Da Consigliere di Parità a Consigliere di Carità [di M.Tiziana Putzolu]
Il lento declino di una figura istituzionale. In Sardegna e non solo. Sarà stata l’austera e montiana spending review che con l’ascia ha ridotto i fondi in maniera molto ampia rispetto a qualunque altro organismo pubblico (riduzioni del 75% dei fondi al livello nazionale, regionale e provinciale), ma sta di fatto che la più importante figura istituzionale nel panorama dei cosiddetti Organismi di Parità e di lotta alle discriminazione di genere si trova in caduta libera. Parlo della figura della Consigliera di Parità. La questione di genere nei suoi organismi rappresentativi è argomento di piena attualità solo a vedere (argomentando a contrario) la numerosità delle donne elette nel novello Consiglio regionale della Sardegna. Non è difficile farsi un’idea di quanto si stia profondamente radicalizzando la convinzione che ‘le donne non votano le donne’, anche se in fondo il pensiero sottinteso è ma queste che vogliono? La perdurante esclusione delle donne dai ruoli politici ed istituzionali e l’ostilità vile nella scelta del voto segreto per l’approvazione della legge elettorale con la quale si è andati a rinnovare di recente il Consiglio regionale sardo non sono che il segno dell’ostilità rispetto agli strumenti per il riequilibrio di genere nelle istituzioni. Ma questa situazione avrebbe dovuto ridare, in verità, linfa agli organismi di parità (prima di tutto alla Commissione Regionale per Pari Opportunità), mentre parrebbe, salvo rare eccezioni, tutto il contrario. Perché la fotografia della composizione dell’attuale Consiglio Regionale, con le 4 donne elette, avrebbe dovuto suscitare decise prese di posizione da parte della Presidente del CPO regionale, ad esempio, essendo questo uno dei suoi compiti principali. Non è accaduto. Ed il silenzio, come si dice, la racconta lunga ed esprime chiaramente che siamo di fronte ad un epifenomeno della questione. La verità è che intorno al tema generale degli strumenti per il riequilibrio di genere e degli organismi di parità da tempo si registra una opposizione verso i primi ed una carsica erosione dei secondi. Per ragioni diverse. Sulla reale funzione della gran parte di alcuni di loro si potrebbe anche discutere. Perché in alcuni casi il fondato sospetto è che partiti ed altri organismi rappresentati da uomini (sindacati, associazioni di categoria ed altri) in alcuni casi hanno utilizzato le nomine negli organismi di parità come riserve indiane per lavarsi le coscienze della mancata elezione delle donne nei diversi organismi istituzionali. E nel farlo individuato spesso non le più consapevoli ed attrezzate per affrontare le disparità di genere, ma quelle più adatte a rappresentarli o rappresentare i partiti o le altre organizzazioni che le esprimono. Detto questo, nel bene e nel male, comunque, molti organismi di parità nel corso degli ultimi 25 anni hanno sostenuto le tematiche di genere praticamente da soli. Tra questi vi è quello della Consigliera di Parità. Differente dagli altri organismi intanto, lo diciamo subito, perché è un Pubblico ufficiale. La nascita di questa figura risale alla Legge 125 del 1991, e si inseriva nel solco di un periodo di feconde leggi innovative e ‘normative’ in senso stretto, che dettavano cioè ex novo regole e strumenti in diversi ambiti della vita pubblica (correva l’anno della riforma dello sciopero nei servizi essenziali o della riforma degli Enti Locali, per fare esempi concreti). Nel loro ambiente privilegiato, il mercato del lavoro, promuovono le pari opportunità con una strumentazione ampia, e, da organo preposto al controllo ed alla tutela delle discriminazioni nel lavoro in ragione del sesso, tentativi di conciliazione agendo in giudizio in funzione di Giudice del lavoro. Una miriade di attività fanno di questo ufficio pubblico un presidio per le lavoratrici ormai consolidato anche se non privo di difficoltà. L’aumento della precarietà lavorativa e la crisi economica hanno aumentato un leggibile e diffuso peggioramento delle condizioni di lavoro e del clima presente in moltissime aziende, creando terreni fertili per il diffondersi di comportamenti discriminatori. Questo è il momento di agire e di reagire, di programmare azioni di contrasto, di condizionare scelte per contrastare fenomeni che stanno minando il lavoro femminile sempre più precario e più malpagato. In Sardegna i dati dell’ultimo anno danno un quadro preoccupante delle donne occupate, in diminuzione di 21.000 unità. Il tasso di occupazione femminile è sceso dal 43,1% al 39,7%. Sulle dimissioni in bianco ogni anno l’Ispettorato del lavoro fornisce dati allarmanti. Davanti il declino. Niente fondi, niente indennità, l’ultima proposta prevede 16 euro al mese per la Consigliera regionale, 12 euro al mese per quelle provinciali. Fondi di funzionamento per pagare uffici legali, per svolgere le attività istituzionali? Quasi inesistenti.Se gli uffici delle Consigliere di Parità non sono in grado di rispondere a richieste in alcuni territori sempre crescenti, si può parlare di interruzione di pubblico servizio?Io penso di sì. Questo il clima. Gli Uffici delle Consigliere di Parità hanno, praticamente, smesso di funzionare. Nella provincia ogliastrina non è mai stata nominata, in quella del Sulcis ha alzato bandiera bianca e chiesto la resa tempo fa. Chi resiste, resiste per volontà, per principio, e con un impegno simile alla carità. La precaria esistenza delle Province non è la causa della destabilizzazione. In ogni caso da debolezza politica e precarietà istituzionale è immune l’attuale Consigliera di Parità della regione sarda, unica nomina volutamente politica dal precedente Governatore rispetto alle Consigliere provinciali sarde esistenti e resistenti. La spending review, in fin dei conti, è solo un capro espiatorio, un metodo vile come tanti (come lo è stato il voto segreto per non adottare azioni di riequilibrio di genere nella nuova legge elettorale sarda) per azzerare funzioni scomode. La generale pletora di organismi della ‘parità’ dissolve la sua azione con lenta ed inesorabile agonia e la colpa è della spending review che ne ha tagliato i fondi. Semplice. Ma è fondato sospetto che si stia srotolando una concertata e silente azione tendente alla cancellazione di tutte le organizzazioni di lotta alle discriminazioni di genere e di promozione delle pari opportunità. La spending review, quindi, è utilizzata come strumento, come cavallo di troia per cancellare, demotivare, depotenziare queste (a volte) ‘rompiballe’ che ficcano il naso nelle procedure concorsuali, che reclamano l’applicazione di leggi, che contrastano la diffusa discriminazione per maternità. Bisogna avere ‘coraggio’ politico per proclamare la volontà di cancellare questi Uffici e considerare praticamente chiuse le esperienze a ogni livello. Né un articolo di giornale, una interrogazione parlamentare o regionale sono intervenuti a contrastare il fenomeno. O senza che gli organismi stessi, le Consigliere di Parità, quella Regionale in primis, abbiano levato una voce in difesa, in autotutela del loro ruolo e dei lori Uffici ed a tutela, soprattutto, delle lavoratrici. Oggi, con i tassi di occupazione che scendono ed i mille problemi legati al lavoro ed alla precarietà crescente, la Consigliera di Parità è utile? Se la riposta è no, amen. Ma se la risposta è sì, allora è necessario che al ruolo delle Consigliere di Parità sia ridato valore e dignità e non trasformato con quello di improbabili crocerossine ai margini del campo di battaglia del lavoro, o di Consigliere di Carità. Ma ho un sospetto (che è anche una certezza). Se questi ruoli fossero in mano a uomini, non ci si sarebbe ridotti a questo punto. *Consigliera di Parità del Medio Campidano
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