E se coltivassimo ancora più grano duro? [di Sergio Vacca]
Con riferimento alla temperie bellica che attanaglia da oltre tre mesi l’Ucraina, si è attivato un dibattito riguardo all’approvvigionamento di grano, di cui il paese è tra i più grandi produttori nel mondo. Sei milioni e mezzo gli ettari coltivati a grano e 5,5 milioni quelli investiti a mais. Le difficoltà connesse all’esportazione hanno messo in gravissima crisi i mercati del settore, causando, peraltro, un fortissimo deficit alimentare in molti paesi dell’Africa ed un notevole aumento dei prezzi. Quanto all’Italia, che ha una SAU di 12 milioni e seicentomila ettari, circa un milione e settecentomila ettari sono attualmente investiti nella coltivazione a grano, di cui oltre settecentomila a grano duro; riguardo alla produzione mondiale, l’Italia risulta essere il maggiore produttore dopo il Canada. Per quanto attiene alla qualità delle produzioni, tuttavia, nelle coltivazioni canadesi la maturazione delle spighe viene raggiunta utilizzando il diserbante chimico glifosato, somministrato nella fase di pre-raccolta. Queste modalità sono rigorosamente vietate sul territorio italiano, dove fortunatamente la maturazione avviene invece grazie al sole. La regione della Penisola con la maggiore produzione di grano è la Puglia con oltre 360mila ettari investiti, seguita dalla Sicilia con 264mila ettari, mentre nel resto della penisola le coltivazioni sono concentrate in Emilia-Romagna con 193mila ettari, in Basilicata con 122mila ettari, nelle Marche con 114mila ettari, in Toscana con 83mila ettari in Piemonte con 62mila ettari e in Lombardia con 60 mila ettari. La Sardegna può attualmente contare su una superficie di circa 30mila ettari; tra la fine dell’800 e inizi del ‘900 la nostra regione era la seconda dopo la Sicilia in cui si coltivava più frumento duro. La superficie coltivata nell’isola a grano tenero è di poco inferiore ai mille ettari, la maggior parte dei quali distribuiti tra le province di Oristano (303, annata di riferimento 2021-22) e Sud Sardegna (525), con una variazione minima rispetto alle annate precedenti. Per quel che riguarda il grano duro (annate di riferimento 2021-22) la superficie complessivamente investita è di 21.156, così distribuite per provincia: Sassari 1652, Nuoro 157, Cagliari 177, Oristano 2654, Sud Sardegna 15.265, con una produzione stimata di complessivi di 529. 123; la precedente annata (2021), per le stesse province aveva, per l’intera Sardegna 18.066 ettari, mente la distribuzione per province le seguenti superfici: 973 – 144 – 168 – 1566 – 15265 ed una produzione di 462932 quintali. Come si può osservare, l’aumento delle superfici e delle produzioni, tra le annate 20/21 e 21/22, appare più che significativo. Questo dato, peraltro, è in forte controtendenza rispetto al ventennio precedente: la Sardegna, infatti, ha perso nel tempo circa il 20% della superficie coltivata a grano; come riferimento, nel 2004, la superficie coltivata a grano, dato complessivo, assommava a circa 97.000 ettari. Nessuna pretesa di investigare sulle cause che nel tempo hanno determinato questa forte diminuzione di superficie e di produzione di grani, tuttavia l’auspicio che si ritorni al minimo alla superficie di 97 mila ettari del 2004. Ciò che, viceversa, interessa comprendere fino a quali limiti può spingersi la produzione granaria nell’isola, laddove si verifichi, in relazione al – non auspicato – prolungamento della guerra in atto, l’esigenza di intensificare il ricorso a produzioni esterne. In una recente statistica sulla Cerealicoltura sarda, viene registrato in un milione e settecentomila quintali il fabbisogno annuo, contro una produzione stimata (2021-22) di 529 mila quintali. Emerge in sostanza un deficit stimabile in oltre un milione e centomila quintali. La domanda che si pone, a questo punto, riguarda la potenzialità delle terre arabili in Sardegna che possa soddisfare questo fabbisogno. Vi è un documento, editato nel 1986, dopo un lavoro di rilievo ex novo di superfici potenzialmente irrigue, da sommare a superfici già irrigue o per le quali l’infrastrutturazione era in atto. Si tratta dello studio “I suoli irrigabili della Sardegna”, basato sulla cartografia in scala 1: 100.000, che ha censito complessivamente 420 mila ettari di terre potenzialmente irrigabili, voluto dall’allora Cassa per il Mezzogiorno e realizzato da una equipe guidata dai pedologi Angelo Aru e Paolo Baldaccini per conto dell’allora Ente Autonomo del Flumendosa. Il lavoro conserva tutta la sua validità in quanto ha rilevato e valutato elementi immutabili del paesaggio: i suoli. Perciò terre di alta qualità, in quanto i criteri di scelta riguardavano caratteristiche e qualità dei suoli necessarie per stabilirne l’idoneità all’irrigazione. Le esigenze di coltivazione dei cereali, in particolare del grano duro, attengono ai caratteri di un suolo che sia tendenzialmente argilloso e che sia in grado di avere una buona capacità idrica; peraltro, il frumento duro è adatto agli ambienti aridi e caldi, dove riesce a realizzare la migliore espressione di propri caratteri. Un’analisi speditiva sull’esistenza dei “requisiti d’uso” richiesti per il grano duro, all’interno delle aree censite dall’indagine sui suoli irrigabili della Sardegna, assomma tali superfici, distribuite in prevalenza tra le province di Oristano e del Sud Sardegna, ma anche di Sassari e Olbia-Tempio (piane di Chilivani, Nurra, Campu Giavesu, Marmilla Trexenta ecc.) fra il 30 ed il 40% delle Terre irrigabili della Sardegna, ossia tra i 120 mila ed i 160 mila ettari, riportando così la nostra isola nella parti alte della classifica di potenziale produttore di grano (duro) d’Italia. * E’ stato Professore di Scienza del Suolo, Università di Sassari.
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