Abbiamo un pianeta di riserva parcheggiato nello spazio? [di Sergio Vacca]
Lo sviluppo della società tecnologica, che caratterizza particolarmente questi ultimi due secoli, accompagnato dal continuo aumento della popolazione, ha accentuato quel fenomeno di distruzione delle risorse naturali cui tanta attenzione poneva la cosiddetta società contadina. Maggiormente esposte a questo fenomeno, sono state e sono le specie vegetali e animali il cui numero si è drasticamente ridotto fino a toccare i limiti oltre i quali non bisogna assolutamente avventurarsi. E’ questo il grande problema della biodiversità alla cui soluzione sono impegnati scienziati, tecnici e politici, tuttavia, solo dopo avere preso consapevolezza del fatto che, a causa della attività antropica, sono già scomparse numerose specie, animali e vegetali, che esistevano all’inizio del secolo trascorso e che diverse altre potrebbero andare perdute entro i prossimi anni. Più di recente, il concetto di diversità è stato esteso anche al suolo (pedodiversità) ma, pure in questo caso, solo dopo avere preso consapevolezza del fatto che il suolo deve essere considerato alla stessa stregua di un essere vivente ed avere realizzato che ad ogni variazione delle caratteristiche dei suoli, corrispondono profonde ripercussioni qualitative e quantitative nei paesaggi, che risultano tanto più pericolose per l’ambiente quanto più è incisiva l’azione di disturbo sul suolo. Lo sviluppo sociale ed economico, chiaramente, non può essere arrestato ma, questo deve avvenire nel rispetto dell’ambiente e delle sue risorse. In particolare, nelle procedure di valutazione di impatto delle attività dell’uomo sul territorio, occorrerebbe sempre considerare la salvaguardia della diversità del suolo, che rappresenta una risorsa naturale non-rinnovabile. Le scelte devono coinvolgere tecnici e politici e devono assolutamente poggiare sul concetto di sviluppo sostenibile. Invece, lungi dall’usare con cautela la risorsa suolo, la stiamo consumando come se avessimo un pianeta di riserva parcheggiato nello spazio. Occorre allora fare di tutto per fare emergere dal profondo della nostra coscienza quell’antico vincolo che ci unisce al suolo e che, in occasione del World Summit di Johannesburg (settembre 2002) faceva dire a Kofi Annan, allora Segretario Generale dell’ONU: “La prosperità costruita saccheggiando l’ambiente naturale non è affatto prosperità. E’ soltanto un rinvio temporaneo del disastro futuro”.
* già Professore di Scienza del Suolo, Università di Sassari |