Dispacci #3. Libera nos a nobis [di Matteo Meschiari]
https://www.doppiozero.com/19 Luglio 2022. Se credete nella crisi climatica e nel collasso sistemico, c’è un pellegrinaggio antropocenico che dovete fare per forza. Si è celebrato da poco il trigesimo (1991-2021) al Museo Archeologico di Bolzano, un tempio laico che accoglie annualmente decine di migliaia di fedeli, noto ai devoti come il Sacrario dell’Uomo dei Ghiacci. Dopo una coda prodromica che invita alla contrizione e all’esame interiore, sarete immessi in un vestibolo dalle luci criptali, dove video d’epoca e didascalie-stele, una stazione dopo l’altra, ricostruiscono le tappe del processo di beatificazione di Ötzi, un non piissimo viator dell’Età del rame morto, si dice, in odore di martirio. Al primo piano della basilica, in un’inversione sacrale un po’ spiazzante, si accede ex abrupto alla contemplazione della salma. Il fercolo-frigorifero si offre al praticante come una grande ara d’acciaio ultraterreno, al centro della quale un oblò di cristallo ostenta la mummia (e le sue monche nudità) al pellegrino. Qui, tra bisbigli e silenzi compresi, una lunga e ordinata processione di donne, uomini e bambini transita e per qualche attimo staziona in presenza del santo per interrogarne le labbra (raggelate in smorfia) con un’unica corale domanda: “ma noi ce la faremo?”. Il suo mutismo impietoso si stempera un po’ alla volta nel reliquiario accanto, dove berretto d’orso, gambali di capra, calzari, giacca, mantello e perizoma, rivestono idealmente la salma, riportandola a una quotidiana umanità. Anche l’arco non finito, così simile a un vincastro, le frecce in lavorazione, la daga spuntata, i turiboli di betulla, il telaio dello zaino-fardello, i semi e i funghi per viatico, ci parlano di un microcosmo che il viandante alpino portava con sé in una cerca misteriosa che, forse in ritardo, ci consegna alla sua e alla nostra terreità: emerso in forma di mummia all’inizio del Grande Surriscaldamento Globale, nato nell’epoca dei primi passi dell’industria umana, Ötzi è martire-testimone ignaro di un molteplice cambio dei tempi, è portatore del miracolo negativo dell’Antropocene, è icona bizantina di ogni fine e, come in una ars male moriendi, si sacrifica retroattivamente per noi nella speranza di salvare la Terra dai peccati della specie. Così, se andrete a fargli visita, dovrete provare compassione per lui (e per voi stessi) o sarete perduti.
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Mi paret chi, cun su viaza viaza, pranghindhe (o murrunzendhe ispetendhe a prànghere?) sempre prus airados a viazare pro forrogare fintzas s’úrtimu cuzone de su mundhu, de cumpassione pro nois etotu no ndhe tenimus abberu: custa umanidade viazante (pro triballu, pro ispàssiu (?), pro istúdiu – custu comintzendhe de s’asilo –, pro fuire), sempre in màchina, in trenu, in ariopranu, in nave, totu a irvilupu e cossumu illimitadu insostenibile, comente faghet a no èssere incuinante/incuinamentu?
Si invetze “compassione” cheret nàrrere “passione/patimentu totugantos paris” mi paret chi s’umanidade bi est assuprindhe impresse meda.