Settimio Severo e la democrazia nell’urbanistica [di Maria Antonietta Mongiu]

L’Unione Sarda 8 febbraio 2024. La città in pillole. Grande risalto per l’inaugurazione del Museo della Forma Urbis, a Roma. Le ragioni? Ribaltare insistite narrazioni su immondezza e cinghiali, in favore di un rinnovato racconto di città, la più densa di musei, aree archeologiche e monumentali, chiese, con un ulteriore e cruciale luogo espositivo.

Allestito nell’ex Palestra della Gioventù Italiana del Littorio nel Parco archeologico del Celio; restituito alla pubblica fruizione. Il Museo conserva i superstiti frammenti della planimetria della città, elaborata, in 150 lastre di marmo, tra 203 e 211.  La volle l’imperatore Settimio Severo, libico di etnico punico-berbero, fondatore della dinastia dei Severi e cruciale nelle mutazioni dell’Impero.

Assunse, infatti, il titolo di dominus ac deus che, in sostituzione di princeps primus inter pares, trasformava la figura dell’imperatore in dominus, con caratteri mutuati dalle monarchie orientali. Per secoli, aborriti dai romani, ancorati ai principi della res publica. Ottaviano utilizzò, quell’ossessione, come propaganda, contro Antonio e Cleopatra.

Un secolo dopo Settimio Severo, Costantino completerà il percorso, inventando il dualismo di un dominus in cielo e di un altro in terra. La legittimazione della sacralità del potere monarchico è compiuta, per durare fino alla Rivoluzione francese.

La Forma urbis di Settimio Severo, in origine in una parete del Tempio della Pace e, in seguito, nel complesso dei SS. Cosma e Damiano è incisa nel marmo. Misurava 18 x13m, in scala1:240, per fare sintesi di mq 13.550.000 di spazio urbano. Fotografa un attimo che, ab urbe condita, ha alle spalle quasi mille anni e, di conseguenza, prova, ab origine, l’impossibile esaustività di una rappresentazione geografia.

Perché la città di suo, specie, se come Roma o Cagliari, nella traiettoria della longue durée, è deposito di memoria ma, insieme, di oblii e semplificazioni. Infedele quanto improbabile ogni mappa, come insegna il racconto di Borges, in Storia Universale dell’infamia, sull’ossessione della carta geografica, tal quale l’impero.

L’esito? L’autodistruzione. Lo sapeva Settimio Severo la cui Forma urbis era più un’esibizione di potere, sull’esempio dell’Ara Pacis e delle Res Gestae di Augusto. L’urbanistica, la topografia, la toponomastica, in democrazia sono altro. Si fondano sul confronto e sulla dialettica del riconoscimento.

Si registra, spesso, la damnatio memoriae di questi principi. Il rischio? Essere autoritari più di Settimio Severo che fu pure questore in Sardegna.

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