A proposito di Usi civici, di Sentenze del TAR e “parchi” eolici tra Barumini e Tuili, e di tutela del paesaggio della Sardegna [di Carlo A. Melis Costa]

È molto importante, a questo punto, considerare i dati che vengono dalla giurisprudenza e dalle elaborazioni dottrinali al fine valutare lo stato dell’arte in merito agli orientamenti presenti.

Innanzitutto, si deve confermare che la acquisizione al patrimonio comunale o, meglio, al demanio comunale, dei terreni sottoposti ad uso civico non fa venire meno il regime ostativo connesso a tale tipologia fondiaria ed anzi ne rafforza la portata, non essendo plausibile alcuna declassificazione. Pertanto, su quei terreni non sarà possibile nessuna operazione come quella richiesta, restando fermo comunque il ruolo fondamentale della maggioranza qualificata consiliare.

Del resto, già il Consiglio di Stato nella sezione quarta con la sentenza numero 1914 del 16 aprile 2014 aveva sancito il principio secondo il quale non era consentito su terreni soggetti ad uso civico acquisiti o meno al patrimonio comunale nessuna trasformazione e nessun intervento che potesse comportare scavi o movimenti di terra finalizzati alla realizzazione di un impianto eolico.

Altrettanto importante è considerare attentamente il principio scaturito dalla sentenza del TAR Sardegna del maggio scorso (la numero 414) che ha rigettato il ricorso del comune di Barumini.

Al di là del risultato di merito, il principio che emerge dalla motivazione della sentenza appare di duplice valenza. Innanzitutto, sostiene il TAR Sardegna, non può parlarsi di illegittimità sopravvenuta (cioè, una VIA che tenga conto di vincoli sopravvenuti) nel caso come quello della coltivazione del parco eolico, in quanto trattasi di opera di primario interesse pubblico derivante dalla sua natura di riforma economico-sociale.

A fronte di questo vi è il principio correlativo consistente nell’esigenza che i vicoli ostativi devono essere preesistenti alla conclusione della procedura di valutazione di impatto ambientale. In questo contesto assume particolarmente valenza la sentenza numero 103 del 2024 della Corte costituzionale, sempre del maggio del 2024.

Con tale sentenza la Consulta ha sancito la conformità della disciplina regionale (impugnata dal Consiglio dei Ministri) all’articolo 177 dei beni culturali, in quanto lo stesso articolo 26 dell’allegato A consente di superare il limite dell’interesse primario della norma di riforma economico-sociale.

Ugualmente la sentenza del Consiglio di Stato 3203 dell’aprile 2024 sancisce il principio secondo il quale sfugge alla competenza del Consiglio dei ministri l’accertamento dei fatti e la verifica di coerenza procedurale all’interno del procedimento amministrativo.

In tal modo si ribadisce l’esigenza di valutazione di legittimità (quanto meno originaria, non essendo ammissibile a parere della Giurisprudenza in questo campo quella sopravvenuta) e quindi del sindacato giurisdizionale da parte dei giudici amministrativi in merito alla valutazione del potere di alta amministrazione e se esso sia stato esercitato in presenza dei presupposti previsti dalla legge. In altre parole, la presidenza del Consiglio dei ministri non può sindacare l’esistenza o meno di elementi di fatto relativi alla valutazione finalizzata all’esito del procedimento amministrativo.

Accanto a tale principio peraltro viene ribadito quello (già sancito nella sentenza del TAR Sardegna esaminata sopra) secondo il quale la valenza archeologica, paesaggistica o la esistenza di usi civici deve essere fatta valere dalle amministrazioni locali e da quella regionale prima della conclusione della valutazione di impatto ambientale.

*Avvocato

 

 

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