Gadda e Sardegna:giovani scrittori vincono [di Guido Pegna]

 

Gadda_giovani

“La cognizione del dolore”: queste furono le ultime quattro parole che mio cugino mi disse inaspettatamente prima di sparire nel gabbiotto del controllo passaporti. Non l’ho più rivisto, ma quelle parole segnarono una svolta nella mia vita. Avevo sedici anni; leggendo il capolavoro di C.E. Gadda, per la prima volta capii che leggere, leggere davvero consiste non nel “cosa accade”, ma nel “come è scritto”.

Carlo Emilio Gadda è stato il più grande scrittore italiano del secolo scorso, uno dei più grandi di tutti i tempi. È talmente importante che è onorato e studiato in tutto il mondo, ma naturalmente non in Italia, dove è relativamente poco letto. Un importante centro di studi gadddiani è a Edimburgo, dove pubblica l’Edimburg Journal of Gadda Studies e indice vari premi, fra i quali, con cadenza biennale, quello per giovani scrittori, l’International Gadda Juniors. Quest’ultimo ha una appendice italiana riservata a studenti universitari e delle scuole secondarie delle sei regioni italiane – Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Molise e Sardegna1– nelle quali Gadda fu attivo durante la sua movimentata vita di ingegnere elettrotecnico prima di dedicarsi completamente alla scrittura. Fu un immenso scrittore, grande innovatore della lingua e della stessa concezione di letteratura. 

Come scrive lui stesso: Carlo Emilio Gadda è nato a Milano [il 14 novembre 1893]  quattordici giorni avanti la caduta del Ministero Giolitti, il primo. Vi trascorse un’infanzia tormentata e un’adolescenza anche più dolorosa: fu accolto nelle classi elementari del Comune, ottime. Vi trovò il suo liceo e le sue matematiche. Poi la guerra: la perdita del fratello Enrico, caduto nel ’18. Lavorò in Italia, fuori d’Italia: in Argentina, in Francia, in Germania, nel Belgio. La sua carriera di scrittore incontrò gli ostacoli classici, economici ed ambientali: più quelli dell’era, anzi delle diverse ere che gli toccò di attraversare. Visse dieci anni a Firenze: 1940-1950: gli anni belli, quand’era venuto il bello. Niente Capponcina. Vive nella capitale della Repubblica a quattordici chilometri dal centro, in una casa di civile abitazione, confortato nottetempo dagli ululati dei lupi e lungo tutto il giorno dai guaiti di copiosissima prole, non sua, ma egualmente cara e benedetta. «Che cosa fai tutto il giorno?» gli chiedono le persone indaffarate: «non ti muovi mai?» «No: non mi muovo.»2 (Nota autobiografica in Accoppiamenti giudiziosi, Garzanti, 1963).

Il riferimento alla Capponcina merita una spiegazione. Si tratta di una magnifica villa a Settignano, nei pressi di Firenze, già della famiglia Capponi3, nota soprattutto per essere stata abitata da Gabriele d’Annunzio tra il 1898 e il 1910 e per essere stata teatro del chiacchierato amore del poeta con Eleonora Duse, che stava a pochi passi, a villa Porziuncola, sull’altro lato della strada. Il poeta italiano lasciò un’importante impronta sulla casa, arredandola con mobili quattrocenteschi. Qui visse da principe rinascimentale, circondato da numerosi domestici, da una muta di cani e da cavalli scelti. Dalla citazione di Gadda traspare tutto il suo disprezzo per l’opera e per la figura del “poeta soldato”. Ma Gadda era un uomo dell’ottocento, educato, formale, e non avrebbe mai manifestato apertamente sentimenti così intimi. Tuttavia in quelle due parole, niente Capponcina, c’è molto di più. Nei primi anni in cui Gadda era a Firenze c’era la guerra, le case delle città venivano disgregate dai bombardamenti ma non le ville di campagna, non i casini di caccia di quattordici stanze. E ancora: il Gran Lombardo era povero, viveva in grandi ristrettezze; l’enorme successo di pubblico gli arrivò solamente una quindicina di anni dopo con il romanzo Quer pasticciaccio brutto de via Merulana.

Ma torniamo al premio internazionale Gadda Giovani, perché sono accadute cose straordinarie, per noi di grandissimo interesse e fonte di riflessioni. Il premio ha cadenza biennale. La struttura organizzativa è complessa e articolata in comitati regionali e internazionali e in vari successivi livelli di selezione. Il comitato per la Sardegna è presieduto da Giovanna Caltagirone; ne fa parte anche l’autore di questo articolo e comprende noti scrittori sardi. La prima edizione si è celebrata a Milano nel 2011. Successive edizioni: nel 2013 a Montecassino; nel 2015 sarà a Udine, e a Cagliari nel 2017. Non occorre dire che il premio è assolutamente serio, che la competizione è durissima e la giuria internazionale altamente qualificata. L’edizione 2011 ha avuto più di cento partecipanti. Fra questi sono stati selezionati 14 finalisti. Ed ora la cosa strabiliante: al primo posto si è classificato Lorenzo Ucheddu, studente del liceo Dettori di Cagliari, con il racconto “Su Maccu”. La notizia è stata data anche dall’Unione Sarda con il titolo: Il Gadda al noir di un “dettorino”. Lorenzo Uccheddu vince a Milano. Ma in finale c’era anche un altro studente del classico di via Cugia, Paolo Vacca della 3ª B, 18enne, residente a Selargius, che ha ottenuto il sesto posto, guadagnandosi anche lui l’accesso alla fase internazionale dell’ Edinburgh Gadda Prize .

Anche l’edizione del 2013 ha visto un successo per la Sardegna: su 161 partecipanti e 16 finalisti, la studentessa Michela Paganelli, anch’essa del liceo Dettori si è classificata al sesto posto con il racconto Canti dall’inferno – Storie di magia tra leggenda e realtà. Questi successi dei nostri ragazzi danno da pensare. In questa Sardegna dei contrasti estremi, dove tutti gli indicatori culturali ed educativi nei confronti con le altre regioni e con l’Europa sono negativi – la dispersione scolastica è la più alta in Italia e doppia di quella media europea, il numero di laureati ogni 1000 abitanti minore di qualunque altro, esiti sconfortanti nelle classifiche delle indagini PISA nei paesi dell’ OCSE per la matematica e le materie scientifiche – ebbene, in questa povera regione vi sono delle straordinarie punte di intelligenza, di cultura, di pensiero brillante e fresco. E viene spontaneo chiedersi: perché questo è possibile? 

È da un po’ di tempo che non perdo l’occasione di interrogare scrittori e persone di cultura su questo fatto. La risposta che sempre viene data è la seguente: perché per i sardi l’italiano è una lingua straniera, e quindi se conosciuta è davvero ben conosciuta. Un secondo aspetto potrebbe essere il seguente. Struttura sintattica, stilemi e anima profonda del sardo è il latino, che è anche l’anima profonda dell’italiano. Chi legge ha qualche altra idea in proposito? Queste spiegazioni sono sufficienti? A me sembra che debba esserci qualcosa di più. Anche se esistono eminenti esempi di grandi scrittori in una lingua non materna – il più noto è Joseph Conrad – io credo che sia necessaria una indagine sui veri profondi motivi del successo dei nostri autori che scrivono in lingua straniera. Quale è il motivo della qualità e della grande fioritura che sta attraversando in questo momento la narrativa sarda? E anche quella dei nostri giovani partecipanti al Premio Gadda Giovani?

* Nell’immagine: i premiati del premio Gadda Giovani 2011. Lorenzo Ucheddu, il vincitore, è il ragazzo più alto con il maglione blu.

1.   Appena laureato in ingegneria elettrotecnica, nel 1921 Gadda venne in Sardegna dove lavorò per parecchi mesi a Porto Vesme all’impianto della prima centrale termoelettrica dell’isola. Il grande edificio, abbandonato da tempo, è ancora visibile a Porto Vesme.

2.  A Piero Chiara che nel 1974 o ‘75 lo intervistava sul suo non muoversi, Gadda rispondeva in modo più articolato: “No: non mi muovo significa: ho camminato quand’era il tempo, quando il cuore e le gambe reggevano. Ho viaggiato mondo e paese, in pace e in guerra. Nell’aprile del 1916 “mi muovevo”, sui ghiacciai dell’Adamello e nell’estate del 1917 tra le doline del Carso. C’è chi mi accusa d’immobilità, oggi, in rapporto agli ideali di oggi. Io mi son mosso per i “miei” ideali, piuttosto limitati, ne convengo: e magari, a vederli oggi, sbagliati. Del tutto immobile risulterò nel duemila. E poi, a completare l’esègesi, chi scrive non si muove. Ore e ore al tavolino: mesi e mesi. Non è pensabile che Tolstoi abbia scritto Guerra e pace a cavallo”. Questo era Gadda!

 3.   La famiglia Capponi è quella a cui appartenne Pier Capponi, ambasciatore e condottiero che nel 1494 tenne testa al Re Carlo VIII di Francia disceso in Italia con un grande esercito di 40.000 uomini alla conquista di Napoli. Alla minaccia del saccheggio di Firenze e a fronte di pesanti richieste finanziarie, Pier Capponi rispose con la frase rimasta celebre: “E se voi suonerete le vostre trombe noi daremo alle nostre campane”, che minacciava la chiamata a raccolta di tutto il popolo fiorentino per combattere casa per casa, vicolo per vicolo. Non si sa che cosa Carlo VIII abbia capito della figura retorica delle campane; resta il fatto che i francesi si ritirarono, mentre nel frattempo a Pisa era scoppiata una rivolta antifiorentina, una delle tante, e la città aveva riconquistato, almeno per un po’, la libertà.

 *Fisico. Università di Sassari. Narratore

One Comment

  1. Michela

    Articolo molto interessante, ma contiene un’imprecisione: sono la studentessa Michela Paganelli e mi sono classificata al SECONDO posto, non al SESTO. 🙂

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