto-giustificarsi, essendoci sempre un ex Direttore-Commissario-Assessore al quale imputare le proprie carenze operative.

 

Conclusione: l’agenzia AGRIS funziona molto peggio dei sei Enti pre-esistenti!. Eppure all’interno di AGRIS ci sono eccellenze di livello internazionale. Alcuni gruppi di ricerca sono capaci di vincere bandi europei per l’auto-finanziamento delle attività di ricerca, risultando in questo campo certamente più competitivi di molti colleghi delle università sarde, e sono considerati riferimenti internazionali per i loro ambiti di ricerca. Nonostante questo le loro posizioni gerarchiche all’interno della struttura non li mettono nelle condizioni di condizionarne le strategie che vengono affidate a dirigenti spesso privi di un anche minimo curriculum scientifico.

 

Il pasticcio di AGRIS non deve aver insegnato molto, se le proposte che circolano, ahimè trasversalmente, propongono sic et simpliciter un ulteriore mega accorpamento. Dalla precedente riforma a oggi niente di sostanziale è stato fatto dalla precedente Giunta per intervenire sulle vere problematiche delle Agenzie, ma ahimè! anche il dibattito di questo inizio Legislatura sfiora la superficie dei problemi concentrandosi su operazioni di facciata e non affrontando, forse perché è complicato, le reali criticità. Ci si aspetterebbero proposte di intervento, che preso atto delle esperienze precedenti, impattino sui nodi che da anni condizionano l’attività dell’ amministrazione regionale e delle Agenzie agricole in particolare. Si assiste, invece, al prevedibile scontato ricorso alla proposta di accorpamento. Quale deludente similarità di approccio con la Giunta Capellacci!

 

In che modo l’accorpamento possa impattare sull’efficienza di azione delle Agenzie non è dato sapere nè dai sostenitori di centro-destra nè da quelli di centro-sinistra. Al contrario: nessuna proposta di ridefinizione contrattuale del personale delle Agenzie che ne consideri le peculiarità (basti pensare ai ricercatori e agli addetti alle aziende), nessuna modifica dei meccanismi di verifica delle capacità dirigenziali, nessuna proposta di verifica delle capacità di auto-finanziamento attraverso la partecipazione a bandi europei e nazionali, nessuna verifica delle capacità di interagire con la domanda di innovazione tecnologica degli imprenditori agricoli e di trasferimento effettivo della stessa, nessuna verifica della capacita di connettersi al sistema della ricerca regionale in termini di utilizzo di strutture e laboratori pre-esistenti. Insomma, nessuna valutazione tecnico-scientifica seria delle attività dell’Agenzia.

 

Ora quello che si propone alla nuova Giunta è di ribaltare l’approccio metodologico sino a oggi seguito per affrontare il problema delle Agenzie agricole. Insomma non appare logico decidere prima la forma, le dimensioni e il nome della scatola e poi occuparsi di cosa ci si deve mettere dentro. E l’esperienza ha mostrato chiaramente che questo approccio produce mostri ingovernabili. Basti pensare alla complessità delle procedure burocratiche, in parte legata all’ipertrofica legislazione nazionale e regionale continuamente arricchita da circolari interpretative, ma in parte generata autonomamente dalla mentalità dirigenziale prevalente secondo la quale è sempre meglio non spendere per non correre rischi accumulando economie e restituendo fondi europei piuttosto che assumersi la responsabilità dirigenziale di mobilitare tutte le risorse disponibili per produrre i servizi dovuti ai comparti di riferimento.

 

Di fatto oggi, per la definizione di un atto che impatti verso l’esterno, sia esso l’avvio di un progetto di ricerca finanziato o il trasferimento dell’ innovazione tecnologica che produce, sono necessari una qualche decina di atti propedeutici interni con il risultato che un ricercatore lavora mediamente l’80% del tempo per produrre comunicazioni interne e il 20% – se gli va bene!-  a produrre il servizio che dovrebbe giustificare la sua retribuzione. L’esperienza ci ha insegnato che l’accorpamento di strutture differenti per storia e modalità operative ha incrementato esponenzialmente queste problematiche bloccando di fatto anche le attività che alcuni degli Enti pre-esistenti realizzavano con successo.

 

Non mi sembra che vengano valutate adeguatamente le conseguenze negative che un ulteriore accorpamento delle Agenzie può comportare sulle già descritte lentezze operative tanto più se tale accorpamento non è preceduto da una riforma della burocrazia regionale che modifichi profondamente i profili professionali del personale, le modalità di accesso alle funzioni dirigenziali, la valutazione dei dirigenti e del personale e le modalità di conferimento degli incarichi dirigenziali.

Insomma questo contributo vuole essere un pressante invito alla nuova Giunta ad affrontare il problema della razionalizzazione delle Agenzie agricole prendendo coscienza della sua complessità e non cedendo alla demagogia della soluzione facile e immediata che può tuttavia non solo essere inadeguata a modificare la sostanza delle cose ma addirittura di fatto contribuire a peggiorarla.

 

*Ricercatore AGRIS Sardegna

4 Comments

  1. gavino mulas

    it’s perfect concept

  2. Carlo Giordano RSU CGIL AGRIS SARDEGNA

    La nostra posizione sul progetto di riforma è stata correttamente esposta dal collega. Quello che maggiormente ci stupisce è che con il centro sinistra ci aspettavamo una maggiore attenzione alla reale soluzione dei problemi ed invece ci si ripropone quanto già proposto dalla giunta Cappellacci. Invitiamo gli interessati a riflettere con attenzione sulle future azioni da intraprendere e ad approfondire le questioni.

  3. Michele Ortalli

    La precisa ricognizione analitica svolta dall’Autore ricostruisce, a mio parere, il (purtroppo!) disarmante approccio della politica al governo ed alla gestione della “cosa pubblica”. Tale approccio è evidentemente privo delle giuste ed approfondite analisi della realtà destinate a migliorare e snellire le strutture ed i processi, puntando su naturali obiettivi di efficacia ed efficienza.
    Secondo quanto rappresentato, si assiste (ancora una volta!) a proposte superficiali apparentemente volte a costruire e/o ricostruire dinamiche completamente slegate dalle esigenze conosciute e quindi evidenti.
    I metodi fin ora applicati pare abbiano ampliamente dimostrato, attraverso i risultati prodotti, di essere privi di efficacia e di non aver di certo migliorato l’efficienza produttiva ma anzi, di averla peggiorata, se non addirittura mortificata. Particolarmente rappresentativo in tal senso è il dato relativo all’analisi della ripartizione del tempo lavorativo medio di un ricercatore. Altro dato degno di nota negativa è la mancata verifica delle capacità di interagire con gli imprenditori del settore e la conseguente mancata definizione di strategie utili a produrre crescita e sviluppo proprio in quel comparto produttivo dove la nostra Regione potrebbe raggiungere livelli di eccellenza, pari a quelli peraltro già raggiunti nella ricerca che quindi sembra inutilmente fine a se stessa.
    Lo scenario rappresentato dall’Autore testimonia quindi come “l’elite”, teoricamente deputata alla definizione di strategie di governo volte a migliorare le (disastrose) condizioni del territorio, sia invece di fatto e totalmente slegata da esso e dagli operatori. La politica, indipendentemente dal “colore”, non risulta quindi connessa né al territorio, né al tessuto economico, né ai suoi cittadini, mostrando piuttosto la sua natura “Gattopardesca” di portatrice di cambiamenti finalizzati al NON cambiamento.
    Concordo senza riserva alcuna con la visione suggerita dall’Autore il quale, attraverso la sua critica, fa giustamente notare al lettore che troppo spesso visioni semplicistiche e semplificate, seppure inizialmente orientate, o forse giustificate, dal (presunto) risparmio, rivelino nella realtà operativa la loro reale natura, causando, non solo perdite economiche (più o meno immediate), ma l’ulteriore protrarsi di inesorabili processi di impoverimento a tutti i livelli.
    Quindi, per quanto critica, la testimonianza dell’Autore suggerisce, a mio avviso, interessanti spunti di riflessione, manifestando inoltre un utile atteggiamento costruttivo evidentemente rivolto al reale miglioramento del comparto zootecnico e del territorio. Spero sinceramente che a “voci” come questa venga data la giusta considerazione e non vengano “imbavagliate” da analisi superficiali ed improvvisate.

  4. Confederazione Dirigenti Quadri Impiegati Agricoltura Ibba O., Boi R., Lutzoni M.G., Simbula R., Lai G.

    Il risultato di oggi è il frutto di un progetto sbagliato di ieri.

    I mutamenti sociali in atto nella nostra Regione richiedono, in modo non più derogabile, un’amministrazione moderna in grado di rispondere ai nuovi bisogni dei cittadini e delle imprese, a partire dal miglioramento dei servizi e quindi delle prestazioni fornite. Nel settore primario l’insieme della Ricerca, dell’Assistenza Tecnica e della Formazione Agricola è il sistema delle conoscenze in agricoltura. Mettere mano alle agenzie significa modificare questo sistema. In quale direzione? Per non commettere gli errori del recente passato, è basilare avere cognizione sul sistema delle conoscenze da costruire per favorire la crescita del comparto agro-alimentare Sardo. Quale Ricerca? Quale Assistenza Tecnica? Quale Formazione per gli operatori dell’agricoltura? Ogni passo va fatto dopo un’attenta analisi del contesto produttivo e sociale del settore in Sardegna.
    Da circa vent’anni a livello nazionale e internazionale, si discute su come vanno organizzati i servizi all’agricoltura. Gli aspetti su cui non ci sono più dubbi riguardano:
    la necessità di un legame forte tra ricerca/formazione/assistenza tecnica;
    la necessità di uno scambio continuo tra i ricercatori, tecnici e produttori.
    Tutto questo da realizzarsi attraverso l’organizzazione di flussi informativi più efficaci che siano in grado di fornire in tempi rapidi una risposta ai problemi dei produttori, ma anche di raccogliere le sollecitazioni da parte degli operatori.
    A somiglianza di quanto avviene nei paesi dove il sistemi delle conoscenze in agricoltura sono più avanzati e fanno sentire i loro effetti sulla qualità e tempestività della produzione, la ricerca e l’assistenza tecnica andrebbe organizzata unitariamente: le competenze burocratiche (programmazione, gestione patrimoni, gestione regolamenti, istruttorie e controlli) sono separate dai servizi (ricerca, assistenza, divulgazione, formazione) totalmente allergici alla burocrazia, bisognosi di decentramento e massima rapidità nelle decisioni e velocità nella spesa.
    In quest’ottica è fondamentale il ruolo dell’assistenza tecnica agli allevamenti erogata per conto della Regione dai tecnici, agronomi e veterinari, dell’Associazione Regionale Allevatori. Sono maturi i tempi per comprendere questo servizio a pieno titolo nel sistema delle conoscenze pubblica.
    Solo con questa inclusione si potrà garantire agli imprenditori del comparto zootecnico, gli stessi diritti nell’accesso alle azioni di consulenza tecnico-gestionale ed igienico-sanitaria di cui godono giá gli imprenditori delle produzioni vegetali. In questo modo si svilupperà una maggiore collaborazione, parità di condizioni economiche, professionali e di stabilità dell’occupazione, fra soggetti interessati, cancellando le attuali disparità che caratterizzano il sistema, con piena valorizzazione delle professioni intellettuali (Veterinari, Agronomi, Tecnici di Laboratorio) che da trent’anni, per conto della Regione, sono al servizio della zootecnia isolana.

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