La voce del silenzio [di Silvano Tagliagambe]
Con il suo articolo Sardegna, a ciascuno il suo silenzio Vito Biolchini ha posto un problema che non può essere ignorato: quello dell’improvvisa assenza di dibattito politico in Sardegna dopo le elezioni e dopo la formazione della nuova Giunta regionale. Giusta e opportuna la segnalazione, che però va depurata da una spiegazione troppo sbrigativa e semplicistica: “a ciascuno il suo silenzio. C’è quello dei sudditi e quello degli ignavi, quello degli interessati e quello degli impauriti (parlare di politica è facile, ragionare sulla politica è diverso e comporta dei rischi evidenti)”. Non è stato da sudditi, né da ignavi, né da interessati e neppure da impauriti chiedere a gran voce, per le note ragioni, il ritiro della candidatura di colei che aveva vinto le primarie della coalizione del centro-sinistra, e sembrava in quel momento col vento in poppa, sostenuta senza tentennamenti da buona parte del maggior partito di quello schieramento. Tuttavia molti lo hanno fatto. Non è stato da sudditi, né da ignavi, né da interessati e neppure da impauriti sostenere in modo aperto ed esplicito il nuovo candidato subentrato in corsa e non senza traversie alla precedente una volta arrivata, quasi fuori tempo massimo, la rinuncia di quest’ultima. Tuttavia molti lo hanno fatto, nonostante mancasse solo un mese alle elezioni e sperare in un esito positivo, dopo tutte quelle vicissitudini, sembrasse quasi un sogno temerario. Non è stato da sudditi, né da ignavi, né da interessati e neppure da impauriti denunciare apertamente le malefatte della giunta precedente, nonostante i favori del pronostico di cui godeva il presidente uscente. Tuttavia molti lo hanno fatto. Non è allora corretto e coerente pensare che chi non è stato suddito, ignavo, interessato e impaurito allora lo sia diventato improvvisamente adesso: i rischi di oggi, se di questo si vuol parlare, non sono certo maggiori di quelli di ieri. La spiegazione allora, almeno per quelli che non hanno mancato di far sentire la loro voce e non si sono certo tirati indietro dal 17 gennaio al 17 febbraio, va cercata altrove. Per quanto mi riguarda (ma penso che non si tratti solo di una mia risposta personale, e per questo la ripropongo qui) va trovata in un’esigenza di cui parlavo il 17 marzo (questo 17 che ritorna di continuo!) in questa stessa sede nella recensione del libro di Pietro Soddu: Sardegna. Il tempo non aspetta tempo. L’idea cioè che nella situazione difficile e complessa nella quale ci troviamo e che non lascia aperti troppi e troppo facili spiragli, il primo compito di chi vuole “ragionare sulla politica” deve essere quello di contribuire a un “clima e a un’atmosfera di convinta partecipazione, coesione e armonia del corpo sociale”, in quanto “nessuna forma istituzionale potrebbe resistere alla lacerazione del tessuto sociale, allo smarrimento del senso civico, alla rottura del clima di fiducia reciproca e al venir meno della solidarietà che ne scaturisce”. L’ho scritto allora e lo ripeto ora con convinzione, perché “se si perde la fiducia in un futuro che sia aperto alla speranza non rimane altro”. Allora mi preoccupano e mi impauriscono i troppi “io l’avevo detto, che cosa vi aspettavate voi che l’avete votato” che sento e leggo in questi giorni. Quello che mi aspetto è che ciascuno dei noi, con le competenze, le conoscenze e le passioni di cui dispone ed è capace, fornisca un suo contributo alla causa comune e al destino di tutti. Mi aspetto che il presidente Pigliaru e i suoi assessori siano disponibili ad accogliere questi apporti per colmare i vuoti e le lacune presenti nelle dichiarazioni programmatiche, giustamente segnalati nell’intervento a cui rispondo. Mi aspetto che non ci venga opposto quel “decisionismo fine a se stesso, in cui non ascoltare è sinonimo di ‘tenere la schiena dritta’, di non ‘farsi condizionare’”, al quale fa riferimento, con giusta preoccupazione, Vito Biolchini. Se queste aspettative, che nutro per il bene di questa nostra terra già fin troppo malandata e bistrattata, andranno deluse non mancherò, come tanti altri credo, di far sentire la mia voce. Diversa da quella del silenzio. |