Depositi aperti al Museo [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione Sarda 10 giugno 2022. La città in Pillole. Chi frequenta le Sale dell’ex Regio Museo in Piazza Indipendenza, aperte per le frequenti iniziative pubbliche, ha notato che, nelle bianche vetrine, è allestita una teoria di reperti archeologici. È un allestimento in progress di materiali conservati nei depositi e inaccessibili al pubblico. Un esperimento di una pratica, Depositi aperti, diffusa in Europa e che si sta affermando in Italia. Di fatto, si consente l’accesso a materiali, altrimenti, inaccessibili o accessibili alla ristretta cerchia di studiosi. In Sardegna, come nel resto dell’Italia, il tema dei depositi è uno dei nodi della conservazione e della fruizione del Patrimonio culturale. Intanto per la sua dimensione che non ha pari e che va crescendo di giorno in giorno. È di evidenza che i depositi, nei settori in cui il Patrimonio culturale si declina, siano insufficienti e che la soluzione di una tale emergenza riguardi tutte le articolazioni della Repubblica, non a caso, chiamata in causa, per la tutela, dall’art. 9 della Costituzione. In particolare, dagli ampliamenti, di recente apportati, per affermare, nei principi fondamentali della Carta, che la tutela del paesaggio e del patrimonio culturale deve essere agita anche per le future generazioni. Al dunque, continuare a fare scavi e recuperare, ad esempio, materiale archeologico per abbandonarlo a sé stesso in ricoveri di fortuna, poco attrezzati, significa esporlo a seri rischi. Non solo materiali. Si tratta di una vera tragedia storica. È come appiccare il fuoco ad un archivio con le sue mille storie personali e collettive. In uno scavo, una volta persa la carta di identità del contesto di rinvenimento, l’afasia storica e il ritorno all’archeologia antiquaria del bell’oggetto. Accade ove si pensi all’impossibilità di schedare e documentare, nell’immediatezza dello scavo, i singoli reperti. Una morte annunciata. La soluzione? Come prevede il Codice Urbani, copianificare, alle diverse scale istituzionali, come ovviare alla mancanza di luoghi di conservazione; attrezzarli, adeguatamente, e condividerli con le comunità. È la strada maestra verso i Depositi aperti; autentici fulcri educativi comunitari in cui riprendere, anche, a redigere i cataloghi e i pre-cataloghi dei manufatti. È stata la migliore palestra formativa di passate generazioni di archeologi. Inoltre, mettere mano all’azione censitaria degli scavi attivati dal secondo dopoguerra (migliaia) e dei materiali naufragati, o meglio “sequestrati”, in tanti improvvisati depositi. *Foto: Museo Pietro Canonica a Villa Borghese |