San Saturnino, metafora della Sardegna [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione Sarda 8 settembre 2022. La città in pillole. Molti luoghi in città si prospettano locali e universali, antichi e moderni, affollati e solitari, connessi e autosufficienti, rifondati di continuo ma connotati, apparentemente, da uno dei tanti fondatori. Affermazione ovvia per una città di lunga durata ovvero di fondazione e antropizzazione antiche, perdurante negli stessi luoghi, che può proporre, in simultanea, mille identità. Ma è tanta percezione che impressiona specie in un luogo, metafora di Cagliari e dell’isola. È san Saturnino. Una basilica che, immersa in un giardino, invano, tenta di auto occultarsi; in bilico tra centro e suburbio e tra città di pietra e d’acqua. Oggi dimentica del sale, l’oro bianco che, per millenni, ha fatto grande la città e il sito in questione. Una mano invisibile pare aver tracciato un irriducibile confine tra il suo spazio, diventato privilegiato, e la restante città. Ha deciso che il luogo accumulasse ogni passaggio senza esserne mai inghiottito. Neanche dalla speculazione edilizia che stravolge Cagliari dal secondo Ottocento. In forme compulsive, dal secondo dopoguerra. Pure di recente, ove si pensi al destino di Tuvixeddu, sottoposto ad insistite molestie. Che San Saturnino si autoriconosca una speciale geografia? Certo è che si tratta di un fulcro connotato dal sacro, agito, come prima socialità, dai gruppi che si muovevano, fin da tempi antichissimi, nel vasto enclave dalle mille vie d’acqua riassunte dal Molentargius; generativo, con la laguna di Santa Gilla, delle prime aggregazioni umane dell’area metropolitana. Nella traiettoria di una città dalla storia profonda, il luogo san Saturnino è sempre stato altro dalla città murata. Area funeraria di un denso suburbio ha polarizzato, come in altre città romane, la tomba del martire che, a sua volta, ha generato un luogo di culto suburbano ovvero una basilica. Fulcro martiriale che non smise di mediare con spazi vocati a produzioni agricole e saliniere nell’alto medioevo. I benedettini di San Vittore di Marsiglia, che lo abitano dallo scorcio dell’XI secolo, si prospettano nella continuità, contribuendo a rifondare i territori. Riconoscono il rango di Saturnino e lo nominano nelle loro carte, alcune scritte in sardo con caratteri greci, a prova della complessità culturale della città. La loro presenza in Sardegna, ben oltre l’area metropolitana, racconta di luoghi locali quanto universali perché avanguardia della Riforma di Gregorio VII che rifonda Chiesa ed Europa da un punto di vista spirituale e socioeconomico. |