Anfiteatro e la memoria dei luoghi [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione Sarda, 26/ 03/2014. La città in pillole- Arangio Ruiz nel 1945 impedì distruzione e ricostruzione. Amphitheatrum indicava uno spazio intorno ad un’arena, in legno prima e dalla fine del I sec. av. C. in pietra. Vi si svolgevano venationes (cacce agli animali), giochi di gladiatori, allestimenti con macchine sceniche, tipici di città con piazze militari. Era di forma ellittica con gradinate (cavea) intorno all’arena quasi ovale per favorire la visibilità. Quello di Cagliari è frutto dello scavo in una declività, di un breve terrapieno e di integrazioni in muratura. Realizzato nella periferia settentrionale tra la fine del I sec. e l’età adrianea, in concomitanza con cospicui lavori quali terme, impianti idraulici, tombe monumentali. Il toponimo centuscalas è memoria profonda del luogo che compare come un taglio nella imago urbis di Sigismondo Arquer. Riconosciuto da Vittorio Angius e inserito nel 1839 nella Relazione del Consiglio Civico come “vestigia dell’antico anfiteatro romano”, da conservare, fu nel 1866 acquistato dal Comune, scavato da Giovanni Spano e disegnato da Vincenzo Crespi. L’unico rilievo, ad oggi, fu integrato e rettificato anche nelle interpretazioni da Doro Levi sul finire degli anni trenta del Novecento. Una, inventata dalle Carte di Arborea recita che nel 777 vi si festeggiò la sconfitta sui Saraceni! Levi scavò e ricostruì porzioni, definì ulteriormente podio, gradinate, accessi e corridoi coperti, ambienti per gli animali, dettagli architettonici. Prima della “legnaia” vi si riconosceva un intenso riuso. Fu parte di un habitat rupestre e persino cava e soggetto di fotografi da Edouard Délessert in poi. Era difficile leggerlo nel dettaglio. Una volta “liberato” sarà difficilissimo. Si rimpiange il ministro Arangio Ruiz che ne impedì nel 1945 la distruzione e la ricostruzione proposte dall’amministrazione municipale che protestò per lesa potestà locale. A volte da fuori si conserva meglio la memoria dei luoghi. |