Ci ha lasciato Raffaele Manca, un intellettuale di comunità [di Umberto Cocco]
Raffaele Manca così muore, quando era ancora forte, ancorché ottantenne, pieno di energia e interessi, per una caduta dal trattore in un sentiero in cemento in forte pendenza mentre lasciava la sua campagna di cinque ettari resa una bell’oasi di alberi da frutta nella valle fra Domusnovas Canales e il novenario di Santa Maria di Aidomaggiore. Passione tardiva, la condivideva con Tino Campus che l’aveva appena lasciato giovedì intorno all’una per andare a pranzo in paese. La divideva con quella per la storia e i misteri dei templari, la mai spenta militanza politica a sinistra e l’impegno alla testa di un comitato per la difesa della sanità pubblica e dell’ospedale di Ghilarza del quale era stato negli anni ’80 anche amministratore. Interessante vita, interessante carriera nelle istituzioni. Figlio di un maresciallo dei carabinieri, nasce nel ’43 a Bitti dove il babbo è in servizio, poi lo perde al ritorno della famiglia a Norbello, lo mandano adolescente in collegio a Torino con il fratello Mario, e comincia un percorso di studi sino al liceo e insieme anche politico fra partito socialista e socialdemocratico. Si iscrive all’università a Cagliari, alla metà degli anni ’60 è segretario regionale dell’organizzazione giovanile per un breve periodo, e poi a 27 anni sindaco del paese. E’ 1970. Sta entrando allora nei circuiti dell’Unla e della Società umanitaria emanazione della Cassa per il Mezzogiorno, diventa bibliotecario, animatore culturale, fra Norbello e Macomer: Il piccolo centro di media proprietà contadina, economia di sussistenza, quasi schiacciato fra i più grandi paesi di Ghilarza e Abbasanta, assurge grazie a questo giovane sindaco – che sposa una emiliana, Bianca Miselli, proveniente lei stessa da un centro di servizi culturali nella sua regione – un polo di vita associativa che in coincidenza con il ’68 apre orizzonti soprattutto alla gioventù. Di lì a poco sorgerà l’industria a Ottana, ed è fermento che si aggiunge e lotta sociale che si innesta sulle conosciute esangui dinamiche del rurale. Così modelli continentali evidentemente esportabili si radicano in ceti locali di società in evoluzione anche al contatto con i referendum sul divorzio e le prime lotte per l’emancipazione della donna Con i centri culturali e i circoli di lettura di Santulussurgiu, Cagliari, Oristano, Macomer – animati da Gianpaolo Mura e dal maestro Salis, da Fabio Masala, Antonio Bellinzas, Piero Spiga, Anna Oppo – anche il piccolo villaggio condivide esperienze d’avanguardia milanesi, di intellettuali meridionali a Milano, di circoli pugliesi e lucani a loro volta legati agli esempi di Rocco Scotellaro, Carlo Levi, sino a coltivare la lezione di Ernesto De Martino. Imparano presto e praticano insieme la cura delle tradizioni popolari, la pubblica lettura, la lotta all’analfabetismo, poi anche sperimentano la programmazione territoriale, di sviluppo locale, la sensibilità urbanistica. Diventati sindaci a Norbello e a Santulussurgiu Raffaele e Gianpaolo Mura sono anche i primi amministratori che adottano i piani particolareggiati. Arrivano per quella via anche gli impulsi di Adriano Olivetti, che tra i sardi che chiama a Ivrea ha anche il lussurgese Antonio Cossu, scrittore in sardo e in italiano, che torna in Sardegna, dirige S’Ischiglia, lavora all’Unla, entra nel Centro regionale di programmazione (è lui l’autore del racconto da cui Salvatore Mereu ha tratto di recente il film Bentu). Sono ambienti non lontani dalla politica, guardano al Partito socialista, ai repubblicani e ai socialdemocratici, la gamba laica dei primi governi di centrosinistra. Raffaele Manca resta sindaco ininterrottamente sino al ’92, e intanto si è iscritto al Pci nel ’74 – percorso non consueto – sezione di Norbello, federazione di Oristano. Resta aggrappato al territorio rifiutando incarichi di dimensione più larga, e gioca quel legame in qualche modo anche contro l’organizzazione del partito, i suoi equilibri spostati sulla parte campidanese meridionale della nascente provincia, dove era ancora negli anni 70 molto forte l’eredità mineraria del Guspinese e quella delle lotta per le terre dell’immediato dopoguerra. E’ sindaco a Ghilarza dal ’75 Tino Piras, e Ghilarza è il paese di Gramsci e soprattutto degli Amici della Casa Gramsci, ma ce la fa Raffaele nel ’89 a portarsi dietro nella candidatura alle regionali un elettorato non di partito di quella zona bianca democristiana, riuscendo a farsi eleggere consigliere regionale, uno dei due eletti del Pci nella provincia. Poi tocca ancora a lui nel ’94 negli sconvolgimenti della stagione di Mani Pulite, che scombina i partiti e i collegi elettorali, di candidarsi nel neo formato collegio uninominale di Macomer alle elezioni politiche con il Pds. Viene eletto e resta in parlamento sino allo scioglimento delle Camere nel ’96. Non smette lì di fare politica, non passa agli affari, lascia i Ds e si muove nell’ambito della sinistra con inquieto spirito di ricerca, nella zona tornata tutta a destra e nel suo paese dimentico della eredità trentennale e confuso nei suoi orizzonti. I funerali però si terranno nel centro di cultura, funerali laici, davanti alla moglie Annalisa Angioni, collega di lavoro all’Unla di Macomer, compagna delle molte sue battaglie, che ha annunciato la donazione degli organi disposta da Raffaele. |
Avendolo conosciuto e nei primi anni ’90 frequentato, sono certo, proseguirà nel suo impegno per il bene comune
Du emmu connotu in continenti [ Si no mi colunnu, Milano, Stresa, Meina) in is annus 60, sotzius de s’Umanitaria. e si femus torraus a biri in Aristanis ( o Macomer) in is annus 80, cungressu de Democrazia Proletaria
Candu mi iat biu mi iat domandau: ” ses su fradi de Aldo Cappai?” E d’ emmu arrespustu sicu “deu seu”:
Mindi abarrat memoria meda bona.
Omini Mannu.