La Lambretta di Renzi [di Veronica Rosati]
Quanto vale la felicità? E la possibilità di avere un futuro roseo? Pensiamo alla felicità nei termini di una realizzazione di se stessi, in ogni sua forma, dalla sfera personale a quella lavorativa. È un cammino ad ostacoli, lungo una vita intera. È strettamente legata al presente, anche se è tipico dell’essere umano pensarla nel futuro. Non può prescindere dall’elemento della fiducia, non solo nelle proprie capacità, ma anche nella società e, non da ultimo, in coloro che amministrano la cosa pubblica. La relazione fra la politica e gli elettori è sorretta dalla comunicazione, la quale pare conoscere in questo periodo storico una deriva della sua sostanza, che la riduce ad una colorata ma sterile propaganda per fini elettorali. Lo stile comunicativo del premier Renzi è un orecchiabile ritornello che bombarda chi lo ascolta di espressioni come “fare”, “governo del fare”. È un fiume di parole che non riconosce se stesso, il quale vuole contrapporsi alle chiacchiere degli avversari. Sono parole che fronteggiano altre parole, in una spirale infinita, che troverà una momentanea quiete dopo le elezioni europee. Per poi riprendere il suo vociare chiassoso. Gli appassionati del genere ricorderanno lo stile delle pubblicità degli anni ’50 e ’60. Negli anni del prologo del boom economico italiano lo spot della Lambretta, sulle note di un allegro motivetto, faceva cantare un gruppo di scienziati in camice bianco. Di fronte a fumanti alambicchi, creavano una nuova invenzione: lo scooter della Innocenti. Quel nuovo e snello mezzo era concepito per rendere tutti felici, sempre, in vacanza ed in città. L’invenzione del 2014 non ha le ruote. Forse ha le ali, come i sogni. E’ il celebre bonus di 80 euro promesso da Renzi, alle buste paghe degli italiani. Sono al lordo delle imposte, probabilmente. Ma poco importa. Vogliono essere anch’essi portatori di speranza e di felicità. Dopo una serie imprecisata di anni bui per la politica, il giovane premier fiorentino vuole ricucire lo strappo. Il denaro che torna nelle tasche dell’italiano medio si fa veicolo di felicità, di fiducia nel futuro. Unisce la concretezza del valore monetario al gesto altissimo di una classe politica nuova che vuole far dimenticare le nefandezze di chi li ha preceduti. Come in ogni campagna pubblicitaria che si rispetti, sono chiari i tratti del suo target di riferimento. È l’italiano medio, tanto caro alla commedia all’italiana di qualche anno fa. Guidava magari una Lambretta o una Vespa ed era felice di quello che aveva. Torna in maniera anacronistica per prendersi gli 80 euro. Ha un lavoro sicuro, seppur spesso mediocre. Una famiglia da mantenere, un mutuo e le rate di qualche elettrodomestico completano il quadro. Ha tanti piccoli, grandi problemi da risolvere ogni giorno, ma è nel complesso felice. E gli altri, quelli che oggi si chiamano incapienti? Non si sa. Non sono compresi nel target di riferimento dell’operazione propagandistica del governo. L’esercito silenzioso di disoccupati di ogni età. La moltitudine di imprenditori che chiudono per sempre i cancelli delle loro aziende, soffocati dal fisco e da una crisi che non accenna ad attenuarsi. E loro? Chi pensa a tutti loro? Forse i racconti della crisi hanno annoiato. Le storie tristi, i drammi personali, le sorti di milioni di persone non fanno più notizia. Il marketing della comunicazione corre veloce ora sugli smartphone. Per essere competitivi bisogna innovare anche nella comunicazione pubblica. Anche nei contenuti. Ora è più cool parlare di ripresa, di luce in fondo al tunnel. Di consumi che ripartono, di speranza rinnovata. C’è un cineografo inceppato che continua a mostrare un’Italia in ginocchio. Un’immagine fissa dove passano come sottotitoli i nuovi dati sulla crescita del debito pubblico (134,2% del Pil per il 2014) e la disoccupazione che segna, dice l’Istat, un nuovo record (12,8%). Fra loro ci sono famiglie intere che vivono alla giornata e temono il futuro. Non hanno ferie pagate o aspettative. Per loro persino un mutuo è un lusso. Non hanno nulla da ipotecare, se non i loro sogni. Hanno, se sono fortunati, ciò che basta per oggi e si illudono che quello sia il modo migliore per affrontare la vita. Questa nuova filosofia è un analgesico del loro dolore, almeno. Tutti loro non avranno il bonus, poiché nessuno ha il coraggio di investire sulla rinascita della loro fiducia nel futuro. Non hanno una busta paga, poiché non hanno un lavoro. L’hanno perso, forse. Vivono per riacciuffare un posto nella società che produce, ma intanto aspettano. Altri ancora non riceveranno nulla, perché lavorano in maniera atipica. Sono i finti liberi professionisti a partita IVA che hanno i doveri dei dipendenti, ma non i diritti. Sono il prodotto di un mercato del lavoro malato le cui regole non sono riconosciute nemmeno da chi le ha stabilite. Non è colpa di Renzi, probabilmente. É colpa di un susseguirsi di incapaci dai volti noti e di anonimi burocrati senza anima, in un indeterminato rimbalzo di responsabilità che si perde nella ricerca senza esito del primo motore immobile che ha causato questo scempio. Nel nome di espressioni alla moda, di stili di vita fotogenici quanto fasulli, come “lavoro flessibile”. Non è più di moda pensare di creare lavoro per tutti, semplicemente. Un target di riferimento troppo ampio farebbe perdere spessore agli slogan politici. Meglio parlare a ristrette categorie per essere sicuri di venire ascoltati. Incapienti, disoccupati, lavoratori atipici e precari esclusi, ovviamente. Guardano con nostalgia alla Lambretta dei loro padri metafora di quella felicità semplice e alla portata di tutti. Già di tutti, ma non di loro. Restano in stand-by in attesa della prossima invenzione. Magari qualcuno penserà a loro. Non ora, ma la prossima volta. La giovinezza del premier, intanto, continuerà ad illuderli. È bello immaginare un fascinoso mugnaio dall’accento spagnolo, che ogni mattina si sveglia all’alba per sfornare quei frollini che abbiamo fra le mani. Non è così, ma questa illusione ci addolcisce il risveglio. |