Cenerentola senza magie [di Franco Masala]
Poco più di venti giorni vennero concessi per la composizione del “dramma giocoso” La Cenerentola, andata in scena il 25 gennaio 1817 al teatro Valle di Roma. Il librettista, Jacopo Ferretti, e Gioachino Rossini, allora neppure venticinquenne, fornirono comunque un capolavoro che alterna giuste dosi comiche a momenti patetici ed emozionanti con risultati forse unici nella produzione del musicista che non affrontò più il buffo fino al termine della sua carriera operistica (1829) ad esclusione della pochade Le Comte Ory. Nei suoi due secoli di vita La Cenerentola ha avuto nove edizioni cagliaritane anche se l’ultima (2010) fu in forma di concerto (con la prima saltata per sciopero) tanto che l’ultima realizzazione scenica risale addirittura a quarantasei anni fa. Troppi per un capolavoro assoluto che però annovera anche due edizioni particolari all’aperto, nello scomparso Eden Park, nel 1929 e nel 1931 con la Compagnia italiana dell’Opera Comica di Marcello Govoni in una “opportuna riesumazione dello spartito rossiniano che è fra i più belli della musica settecentesca (sic)” come scrisse L’Unione Sarda. Allora il ruolo protagonistico fu affidato a soprani leggeri e non al contralto come è scritto, secondo una prassi che ha interessato anche la Rosina del Barbiere di Siviglia per lungo tempo e fortunatamente tornata ormai alle origini tanto più che la prima interprete dei due ruoli fu la stessa Geltrude Righetti-Giorgi. A parte la notissima fiaba di Perrault le fonti dell’opera di Rossini sono molteplici e soprattutto aboliscono ogni elemento di magia così che non c’è la fatina ma un precettore-filosofo e non c’è la classica scarpina di vetro bensì un braccialetto (chiamato alla spagnola smaniglio) che il principe di turno ritroverà al polso di Cenerentola. Anche la matrigna è sostituita da un patrigno mentre rimangono le sorellastre vacue e vanesie. Se poi si fa attenzione al geniale libretto di Ferretti con perle letterarie disseminate frequentemente si può capire il valore di un’opera che ebbe il suo definitivo rilancio con la produzione del Maggio Musicale Fiorentino (1971) nell’edizione critica di Alberto Zedda con Claudio Abbado direttore, Teresa Berganza protagonista e Jean-Pierre Ponnelle regista (e chi scrive c’era). Il direttore Jonathan Brandani guida l’orchestra, accompagnando il palcoscenico con sollecitudine ed equilibrio con le voci ma fa perdere talvolta le molte finezze della partitura. Il coro maschile, istruito da Giovanni Andreoli, è a suo agio nel canto oltre che nei movimenti da “cavallo” richiesti. La protagonista Paola Gardina, precisa e musicale, prende quota nel corso della recita, accentuando la vena patetica e regalando un finale decisamente sicuro. Dave Monaco è il Principe capace di salire agli acuti con facilità, e sono a posto i due bassi Giulio Mastrototaro, un Don Magnifico che canta bene senza ricorrere ai fastidiosi parlati usati spesso per questa parte, e Pablo Ruiz nel ruolo decisivo di Alidoro con relativi travestimenti, efficace anche nella difficile aria Là del ciel… Christian Senn si disimpegna discretamente nel ruolo di Dandini. La caratterizzazione delle sorellastre di Chiara Notarnicola e Giuseppina Piunti vira spesso verso il grottesco sia vocalmente che scenicamente, pure nella interpolazione del Duetto dei gatti (da Rossini) che sviluppa lo scorno per la scelta abortita nei loro confronti. Tutti, inoltre, presentano un physique du rôle perfettamente adeguato, sottolineato anche dai bei costumi di Margherita Baldoni, coloratissimi tranne che per Cenerentola e il Principe, giustamente sobri. Nella compagnia alternativa, a parte le stesse sorellastre, spiccano la protagonista, Asude Karayavuz, che sfoggia un bel timbro scuro, e, soprattutto, il tenore Chuan Wang, che esibisce acuti lucenti e una dizione perfetta. Ciò che difetta invece alle tre voci gravi maschili e italiane – Andrea Vincenzo Bonsignore, Alex Martini e Davide Giangregorio – talvolta in affanno anche con la parte vocale, sicuramente da maturare. Lo spettacolo proviene dal tedesco Theater Bonn per la regia di Leo Muscato (ripresa da Marialuisa Bafunno) e gioca sulla bella scenografia di Andrea Belli, unica ma rotante, e sulle luci indovinate di Max Karbe. L’ironia del regista parte dalla presenza di quattro angeli, manovrati dal sapiente Alidoro e chiamati ad interagire con i personaggi e anche ad azionare a vista la macchina del vento e la lastra per la pioggia durante il temporalino. Il trio dei cattivi è frequentemente sopra le righe ma è in perfetto accordo con la bontà remissiva della protagonista. Uno spettacolo dunque gradevolissimo che dimentica la fiaba e lo avvicina a una visione disincantata e moderna dove anche gli animali hanno un senso: Dandini-cane dalmata quando rientra come fedele cameriere, asino, pavone e farfalle per la famigliola e così via. Successo convinto in un teatro finalmente occupato per buona parte. *foto di Priamo Tolu © La Cenerentola dramma giocoso in due atti libretto Jacopo Ferretti, dalla fiaba Cenerentola di Charles Perrault musica Gioachino Rossini venerdì 17 marzo, ore 20.30 – turno A sabato 18 marzo, ore 19 – turno G domenica 19 marzo, ore 17 – turno D martedì 21 marzo, ore 11 – Ragazzi all’opera! mercoledì 22 marzo, ore 20.30 – turno B giovedì 23 marzo, ore 19 – turno F venerdì 24 marzo, ore 11 – Ragazzi all’opera! venerdì 24 marzo, ore 20.30 – turno C sabato 25 marzo, ore 17 – turno I domenica 26 marzo, ore 17 – turno E |